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Lavoro

Formazione: come cambiano le skill

Il gap tra domanda e offerta è più ampio che mai, ma i fondi per la formazione offerti dal Pnrr potrebbero contribuire a colmarlo. Purché vengano investiti nel modo giusto…

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L’innovazione tecnologica, la globalizzazione e il nuovo business digitale e smart – emerso durante la pandemia e ora alla prova dei fatti – hanno profondamente cambiato il mondo del lavoro. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 l’automazione e la ridistribuzione del lavoro tra uomini e macchine nelle medie e grandi imprese faranno perdere 85 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. E il 50% di chi manterrà l’impiego dovrà concentrarsi sullo sviluppo di nuove competenze, per non restare tagliato fuori. Guardando ancor più lontano, l’Ocse stima che nei prossimi 15-20 anni l’automazione finirà per cancellare il 15% circa degli attuali posti di lavoro, mentre per un ulteriore 32% degli occupati saranno richieste mansioni e competenze sostanzialmente diverse da quelle attuali.

Per far fronte a questo scenario complesso e in rapida evoluzione occorre investire in formazione. Lo stiamo facendo? «Sebbene In Italia si assista da anni a una graduale e costante riduzione degli investimenti sulla formazione, sia pubblici che privati e ad ogni livello», dice a Business People Nicola Spagnuolo, direttore del Centro di Formazione Management del Terziario (Cfmt), «la quantità di risorse destinate alla formazione è esponenzialmente aumentata grazie alle ingenti risorse del Pnrr. Ciò che preoccupa maggiormente in vista di un nuovo futuro pertanto non è la quantità delle risorse investite, ma la loro qualità. La formazione dovrà essere sempre meno massiva e sempre più personalizzata, adattando contenuti, modalità e strumenti formativi più efficaci alle diverse esigenze di aziende e individui».

Questo articolo è tratta da Formazione permanente, inserto di Business People dedicato al life long learning. Puoi leggere l’inserto sul numero di maggio 2022, in edicola, o in versione digitale (iOs e Android)

Per il World Economic Forum l’Italia sconta un forte gap tra domanda e offerta qualificata. Da noi, dice il report, i lavoratori hanno un grado di conoscenze digitali inferiore rispetto ai colleghi di altri Paesi europei. Lo stesso vale per il grado di istruzione: solo nel 14% dei casi si arriva a livelli avanzati, contro il 30% in Francia e il 25% in Germania. Nel contempo rimane elevata la richiesta da parte dell’industria di forza lavoro altamente qualificata. Significa che molto probabilmente nei prossimi anni si verificheranno fenomeni di skill mismatch, cioè asimmetrie profonde tra domanda e offerta di professionalità. È indispensabile quindi migliorare le competenze fornite da scuola e università, ma anche le abilità e le conoscenze delle persone in età adulta e durante tutta la vita lavorativa: si chiama life long learning, cioè formazione permanente. Un business, quello dell’educazione così intesa, che sul mercato globale vale attualmente 6 mila miliardi di dollari, dice Global Education, fondo gestito da Sycomore A.M., ma che potrebbe raggiungere i 10 mila miliardi di dollari entro il 2030.

Del resto, l’utilizzo della tecnologia è stato fondamentale nella lotta contro la pandemia e gli esperti prevedono un suo ulteriore aumento nei prossimi cinque anni. Per questo è importante l’acquisizione di nuove competenze da parte del personale che opera in questi settori. «In tale contesto, il livello di competizione cresce», dice Emanuele Castellani, Ceo di Cegos Italy & Cegos Apac, «e si riduce il time to competence, ovvero il tempo che si può attendere per disporre delle skill necessarie. Vale sia per le aziende, che senza le persone giuste perdono produttività, sia per le persone, che senza le giuste competenze perdono appeal sul mercato del collocamento. Il punto d’incontro diventa l’investimento in una formazione organizzata e strutturata da parte delle aziende ma anche da parte degli individui, che devono iniziare a farsi carico del proprio bagaglio di conoscenze investendo almeno il 10% dell’equivalente del tempo lavorativo in formazione. Il nostro Paese, grazie al Pnrr, al Fondo Nuove Competenze e al Digitale 4.0, sta recuperando terreno e alcuni gap si stanno colmando». I cambiamenti nell’economia e nei mercati del lavoro, aggiungono i ricercatori del World Economic Forum, comporteranno un decremento dal 15,4% al 9% del personale che svolge ruoli superflui, mentre le nuove professioni subiranno un incremento dal 7,8% al 13,5%. In particolare, è possibile stimare che entro il 2025 verranno creati in tutto il mondo 97 milioni di nuovi posti di lavoro, soprattutto nelle industrie hi tech, nei settori dell’intelligenza artificiale, nel campo della creazione di contenuti e della green economy.

