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Amedeo Modigliani: da Dedo a Modì, l’artista maledetto

Le condizioni precarie di salute, la difficile situazione economica e sentimentale, oltre al legame indissolubile con la sua Livorno segnarono tutta l’esistenza dell’autore di opere uniche nella storia dell’arte, caratterizzate da una profondissima umanità

Un secolo fa, a girare per le peggiori caffetterie di Montparnasse a Parigi, potevi incontrare un italiano troppo magro, ma dagli occhi vivaci: era uno che aveva sempre voglia di altro tabacco da mettere nella pipa, di altro alcol da versare nel bicchiere. Non aveva mai soldi in tasca e allora, se era in vena, scarabocchiava su tovaglioli di carta o sul suo taccuino dei dessins à boire, dei disegnini per bere, che offriva ai clienti in cambio di un po’ di carità. Erano piccoli, a volte piccolissimi ritratti a matita: valevano allora qualche spicciolo, oggi una fortuna. Sono tra le opere che ci ha lasciato Amedeo Modigliani, che giusto cento anni fa, il 24 gennaio del 1920, moriva a Parigi in ospedale per le complicanze di una polmonite.

Modigliani nasce “Dedo”, ultimo di quattro figli e super-coccolato, a Livorno, nel 1884: la sua mamma è francese e avrà una notevole importanza nella sua formazione. È lei che gli regala i primi pennelli, è lei che lo stimola a creare: Dedo è delicato, si è ammalato da piccino di tubercolosi e con gli strascichi del morbo dovrà fare i conti per tutta la sua esistenza. Livorno non è una città d’arte come Firenze o Roma, ma la mamma di Amedeo è sveglia e, nonostante le ristrettezze economiche della famiglia (la leggenda narra che Modigliani venne alla luce in casa, mentre all’uscio bussavano gli esattori), gli permette di frequentare la bottega del pittore locale Guglielmo Micheli. A Dedo però Livorno sta stretta: comincia – con la complicità della madre – a viaggiare e a visitare le città più importanti del nostro Paese, poi si stabilisce a Venezia per seguire i corsi all’Accademia di Belle Arti. Siamo nel 1903, la rivoluzione impressionista è esplosa e Dedo ne capisce subito la portata. In Laguna resta solo tre anni, è a Parigi che vuole andare. Chissà che cosa immagina di trovare nella Ville Lumière. Lì Dedo si fa conoscere subito: quell’italiano così affascinante, sempre squattrinato ma dalla battuta pronta, gira le umide mansarde di Montparnasse.

All’inizio del secolo, il quartiere di Parigi che oggi è disegnato a uso e consumo dei turisti, era mal collegato con il resto della città: ci vivevano i poveracci, gli artisti a caccia di qualche gallerista che volesse scommettere su di loro. Andavano lì o a Montmartre, dove c’erano Toulouse-Lautrec che, volto emaciato e infermo, faceva la posta nei locali intorno a Pigalle; Renoir che girava per balere; Cézanne che seguiva una strada tutta sua; e un giovane e scaltro Picasso che stava già costruendo la più feconda (e remunerativa) carriera artistica del Novecento. È fatta di questi “compagni di bevute” la vita di Modigliani che, in poco tempo, da Dedo diventa Modì, nomignolo che gioca sulla pronuncia, in francese, di maudit, maledetto. La sua situazione economica era decisamente precaria (e anche quella sentimentale…), ma non dobbiamo lasciarci troppo distrarre dalle cronache dell’epoca che narrano delle tante volte in cui Modigliani fu costretto a lasciare la capitale francese per riparare a Livorno a respirare un po’ di aria di mare e di sole, e delle volte in cui, tornato caparbiamente a Parigi, si lasciava andare a facili eccessi: le litigate nelle osterie, le botte con Maurice Utrillo, per stabilire chi dei due sarebbe diventato il pittore più importante di Francia.

