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Autodromo di Monza: 100 anni per il Tempo della velocità

Il leggendario Autodromo di Monza spegne cento candeline ed è pronto al rilancio post-pandemia, grazie a una rinnovata partnership con la Formula 1 e a importanti investimenti in innovazione

L’avventura di quei luoghi così speciali da essere stati teatro della storia va misurata con un ordine di grandezza diverso dal normale, in secoli più che in anni. E proprio un secolo di vita festeggia l’Autodromo Nazionale di Monza, dove i piloti più forti e le auto più performanti dal 1922 scrivono alcune delle migliori pagine dell’automobilismo. Se lo stadio Giuseppe Meazza di Milano è la Scala del calcio, dimora di spettacoli indimenticabili, l’impianto brianzolo si è guadagnato nel corso dei decenni l’appellativo di Tempio della velocità. Perché c’è qualcosa di sacro, di divino che si nasconde tra questi rettilinei e queste curve: tra la Roggia e le Lesmo, tra la variante Ascari e l’impressionante Parabolica – intitolata nel 2021 a Michele Alboreto – hanno lasciato la loro impronta piloti dal coraggio sovrumano, leggende dei motori divenuti miti spesso per il loro tragico destino.

Le origini dell’Autodromo Nazionale di Monza

La pietra miliare segna 1922 e ne fa il terzo circuito più antico al mondo dopo il britannico Brooklands e l’americano Indianapolis, ma in nessun altro luogo la ricerca motoristica e tecnologica si è spinta così oltre: il telepass, i guardrail e l’asfalto drenante, per citarne alcuni, sono stati sperimentati e messi a punto proprio a Monza. Dalle imprese dei campioni alla vita di ogni giorno, insomma, tutti dobbiamo qualcosa a questo autodromo. Ne celebriamo l’anniversario anche se il circuito stesso era nato per festeggiare una data “tonda”, i 25 anni dell’Automobile Club Milano che ne varò la costruzione per rispondere alle esigenze delle case costruttrici italiane, che necessitavano di un impianto dove sperimentare le soluzioni. L’Ac Milano fondò la Società Incremento Automobilismo e Sport (Sias) per portare a compimento una pista di velocità e a un anello stradale affiancati. La prima pietra fu posata da Vincenzo Lancia e Felice Nazzaro alla fine di febbraio del 1922, ma i lavori furono subito fermati per tutelare il paesaggio. Il braccio di ferro portò a tre mesi di stop nei lavori e alla riduzione del progetto da 14 a 10 chilometri. In quello che sarebbe divenuto il Tempio della velocità, però, il tempo fu recuperato in fretta: 3.500 operai completeranno il progetto in 110 giorni e la pista fu percorsa nell’intero suo sviluppo per la prima volta il 28 luglio: una pista stradale di 5,5 chilometri e un anello per l’alta velocità – il “catino” – di 4,5 chilometri raccordati. C’erano anche già una tribuna d’onore da 3 mila posti e sei tribune laterali da mille ciascuna, oltre alle gradinate all’esterno delle curve.

Pionieri, lutti e record

L’apertura ufficiale dell’impianto avvenne il 3 settembre 1922, mentre l’8 settembre seguì il Gran Premio motociclistico delle Nazioni. Il 10 settembre si gareggiò per il secondo Gran Premio automobilistico d’Italia – il primo si era svolto a Montecatini – che fu appannaggio ancora dal pioniere Pietro Bordino sulla Fiat 804 a 6 cilindri. Da allora, a eccezione di quattro anni, l’appuntamento con Monza cade sempre all’inizio di settembre fino a oggi nel calendario del Mondiale di Formula 1. Solo sette anni dopo cadde su questa pista il primo muro, quello dei 200 chilometri l’ora nel giro più veloce di Achille Varzi su Alfa Romeo e Alfieri Maserati sul bolide omonimo. Durante la II Guerra Mondiale l’Autodromo assunse le più svariate funzioni da sede dell’archivio del Pubblico Registro Automobilistico (Pra) a rifugio per le bestie dello zoo di Milano. La rinascita postbellica venne decisa nel 1948 e anche in questo caso bastarono due mesi di lavori per tornare in attività. Il 17 ottobre, il rinato Autodromo di Monza ospitò il Gran Premio di Formula 1 che fu vinto dal francese Pierre Wimille su Alfa Romeo 158. È però nel 1955 che Monza subisce il restyling più corposo: il circuito torna sui 10 chilometri, viene ripristinato l’anello per la velocità collegato con il circuito stradale. È qui che, con la riduzione della lunghezza dei rettilinei, nasce una curva a falda unica e lieve inclinazione trasversale, caratterizzata da un raggio crescente verso l’uscita, da cui nasce il termine “Parabolica”.

