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Lavoro

Formazione aziendale: un mix di “esperienze” e “personalizzazione”

Anche attraverso i dati del recente rapporto ‘Corporate Education Community’, approfondiamo due parole chiave per l’apprendimento. Perché, per tenere il passo con l’aggiornamento di vecchie e nuove competenze, non è sufficiente far evolvere le modalità di fruizione dei corsi, sempre più erogati in formula blended

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Le tecnologie digitali sono entrate prepotentemente nei meccanismi di formazione aziendale. Basti guardare ai numeri del mercato globale dell’education technology che nel 2020 si attestava sugli 89,5 miliardi di dollari e che, secondo una recente analisi del MIP Politecnico di Milano, arriverà a toccare un valore compreso tra i 368 e i 406 miliardi di dollari entro il 2025. La componente tecnologica, spinta dall’inevitabile social distance imposta dalla pandemia da Covid-19, non basta, però, a spiegare l’evoluzione della formazione in azienda.

Si registra un nuovo modo di progettare e implementare la formazione, con un focus più marcato sulla persona, che va di pari passo alle modalità di fruizione. Si va consolidando la formula blended, ma va ancora trovato il giusto equilibrio tra online e corsi o seminari in presenza. Quello che appare evidente, dalle opinioni degli esperti e dalle più recenti ricerche sul tema, è il profondo cambio, non solo di pelle, che sta vivendo la formazione aziendale. Da mero strumento di supporto ai processi aziendali e di aggiornamento delle competenze di base sta mutando verso un modello diverso, rivelandosi un vero e proprio strumento di applicazione dell’indirizzo strategico dell’impresa.

«Negli ultimi due anni si è sicuramente assistito a un boom dell’online e del blended learning, due trend che erano già presenti pre-pandemia ma su cui le aziende hanno dovuto accelerare, per forza di cose, un cambiamento già in atto», spiega a Business People Beatrice Manzoni, Associate Professor of Practice di Leadership, Organizzazione e Risorse Umane della Sda Bocconi School of Management. «Modelli di apprendimento online e blended hanno favorito una riflessione rispetto all’opportunità di costruire percorsi più personalizzati, su misura e più flessibili nell’erogazione e fruizione, oltre che più integrati con il resto della vita e delle esperienze aziendali». Il cambio di passo, precisa Manzoni, sta nella consapevolezza che l’apprendimento sia un processo, che «non si esaurisce nei giorni del “corso”, ma si sviluppa nella vita di tutti i giorni perché capitalizza esperienze di apprendimento formali e informali. È personale perché ognuno ha bisogni, stili di apprendimento e motivazioni diverse; è sociale e collaborativo perché si realizza in un contesto più ampio e anche grazie alle interazioni con altri, in aula e fuori dall’aula».

Il rapporto Corporate Education Community 2021

Tommaso Agasisti, Associate Dean for Internationalization and quality del Mip – Politecnico di Milano, ha curato con un team di otto ricercatori il primo rapporto della Corporate Education Community (Rapporto CEC 2021) e sta lavorando alla seconda edizione in questi mesi. Un’indagine che ha coinvolto 100 aziende, con 60 partecipanti e cinque focus group, analisi di casi e interviste. Anche se quel legame tra strategia aziendale e formazione è ancora tutto da concretizzare (solo un terzo del campione della ricerca dedica una sezione del proprio piano strategico alla formazione) e nonostante la tradizionale visione della formazione come attività finalizzata all’aggiornamento professionale sia al primo posto, sono evidenti i segnali del cambiamento. Il 64% delle imprese sostiene di usarla per innescare dei cambiamenti culturali nei propri dipendenti, il 47,7% per creare un effetto motivazionale e il 56,3% per attrarre e trattenere talenti. «Il numero di persone che l’impresa dedica alla pianificazione e alla gestione della formazione è cresciuto: nel 2019 si calcolava un “equivalente a tempo pieno” (Fte) di circa sette per azienda, nel 2020 questo valore è cresciuto fino a 8,4 Fte. Questo è il dato che mi ha stupito di più», ammette Agasisti, «non mi aspettavo una crescita così marcata. Ritengo sia un indice della crescente consapevolezza dell’importanza del capitale umano. Certo, c’è anche un’altra valida interpretazione: la spinta tecnologica può aver portato a cercare nuove competenze – e quindi anche personale aggiuntivo – per implementare piani di formazione con strumenti digitali e fruibili da remoto. Questo ci conferma un altro aspetto: non è vero che la digitalizzazione della formazione implichi meno lavoro umano, al contrario servono risorse». Mentre sulla formula trionfa, come detto, l’implementazione di percorsi di formazione blended, l’impiego di piattaforme digitali per l’online learning ha raggiunto rapidamente un elevato grado di maturità, con crescita rilevante del grado di utilizzo.

