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Lavoro

Lavoro: il post-pandemia non piace agli imprenditori

Il rischio è che la ridotta propensione al cambiamento rallenti la ripresa

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Smart working, ripensamento degli ambienti di lavoro, valorizzazione delle soft skill, digitalizzazione: è innegabile che la pandemia abbia avuto un forte impatto sul mercato del lavoro andando a rendere necessarie soluzioni organizzative del personale. Quello che, però emerge dalla ricerca “Employer Branding – New Normal: che tempo che fa nella vostra impresa?”patrocinata da IAA – International Advertising Association e condotta su un campione di oltre 200 manager italiani nei settori delle risorse umane, marketing e comunicazione – è che se queste novità sono molto apprezzte dai lavoratori, lo sono però molto meno dagli impreditori. In particolare, sottolinea Andrea Cioffi, vicepresidente di IAA Italy e coordinatore della ricerca, i cambiamenti post-Covid19 della dimensione organizzativa delle imprese trovano ostacolo in “un’ancora ridotta propensione al cambiamento (dei leader, ndr), aspetto che rischia di impedire alle imprese di essere competitive nel mercato del lavoro”. Insomma, il rischio è che sia questo atteggiamento di manager e imprenditori a frenare la ripartenza.

Tutto corre tranne i contratti

Ma quali sono i cambiamenti più importanti osservati nell’organizzazione aziendale rispetto all’epoca pre-pandemica? Gli intervistati rispondono: lo smart working (70%), la valorizzazione delle soft skills (76%), e poi la maggiore digitalizzazione e automatizzazione di processi organizzativi (62%), le competenze digitali (60%) e smart-workplace, ovvero la ri-concettualizzazione degli ambienti di lavoro in uno stile più personale e meno da ufficio (60%). “Quello che non sembra essere cambiato, riguarda le tipologie di forme contrattuali”, riassume Andrea Cioffi di IAA Italy. “Nelle imprese di medio – grandi dimensioni (oltre il 70% del campione) la diffusione di forme contrattuali a breve termine o di tipo non subordinato sembra essere stato contenuto”. Andando quindi ad analizzare i fattori abilitanti e ostativi il cambiamento organizzativo emerge che lo stile di leadership rappresenta il più importante fattore abiliante o, contemporaneamente anche ostativo, a seconda di quanto la leadership sia diffusa e con quali modalità, sintetizza Andrea Cioffi, con a seguire il livello di maturità digitale delle persone (52%), il modello organizzativo adottato 51,47% e la tecnologia a supporto dello svolgimento del lavoro (43%).

Employer branding, questo sconosciuto

Dalla ricerca emerge inoltre come le imprese rispondenti adottino approcci poco strutturati in materia di “employer branding”, ovvero quell’insieme di valori e qualità che l’azienda riesce, con la comunicazione soprattutto, a trasferire al proprio marchio rendendosi attrattiva per mercato, consumatori e forza lavoro. “Un ambito professionale, ancora poco esplorato e che quindi può rappresentare un’opportunità per il futuro, se colta per tempo”, commenta Cioffi. “Infatti solo il 44% delle aziende ha formalizzato una strategia di employer branding, pur in assenza di metodologie formalizzare da seguire, visto che il 64% dei manager dichiara che non è stato seguito nessun modello per la formulazione della strategia di employer branding”. Inoltre, solo il 40% dei rispondenti dichiara di avere una strategia per la comunicazione verso l’esterno della strategia di employer branding, percentuale che scende al 35% se si considera la comunicazione interna.

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Foto Andrea Piacquadio on Pexels