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Museo archeologico di Napoli: la storia è un (video) gioco

Collezioni, servizi e tanta tecnologia: così il Mann vuole imporsi sulla scena internazionale, recuperando il legame con la città che lo ha accompagnato fin dalla sua fondazione

Le nuove tecnologie possono rendere interessanti le statue, bellissime ma un po’ “ingessate”, di un museo archeologico? E possono spingere i ragazzi cresciuti a pane e smartphone ad appassionarsi a quei vasi antichi che sembrano alla fin fine tutti uguali tra di loro? Per rispondere sì non c’è bisogno di Alberto Angela, star della cultura in tv e dei social network grazie a quel suo mix unico di pacatezza e cultura. Se avrete la pazienza di leggere questo articolo – rubando un intercalare al figlio del celeberrimo Piero – vi spiegheremo come.

Il Mann e il videogame Father and Son

Tutto dipende da Michael, l’ambasciatore 2.0 del Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann). Michael, infatti, è il protagonista del videogioco Father and Son, prodotto proprio dalla struttura museale e sviluppato dall’Associazione Tuo Museo. Nel game in 2D – disegnato da Fabio Viola – il giocatore veste i panni di un ragazzo che si reca a Napoli, seguendo le istruzioni contenute in una lettera del padre archeologo. Il personaggio attraversa diverse epoche storiche, esplora le strade della città partenopea e visita le sale del Mann, tutte ricostruite a mano dall’artista inglese Sean Wenham. Attraverso i tanti incontri che fa sulla sua strada, Michael si trova così catapultato a Pompei nelle 24 ore prima dell’eruzione del 79 d.C., per poi ritrovarsi a visitare gli stessi luoghi nella ricostruzione digitale di quei luoghi ai giorni nostri.

I risultati di una simile operazione? Dopo i primi sette mesi dal debutto della versione in italiano e inglese – e cioè nello scorso novembre, al momento del rilascio delle edizioni in cinese, russo, francese, spagnolo e portoghese – Father and Son aveva totalizzato 1,2 milioni di download e un milione di ore di gioco. Ma soprattutto aveva registrato ben 12 mila giocatori che, partendo dalla realtà virtuale, avevano deciso di visitare in prima persona il Mann e avevano fatto il check-in all’interno del museo per sbloccare i contenuti originali riservati.

Le prossime novità? La seconda puntata del videogioco, la versione in napoletano (ideale per i fan di Gomorra, no?) e persino una trasposizione teatrale per un inatteso “ritorno” alla realtà. Non sbaglia chi vuole definire questa strategia un successo “mondiale”: in testa nella classifica della geolocalizzazione dei giocatori c’è l’India (17,9% dei download), seguita da Stati Uniti (8,8%), Italia (7,25%) e Indonesia (6,2%).

La trasformazione digitale del Museo archeologico nazionale di Napoli

Father and Son, però, è solo l’ultimo approdo di un lungo percorso di studio dei nuovi linguaggi di comunicazione per raccontare il Mann. Il 2017, per esempio, era iniziato con la proiezione sugli schermi dei cinema Uci dello spot-cartoon Heroes never change, che aveva trasformato il Museo Archeologico di Napoli in un fumetto. Inoltre, l’ente ha avviato una campagna di digitalizzazione delle collezioni permanenti, ha realizzato un’app per le visite in realtà aumentata del plastico di Pompei e percorsi di visita in realtà virtuale o basati sull’Internet of Things. Un’altra iniziativa curiosa, interessante e adatta a parlare ai giovani è quella delle Mann Stories: proprio come le “storie” tanto popolari sui social network, da Snapchat a Facebook, 50 brevi video di 3-4 minuti raccontano le opere più rappresentative della collezione attraverso la voce di chi ne cura ogni giorno la conservazione.

«Il Museo non è solo il luogo dell’identità, della conservazione, della ricerca; il Museo è soprattutto il luogo delle possibilità: una straordinaria occasione per gli uomini di oggi di contemplare le vette e condannare le miserie del passato per cercare di essere cittadini migliori nella contemporaneità », è la visione del direttore Paolo Giulierini. Si tratta di un amministratore visionario, che non ha paura di ospitare nelle sue “sacre” sale una mostra come Napoli nel mito. Storie, campioni e trofei mai visti (vedi intervista).

I numeri di successo del Mann

E i numeri gli danno ragione: nel 2017 il museo ha totalizzato 530 mila visitatori, 70 mila in più del 2016. Si tratta di cifre che ne hanno fatto una delle primissime strutture italiane. E le ambizioni non finiscono qui: ad aprile ha aperto anche una caffetteria, cioè il primo dei servizi pensato per iniziare la scalata al milione di biglietti venduti all’anno. Nel 2019, infatti, verrà completato il Braccio Nuovo con ristorante e self service, ma anche l’auditorium, i laboratori di restauro, nuovi spazi per la didattica e i giardini che consentiranno di passeggiare fino al centro della città. Un progetto ambizioso che si basa sul recupero di una parte della struttura deserta da anni e ormai preda della vegetazione. Il passaggio successivo sarà con il Comune di Napoli per l’uso di tre spazi nell’adiacente Galleria Principe di Napoli, anch’essa semiabbandonata, per esposizioni di opere di design e iniziative culturali. Così rinasce il legame tra il Mann e la città, il sogno di Carlo III di Borbone che volle la costruzione di questo tempio della cultura per celebrare la potenza, la ricchezza e la storia della propria famiglia. Così dal 1738, il re promosse l’esplorazione delle città vesuviane e avviò la realizzazione di un Museo Farnesiano, così chiamato perché vi trasferì le collezioni della madre Elisabetta Farnese. Fu poi il figlio Ferdinando IV, nel 1777, a riunire i reperti nell’attuale edificio, l’ex Regia Cavalleria che era divenuta nel frattempo l’Università Federico II, dove i primi allestimenti iniziarono nel XIX secolo.

Finalmente il Mann è tornato un luogo vivo nel tessuto culturale della città e, oggi, si pone non solo come custode della storia millenaria di questi luoghi e dei fasti dell’era borbonica, ma anche come portavoce internazionale di un territorio che da sempre convive con contraddizioni e cattiva fama.