Il doppio significato della formazione blended

«Attenzione quando usiamo il termine blended», sottolinea Agasisti, «perché ha due significati. Un primo modo di intenderlo è la formula mista tra online e corsi in presenza; un secondo è “formazione asincrona vs. sincrona”, ossia il tutti insieme nello stesso momento contrapposto all’autoformazione. Vediamo molte aziende andare in questa direzione. Per esemplificare: un corso sulle nuove procedure da adottare può essere veicolato con grande efficacia con lezioni online, riservando ai momenti in presenza – percepiti come di maggior valore – la discussione tra colleghi su eventuali punti di forza e debolezza riscontrati».

L’impegno nella formazione aziendale di:

Axpo

Philip Morris

Prysmian

Sisal

Sulla stessa lunghezza d’onda Beatrice Manzoni della Sda Bocconi: «Userei due parole chiave: esperienze e personalizzazione. Si parla sempre meno di corsi di formazione e sempre di più di esperienze di apprendimento. L’apprendimento delle persone è al centro e sono diversi i momenti e le attività che possono contribuire a esso. L’apprendimento avviene in aula, sia essa in presenza o online, sincrona o asincrona, ma anche fuori dall’aula, nello scambio continuo con capi, colleghi e collaboratori. È formale, ma anche molto informale. Si lavora poi sempre meno su una formazione standardizzata e più su proposte che tengano conto delle esigenze di apprendimento individuali, che coinvolgano le persone nella messa a fuoco dei gap e nella progettazione e che prevedano percorsi di apprendimento che consentano alle persone di gestirsi in modo più flessibile».

Su quali temi si concentreranno le imprese e quali competenze punteranno a sviluppare maggiormente? Spiega ancora Manzoni: «Se guardiamo alle ricerche più recenti, ritornano spesso queste competenze: il fatto di saper lavorare in contesto interamente digitale o ibrido, risolvere problemi in modo creativo e innovativo, usare l’intelligenza emotiva per gestire in modo efficace la collaborazione con gli altri. Si parla tanto anche di flessibilità, adattabilità e resilienza. Quanto queste siano competenze effettivamente è tutto da vedere». Il Rapporto CEC 2021 sulla corporate education vede la trasformazione digitale in vetta alla classifica delle principali tematiche di formazione per il prossimo triennio, seguita da smart working e diversity & inclusion. Segno della volontà di rendere inclusiva la “nuova normalità” del lavoro. «La prossima edizione del rapporto», conclude Agasisti, «svilupperà un focus tematico sui temi humanities for business. Un trend che ci appare già come degno di grande attenzione: si va da modelli di formazione hard a contenuti formativi che definirei riguardanti la sfera umana e sociale degli individui. Con un assunto importante: che la produttività sul lavoro dipenda anche dalla cura di questi aspetti. Un secondo punto da indagare per capire in che direzione andrà la formazione nei prossimi anni è quale sia il futuro prossimo del digitale. Vedremo quanto rimarrà del boost degli ultimi anni».

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