La crescita dell’automazione e della digitalizzazione avrà però un effetto negativo su molte persone e nella lista dei lavori che spariranno ci sono quelli legati all’immissione dei dati, la contabilità e il supporto amministrativo, sempre meno richiesti perché sostituibili con le macchine. Così le aziende corrono ai ripari. Il 43% di quelle intervistate afferma di essere disposta a ridimensionare il proprio organico a causa dell’integrazione della tecnologia e il 41% prevede di ricorrere all’outsourcing delle attività specializzate. Le posizioni che richiedono competenze umane saranno sempre più richieste, mentre le macchine si concentreranno principalmente sulle informazioni e sull’elaborazione dei dati, le attività amministrative e il lavoro manuale o di routine, per il quale non serviranno più gli impiegati.

«Oggi c’è una vera e propria caccia ai talenti», dice Irene Vecchione, amministratore delegato di Tack TMI Italy, brand globale di Gi Group Holding per il learning & development, «non necessariamente con capacità e potenziale straordinari, ma persone con le caratteristiche per cogliere la sfida dell’evoluzione tecnologica e di mercato. Le imprese soffrono una forte carenza di personale e agire sul sistema istruzione diventa fondamentale, ma non risponde a fabbisogni immediati: serve formazione continua, costruire nuove competenze, ampliare le skill esistenti e acquisirne di diverse. Occorre investimento diretto delle aziende e supporto di partner esterni e da fondi interprofessionali, risorse regionali o bandi nazionali, purché rispecchino necessità reali su contenuti e tempi di attuazione. L’Italia ha molta strada da fare ma sarà un fattore critico per la crescita del Paese. Se un tempo il primo budget a essere tagliato era quello della formazione», conclude Vecchione, «oggi è al centro della strategia per lo sviluppo del business ed è diventato un asset fondamentale senza il quale la competitività è a rischio». Perché in futuro le aziende più competitive saranno quelle che hanno investito molto nel proprio capitale umano, nelle capacità e nelle competenze dei propri dipendenti.

Basta gerarchie, serve più autonomia

Il senso dei manager per il futuro

Pensiero critico, capacità analitiche e di problem solving sono funzioni che la maggior parte degli adulti possiede, ma i modelli organizzativi che hanno dominato il mondo del lavoro negli ultimi cento anni ne hanno sempre disincentivato l’utilizzo. La creazione di un senso di comunità, connessione e appartenenza deve partire dal presupposto che i dipendenti sono persone adulte, libere e responsabili. Per generare appartenenza ed engagement è necessario promuovere una visione organizzativa che punti a superare le strutture gerarchiche, attuando il cambiamento attraverso principi come la chiarezza dello scopo, la responsabilità e l’autonomia delle persone.

Francesco Frugiuele, Kopernicana

Futures literacy è la competenza che l’Unesco ci consiglia per rimanere protagonisti attivi dei cambiamenti veloci ed esponenziali che ci circondano. Consiste nella capacità di combinare le conoscenze e le tecnologie che ci aiutano a comprendere il presente, dall’immaginazione al visioning, per riuscire a sviluppare un senso del futuro. È una competenza che impatta nella vita delle persone, ma anche le dinamiche delle aziende. Essere una persona future literate significa apprendere come utilizzare il futuro per innovare il presente, sfruttare al meglio le infinite possibilità che ci offre e non avere paura di immaginare ciò che ancora non si conosce.

Franco Amicucci, fondatore di Skilla

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