In realtà la cosiddetta “scuola di Montparnasse” non fu per Modì solo maestra di vita, ma ispiratrice profonda per la sua produzione artistica: sono gli anni in cui il livornese affina i suoi codici stilistici che lo rendono, ancor oggi e anche a chi non è esperto d’arte, rinoscibilissimo. Segni particolari: il collo lungo e gli occhi vitrei delle modelle, i nudi, le “maschere” che attingono alle forme dell’“arte nera” che in quegli anni –complici i traffici con le colonie – arrivavano in dosi sempre più massicce lungo la Senna. Modigliani disegna moltissimo e finché la salute glielo permette si dedica alla scultura, che dovrà abbandonare nel 1914 perché le polveri dei marmi e dei legni irritavano troppo i suoi polmoni già deboli. Nel frattempo, però, Parigi si accorge del suo talento dirompente, o meglio se ne rendono conto alcuni mercanti come Jonas Netter, ebreo alsaziano che mai farà mancare il suo sostegno a Modì, grazie alla complicità con il gallerista Lèopold Zborowski, cui negli ultimi anni l’artista affida i suoi lavori. Fino ad allora Paul Guillaume, altro gallerista ben introdotto, si era approfittato della scarsa propensione di Modigliani agli affari e pagava con gran ritardo l’artista: da Zborowski, grazie alla generosità di Netter, Modì poteva invece godere di uno stipendio di 300 franchi al mese. Un sostegno economico fondamentale per curarsi e soprattutto per nutrire la sua arte: lo racconta bene la mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre (in corso al Museo della Città di Livorno, fino al 16 febbraio).

Modì sta stravolgendo la rappresentazione umana: salvo qualche raro paesaggio, ispirato dalle brevi trasferte a Nizza fatte per alleviare la tubercolosi, l’artista ha infatti concentrato la sua ricerca pittorica sulle forme del volto e dei corpi. Si è detto dei colli lunghi, degli occhi senza pupilla, dei contorni dei volti che paiono maschere stilizzate: le tante modelle che frequentavano il suo atelier sono trasfigurate in un’immagine di donna ideale e primitiva, quasi una dea da venerare (o punire?). E se diverse perplessità sollevava questo suo bizzarro modo di dipingere, così diverso alla pennellata impressionista allora di moda, uno scandalo ben maggiore destano i suoi nudi. Le cronache dei giornali dell’epoca riportano che quando la Galleria Berthe Weill mise in vetrina alcuni nudi di Modigiani per promuovere la sua prima vera personale nella capitale francese, ci fu una tale rivolta nel quartiere che venne chiamata addirittura la polizia. Non bastavano più Netter e Zborowski a difendere Modì dall’accusa di dipingere solo “porcherie”. Risultato? Nessuno si azzardava a comprare un suo quadro. La tavolozza di Modigliani però in quegli anni è particolarmente vivace: l’artista trova un ocra-bruno luminoso per i corpi che gli è particolarmente congeniale, sulle tele s’incista uno stile che influenzerà profondamente Pablo Picasso e contribuirà allo sviluppo del Cubismo.

Modì lavora, ma le condizioni di salute peggiorano: accanto, ormai da qualche tempo, ha Jeanne Hébuterne. «Era molto scura, aveva un’aria molto dolce e un volto regolare con occhi all’orientale e un che di sognante, assente», la descrive l’artista: con Jeanne, noix de coco (noce di cocco, era il suo soprannome), Modì ebbe una relazione tra alti e bassi, dove litigate furiose seguivano a momenti di idillio. Jeanne non era solo una musa: era lei stessa pittrice e di talento non banale. Negli ultimi anni segue Modì come un’ombra: diede alla luce una bambina, che l’artista riconobbe solo in seguito all’impegno di sposare la donna. Non farà mai in tempo a realizzare la promessa, consumato dai disturbi polmonari: Jeanne, incinta di un nuovo figlio, si suiciderà il giorno dopo la morte dell’uomo per cui aveva sacrificato tutto. Modigliani diventa subito mito: si moltiplicano i falsi e le burle (come quella di 30 anni fa, delle false teste gettate nel Fosso Reale di Livorno), si susseguono le mostre, che fanno impennare le sue quotazioni. A oggi, insieme a pochissimi altri italiani, è nella top list degli artisti più ricercati e pagati sul mercato. Il “personaggio Dedo/ Modì”, con la sua tragica e precoce morte e la sua leggendaria vita bohemienne, non deve però offuscare la grandezza artistica di Amedeo Modigliani, scultore, pittore e disegnatore. Al netto di tutto quello di cui abbiamo parlato finora, restano opere uniche nella storia dell’arte, come questi nudi di taglio così ravvicinato e moderno, e un segno che alterna curve a linee spezzate, quasi fosse una partitura musicale. Restano, soprattutto, le sue figure deformate e, proprio per questo, di profondissima umanità.

Credits Images:

Amedeo Modigliani nel 1918 circa, fotografato nel suo laboratorio in Rue Caulaincourt a Montmartre (Parigi) - © Getty Images