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Concorsi, donne che odiano le donne

Le commissarie tendono a essere più severe con le candidate rispetto agli uomini: la dimostrazione in uno studio dell’Università di Pisa: «Le quote rosa? Una pessima idea»

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Il più classico degli Eva contro Eva. Se la commissaria è donna, le candidate hanno meno chance di farcela. Voglia di evitare favoritismi o un insano meccanismo di autoprotezione, ma il luogo comune che le donne siano più severe tra di loro che sugli uomini ora viene provato da uno studio.

A condurre lo studio, che sarà pubblicato su The American Economic Review, è stato Mauro Sylos Labini del dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, insieme a Manuel Bagues e Natalia Zinovyeva dell’Università Aalto di Helsinki. Insomma, presenza femminile nelle commissioni giudicatrici non aiuta il successo del gentil sesso, anzi. Secono l’ateneo toscano, «i ricercatori hanno utilizzato i dati relativi a tre concorsi per l’abilitazione scientifica nazionale che si sono svolti in Italia nel 2012 e in Spagna nel 2002 e nel 2006: in totale 100 mila domande presentate e 8 mila commissari coinvolti per scegliere chi poteva diventare professore associato e ordinario e quindi progredire nella carriera accademica e della ricerca».

DIFFICOLTA’ SU DIFFICOLTA’ «È emerso», spiega Sylos Labini, «che in Italia le donne hanno una probabilità leggermente inferiore di essere promosse rispetto agli uomini di circa 1.5 punti percentuali con una differenza più marcata negli esami per professore associato e nelle discipline sociali e umanistiche, se però la commissione è composta anche da donne, la probabilità di promozione delle candidate si riduce. Un commissario donna in più diminuisce di circa 1.8 punti percentuali la probabilità delle candidate di ottenere l’abilitazione rispetto a quella dei candidati». Il motivo, per i ricercatori, è da attribuirsi a «un diverso metro di giudizio adottato complessivamente da tutta la commissione quando include commissari di entrambi i generi».

UOMINI PIU’ BUONI? «Una spiegazione plausibile », conclude il professore pisano, «è che in assenza di donne, i commissari sentano l’obbligo morale di esprimere giudizi più favorevoli (o forse meno discriminatori) nei confronti delle candidate, mentre la presenza di colleghe in commissione fa venir meno questo effetto. Quello che invece è chiaro è che, almeno in questo ambito, le quote rosa nelle commissioni non sembrano una buona idea. Secondo le nostre stime, quote di genere del 40% impedirebbero a circa 500 ricercatrici di ottenere l’abilitazione».