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Shopping: prove tecniche di futuro

Gli acquisti cui eravamo abituati solo qualche anno fa sembra ormai appartenere alla preistoria e ancor di più si evolverà nei prossimi anni. La strada è segnata e gli addetti ai lavori si stanno già organizzando

Si fa presto a dire shopping. Quella che, prima della pandemia, era una delle cose più facili (portafoglio permettendo) e belle del mondo, è stata modificata nei suoi connotati dal Covid-19. A questo, si è aggiunta anche la tecnologia e la volontà, da parte del mercato, di creare shopping experience sempre più complesse e totalizzanti. Il risultato è un modo di acquistare apparentemente sempre più autonomo, visto che figure professionali come commessi e cassieri sono destinate a diminuire se non addirittura a scomparire. Ma se l’interazione umana diretta viene meno, non ci sentiremo certo soli: sarà la tecnologia a supportarci nelle nostre scelte, così come nei pagamenti e nella consegna. E, nel 2030, sembrerà anche di stare sul set di un film di fantascienza, che ci stupirà con effetti speciali. Parola di Ericsson, che nel suo studio annuale che ormai conduce da un decennio, ha evidenziato come la (prossima) nuova frontiera dello shopping diventeranno i centri commerciali ibridi. Si tratta di luoghi che saranno caratterizzati da un mix di tecnologia connessa, integrata in ambienti fisici reali. Quello che a noi sembra ancora lontano è più vicino di quanto si creda ed è destinato a prendere sempre più piede, migliorando le esperienze di shopping e di acquisto e favorendo la nascita di nuovi mercati, come quelli di occhiali AR, visori VR impermeabili, tute aptiche e guanti tattili, che diventeranno degli strumenti indispensabili per vivere appieno questa esperienza.

Le possibilità offerte dalla tecnologia sono davvero infinite. Così tanto che alcune si fa persino fatica a immaginarle, dal meta sarto, con modelli disegnati su misura per il proprio avatar, alla piscina dei sogni per sperimentare il mondo a gravità zero; dalla palestra ibrida, che però migliora anche la salute mentale, al ristorante che ti connette con il resto del mondo e dove magari ti puoi trovare al tavolo con tuoi amici che vivono a migliaia di chilometri di distanza. Mauro Ferraresi, docente di Sociologia della Comunicazione al dipartimento di Comunicazione, Arti e Media “Giampaolo Fabris” dell’Università Iulm e autore del libro Le nuove leve del consumo, ha spiegato a Business People come penseremo la nostra vita in futuro, anche per quanto riguarda lo shopping. «La tecnologia ci cambia la testa. Funziona così fin dall’antichità. I metaversi stanno cercando di congiungere in un solo spazio tutte le realtà del digitale parallelo. Cosa farà alla nostra psiche è tutto da vedere. Come è da vedere quanto in effetti prenderà realmente piede entro il 2030. Si tratta di soluzioni pensate soprattutto per le nuove generazioni, ma in alcuni casi possono incontrare limiti normativi, come quello della privacy. L’avvicinamento della tecnologia alla nostra corporeità è comunque un processo irreversibile». E sul centro commerciale ibrido aggiunge: «Una struttura così ha riflessi positivi anche sulla fidelizzazione del cliente, perché si muove su una strada già ampiamente inaugurata dai punti vendita e fondamentale per rimanere sul mercato e che è composta da tre elementi: la smaterializzazione, la digitalizzazione e la de-territorializzazione».

E se a qualcuno tutto questo sembra troppo avveniristico, secondo Ericsson di sarebbero già 57 milioni di early adopters pronti a cimentarsi con guanti e visori per un’esperienza totale. Secondo i consumatori intervistati dall’azienda, il 35% ritiene che saranno proprio i centri commerciali i primi luoghi dove sperimentare queste nuove emozioni. La buona notizia è che, secondo lo studio, i centri commerciali ibridi potrebbero influire in modo molto positivo e sostenibile sulla vita locale. La de-territorializzazione potrebbe rendere più appetibile lo spostamento in realtà rurali o piccole città. Tanto poi andremo tutti in luoghi dove, virtualmente, si trova tutto e saremo a contatto con il resto del mondo, non importa se ci troviamo in una megalopoli asiatica o nella ridente provincia italiana.

Rimane un’unica domanda: non rischiamo di de-materializzarci anche noi? «Non ce ne rendiamo conto», spiega ancora Ferraresi, «ma noi stiamo facendo già i conti con una realtà ibrida che è in parte digitale e in parte reale. Tutti noi ormai sperimentano relazioni che nascono e sono coltivate in rete, ma continuano anche nella realtà. Siamo già smaterializzati. Prima eravamo abituati a due tipi di spazio: lo spazio esterno e reale delle leve che ci circondano e lo spazio interno dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Ora a questi due tipi di spazi si è unito anche lo spazio digitale, che si è inserito fra questi due ed è un ambito con cui avremo sempre più a che fare. Non si tratta semplicemente di una smaterializzazione, ma di una combinazione di questi tre tipi di spazio in cui noi andremo a trascorrere le nostre vite».

Nel 2024 la percentuale delle vendite che avverrà ancora in negozio si aggirerà attorno al 72%. Ma la strada è già segnata e i commercianti si stanno organizzando. Per il momento, si può dire che il cambiamento sia stato tutto fuorché drammatico. Anche grazie ai social network. Le piattaforme sono diventate un supporto importante per i vari brand, che infatti non possono più farne a meno e li stanno pienamente integrando nei loro canali di distribuzione. Si tratta, questo sì, ancora di una tendenza in via di implementazione, per i dubbi che a volte circondano il mondo social e per il fatto che non si sia trovata la soluzione per l’interazione ottimale con le piattaforme e-commerce dei singoli brand. Ma, secondo una ricerca condotta da GroupM Italy, circa un utente di social network su due si dice interessato alla possibilità di concludere l’acquisto attraverso i social media, senza quindi venire reindirizzato sul sito del prodotto in questione. In base alle stime, il mercato globale del social commerce entro il 2027 potrebbe crescere fino a 604,5 miliardi di dollari, segno che i potenziali clienti davvero non mancano. «In realtà», continua Ferraresi, «stiamo andando in questa direzione da quando Internet è entrato nelle nostre vite. Il digitale non farà sparire la grande distribuzione. Anzi, questa quest’ultima lo sta utilizzando come un potente alleato, adattandosi al cambiamento delle abitudini di acquisto e smaterializzando i punti vendita». Insomma, asseconderemo il cambiamento (quasi) senza accorgercene.

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