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Canottaggio: storia di una passione che continua a conquistare gli italiani

Da sport minore a passione di massa. Forte delle vittorie tricolori ai Giochi olimpici, il canottaggio sfrutta le nuove tecnologie per ampliare le opportunità di allenamento

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«E andiamo a vincere!». Il grido di Giampiero Galeazzi sulle imprese del team Antonio Rossi e Beniamino Bonomi ai giochi olimpici di Sidney è probabilmente il commento sportivo più conosciuto di tutti i tempi. Vabbè, c’è anche «campioni del mondo!» di Nando Martellini sul 3 a 1 dell’Italia in finale con la Germania ai mondiali dell’82. Però «andiamo a vincere» ha saputo davvero dare voce a una disciplina minore e trasformarla nella nuova passione degli italiani. Un amore che dura ancora oggi: il canottaggio registra numeri in crescita, con oltre 60 mila affiliati alla federazione italiana che svolgono attività sportiva e agonistica. E non è facile, innanzitutto perché serve una imbarcazione, uno specchio d’acqua e una società attrezzata alle spalle. Insomma, non è la canoa che si noleggia a Cesenatico. Anzi, non si devono neppure chiamare canoe, sono barche. Stiamo parlando di veri e propri levrieri d’acqua in fibra di carbonio, capaci di filare impalpabili come se li spostasse il vento, con una linea filante e una resistenza che permette di sostenere il peso dei vogatori, fino a otto più il timoniere nelle ammiraglie, senza scendere più del necessario sotto il pelo dell’acqua.

Uno sport d’acqua che si pratica tutto l’anno, anche in inverno e al chiuso. Le gare si svolgono all’aperto su un percorso di 2 mila metri, ma ci si allena anche indoor, in palestre e palazzetti attrezzati con remoergometri, la versione moderna del vecchio “vogatore” o addirittura con la vasca voga, per simulare la vogata in acqua restando in piscina al caldo: si chiama indoor rowing ed è una vera disciplina con tanto di campionati nazionali, europei e mondiali.

È uno sport che si sta diffondendo anche fuori dai suoi confini tradizionali, basti pensare al coastal rowing, il canottaggio costiero, che permette a tutti di poter uscire in acqua e remare anche sulle onde: la disciplina ha attirato l’attenzione del comitato olimpico e sono in molti a ritenere che potrebbe rientrare tra le specialità alle Olimpiadi di Parigi nel 2024. Nel frattempo, il nostro team sta preparando le dieci barche già qualificate per i Giochi di Tokyo 2020, di cui una per le Paralimpiadi. L’aspettativa è alta: l’ultimo podio lo abbiamo guadagnato a Rio 2016 con il bronzo di Giuseppe Vicino, Matteo Castaldo, Marco Di Costanzo, Giovanni Abagnale, Domenico Montrone e Matteo Lodo ed è ora di ritornare in vetta. Per amor di storia, dal 1920 ad oggi abbiamo vinto 38 medaglie. Fra gli atleti più noti, oltre ai fratelli Giuseppe e Carmine Abbagnale e al timoniere Giuseppe “Peppiniello” Di Capua che hanno vinto due medaglie d’oro olimpiche, a Los Angeles nel 1984 e a Seul nell’88, e una d’argento nel 1992 a Barcellona, forse il vero mito è Giuseppe Moioli: ha vinto l’oro a Londra nel 1948 e ancora oggi, a 92 anni, lo potete incontrare mentre si allena sul vogatore, nella palestra della canottieri sul Lario. Personaggi famosi? Tra i manager più noti ha un passato di agonismo Leonardo Massa, oggi Country Manager Italia di Msc Crociere, e lo stesso presidente del Coni Giovanni Malagò frequentava da sportivo il Circolo Canottieri Aniene, diventandone poi presidente nel 1997.

Difficile dire chi ha inventato il canottaggio: l’uomo rema da sempre e anche gli antichi Romani gareggiavano sull’acqua. Il nome “regata” compare solo nel 1315 a Venezia ma, neologismo a parte, non è il canottaggio che intendiamo: si trattava di grosse imbarcazioni manovrate da un equipaggio di 50 uomini. La prima competizione ufficiale di cui si ha notizia nel resto d’Europa risale al 1715, una gara sul Tamigi dal London Bridge a Chelsea. Poi, nel 1818, alcuni studenti di Cambridge e Oxford fondano il Leander Club, la società remiera più antica del mondo e pochi anni più tardi due amici, Charles Merivale e Charles Wordsworth, uno studente di Cambridge e l’altro di Oxford, si sfidarono a remi sul Tamigi per decretare quale delle due Università fosse la migliore: a loro si deve la nascita della Boat Race, una tra le più celebri competizioni di canottaggio al mondo, una sfida che dura dal 1829 e si rinnova ogni anno. E se per cominciare a remare basta la voglia, andare avanti è questione di costanza. «Per fare canottaggio», spiega l’ex maglia azzurra e campione d’Italia Claudio Tranquilli, «ci sono tante cose di cui bisogna tenere conto: innanzitutto saper nuotare, poi avere voglia di condividere e socializzare, di farsi coinvolgere dagli altri. Ma è necessario applicarsi sempre e saper fare qualche rinuncia. Alla fine, la cosa più importante è uscire fuori dalle quattro mura domestiche e dalle città che ci avvinghiano con tutte le loro illusioni e imparare ad amare la natura con tutto ciò che ci circonda».

CANOTTAGGIO: LE MIGLIORI SOCIETÀ ITALIANE

La nascita a Firenze e TorinoLa prima storica società è la Canottieri Limite, nata nel 1861 a Firenze, sull’Arno. Tre anni dopo altre società aprono a Torino, sul Po: prima Cerea e Eridano, poi Armida, Esperia e Caprera. Sono queste che, nel 1888, danno vita al Rowing Club Italiano, che diventerà la Federazione Italiana Canottaggio di oggi.

Le realtà storicheVerso la fine dell’800 altre società aprono Roma (Tevere Remo), a Palermo e Trieste, poi in tutta la Penisola.

Le più grandiSe prendiamo in considerazione le gare vinte e i campioni, quelle con il palmares più ricco sono la Società canottieri Lario di Como, la Moto Guzzi di Mandello Lario, il Circolo Canottieri Aniene di Roma, l’Unione Canottieri Livornesi di Livorno, Il Barion di Bari.

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