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Fare presto e bene: intervista a Cristina Scocchia, a.d. di Kiko

Liquidità e tempestività come mantra. L’adeguamento degli strumenti a disposizione delle aziende. Il rischio di una ripartenza lenta. La minaccia di una forte compressione dei consumi. La responsabilità sociale dell’impresa. L’innovazione come leva strategica. Queste e molte altre le sfide che Cristina Scocchia, amministratore delegato di Kiko, intravede per l’economia del Paese

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«In una pandemia globale, ci sono Paesi che, grazie alla capacità reattiva dei loro governi, costituiscono un vantaggio competitivo per le imprese. Dobbiamo lavorare affinché per le nostre aziende essere italiane non si trasformi in uno svantaggio competitivo». È uno tra i diversi appelli che Cristina Scocchia, da tre anni amministratore delegato di Kiko – proprietà della famiglia Percassi e del fondo Peninsula – lancia in questa intervista. La voglia di ripartire di una manager che, anche alla luce degli ottimi risultati raggiunti nel periodo antecedente l’emergenza (dal 2017 al 2019 la società era passata da 30 a quasi 58 milioni di Ebitda), mantiene – seppur rallentati – gli obiettivi di sviluppo del piano industriale del gruppo cosmetico, già attivo in 24 Paesi, con circa 7 mila dipendenti e oltre 900 negozi, 340 dei quali in Italia. E che indica in quale direzione bisogna intervenire per uscire dalla crisi: dal ripensamento degli strumenti messi a disposizione delle imprese alla sburocratizzazione, prendendo magari esempio da altri Paesi che si sono rivelati più efficienti, passando dall’innovazione di prodotto e di distribuzione. Ma innanzitutto, i suoi mantra sono tempestività e liquidità.

Abbiamo rimandato di qualche ora questa intervista a causa di un suo incontro con le banche. Che giudizio dà del loro operato in questo momento?Sono considerate responsabili dei rallentamenti nell’erogazione di liquidità verso le aziende. Bisogna ammettere che neanche per loro è facile: sono sommerse di richieste e hanno le solite responsabilità relative alla valutazione del merito creditizio. Allo stesso tempo però, i finanziamenti Sace devono essere snelli e rapidi, altrimenti non assolvono al ruolo per cui sono stati istituiti. Nella Fase 1 l’emergenza sanitaria ha giustamente avuto la priorità su quella economica e le misure adottate dai governi sono state drastiche ma necessarie, ora è indispensabile uscirne con gradualità e responsabilità. E soprattutto occorre imparare da quanto accaduto, perché ogni tentennamento nella gestione dell’emergenza economica rischia di costarci carissimo. È indispensabile agire con forza e velocità, adottando poche misure, chiare ed efficaci. In economia, come in medicina, prevenire è meglio che curare. La velocità d’intervento è essenziale, se non vogliamo vedere impennarsi drammaticamente la curva dei disoccupati e delle famiglie sotto la soglia della povertà, così come – a causa di alcuni tentennamenti iniziali – si è impennata quella dei contagi.

Da dove cominciare?Dalla liquidità, per le aziende e le famiglie è vitale, ma – ripeto – deve essere tempestiva. Per esempio, in Francia, dove i parametri salariali sono simili ai nostri, quando sono entrate in vigore misure drastiche, si è deciso che le aziende avrebbero comunque corrisposto al lavoratore un compenso pari al 100% in caso di retribuzione uguale o inferiore al salario minimo. In caso di retribuzione superiore fino a 4,5 volte (quindi, fino a quasi 7 mila euro), le imprese avrebbero versato il 70% dello stipendio lordo per poi essere rimborsate dallo Stato. In Italia, invece…

L’intervista continua sul numero di Business People giugno

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