Nel 1961, però, il pilota olandese Wolfgang Van Trips morì dopo un incidente con Jim Clark e la sua Ferrari andò a sbattere sulle reti uccidendo undici spettatori. Da allora il GP abbandonò l’anello ad alta velocità spostandosi definitivamente sul circuito stradale. Anche lì, però, il ricordo degli incidenti – nel 1973 cinque morti in due giorni nel motociclismo – e le prestazioni sempre più veloci, con arrivi testa a testa a 250 km/h, portarono alla costruzione delle due chicane prima delle curve più veloci della pista principale, presto sostituite dalle più famose e sicure “varianti”. Nel 1976 il circuito stradale fece un altro passo verso la modernità: mentre attorno si continuava a lavorare per la sicurezza – erano gli anni della ricerca dell’effetto “suolo” –, nascevano nuove strutture, tribune e venivano ripensati box e paddock in maniera più funzionale e nel rispetto del paesaggio del parco circostante. Nel 1979 la Ferrari tornò alla vittoria con Scheckter alla media di 212,185 km/h, davanti al compagno Gilles Villeneuve per una doppietta che mancava da 13 anni. Nuovi uffici, spazi, box vennero costruiti nel 1989 con edifici ad alta tecnologia e di notevole leggerezza visiva. L’inclinazione della parete vetrata sul fronte pista evita riflessi fastidiosi per i piloti e permette di vedere dall’alto anche la corsia box (48 elementi componibili). Nuovi importanti interventi sono sopraggiunti a metà anni Novanta e nel 2001-2002, arrivando a modificare la fisionomia dell’Autodromo per renderlo uno dei più belli e funzionali del mondo.

Nuovi orizzonti

Gli ultimi anni della gestione del Mondiale di Formula 1 da parte di Bernie Ecclestone, però, sono stati duri per i circuiti storici, in particolare per Monza. Nel 2013 si era arrivati a un accordo difficilissimo, tanto che lo storico boss del Circus aveva minacciato che presto il Gp d’Italia sarebbe sparito lasciando il posto a qualche tracciato ricco, ma senza identità. Una prospettiva inaccettabile per qualunque appassionato di motori. Alla scadenza anche di quel contratto nel 2016, grazie anche all’aiuto della Regione Lombardia, si era riusciti ad andare avanti con un altro accordo altrettanto sanguinoso. In seguito al cambio di gestione, con l’arrivo di Liberty Media, le cose sono cambiate per fortuna: prolungamento al 2024 a 24 milioni di dollari a stagione e futuro assicurato con tanta voglia di rilanciarsi nonostante il duro colpo della pandemia. Il 2020 senza pubblico – e senza fee annuale, se non altro – e il 2021 con appena 46 mila spettatori paganti nel weekend (erano stati 200 mila nell’ultimo pre-Covid) e 15 milioni di perdite non hanno frenato la voglia di velocità. «La primavera sembra ci porterà verso la normalità. Già ad aprile per il Gp di Imola tutto il movimento spera di avere le tribune piene, a settembre saremo pronti per riaccogliere il popolo italiano dei motori», è la promessa del presidente di Sias, la società di Aci e Automobile club Milano che gestisce il circuito, Giuseppe Redaelli. A che serve un tempio senza fedeli?

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