Fondazione Cesvi: a sostegno di uno sviluppo sostenibile

Approfondiamo il lavoro di un’associazione che da quasi 40 anni coopera con le comunità locali per affrontare le emergenze e mettere le basi per un futuro migliore

Dove c’è un’emergenza umanitaria Fondazione Cesvi è presente. Si potrebbe riassumere così l’attività della Ong nata a Bergamo, nel 1985, da un gruppo di volontari di ritorno dal Centro America. Agli albori l’ambito nel quale spendersi era quello agricolo ma, col passare degli anni, le dimensioni di Cesvi sono aumentate fino a diventare un vero e proprio punto di riferimento della cooperazione internazionale, che conta oltre 100 progetti in 20 Paesi del mondo, seguiti da un’équipe di un migliaio di persone dislocate nei cinque continenti. I volontari, importantissimi per la fondazione, affiancano una serie di professionisti che garantiscono competenze, ordine e sviluppo. Il 90% sono persone provenienti dai luoghi dove Cesvi opera, mentre il restante 10% è costituito da personale specializzato espatriato, che fa da mentore agli operatori in loco che necessitano di un affiancamento per guadagnare conoscenza ed esperienza.I campi di intervento sono molteplici: dalla lotta alla fame alla protezione dell’infanzia, dalla salute alle catastrofi naturali, senza dimenticare le emergenze che hanno segnato la storia recente del mondo, non ultime la pandemia e il conflitto tra Russia e Ucraina ancora in corso.

La virtù di Cesvi è rifuggire il mero assistenzialismo, cercando al contrario lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo non è permanere all’interno di un Paese, ma creare le condizioni affinché riesca ad andare avanti con le proprie forze, coinvolgendo e formando le risorse locali. «Alla base del nostro impegno c’è sempre la collaborazione con chi vive nel luogo in cui interveniamo», spiega Roberto Vignola, vicedirettore generale di Cesvi. «Al termine dell’emergenza creiamo le condizioni per ripristinare un ecosistema favorevole alla ripresa della normalità. Crediamo fortemente che lo sviluppo avvenga attraverso la cooperazione».

Negli anni la fondazione ha portato avanti diverse battaglie, una su tutte la lotta contro la fame nel mondo. Spesso generata dalle guerre o dai cambiamenti climatici che impattano in modo particolare su alcune aree del Pianeta, questa emergenza è stata oggetto di approfondimento da parte di Cesvi: «Noi interveniamo non solo per contrastare la malnutrizione, ma anche per creare ecosistemi sostenibili e che favoriscano la produttività in termini agricoli», continua Vignola. «Parliamo di smart agricolture, un nuovo modo d’intendere l’agricoltura, e mi viene in mente quanto fatto in Zimbabwe. Qui Cesvi ha dato vita, con la partecipazione degli abitanti dei villaggi, a un aranceto di 93 ettari costituito da 22.500 alberi d’arancio, la cui produzione annua ha raggiunto oggi oltre 800 tonnellate, di cui la maggior parte vendute a una azienda che fin dagli inizi è partner del progetto. Abbiamo coinvolto i contadini che, di fatto, sono diventati gli azionisti di questa attività. Al contempo, tra un filare e l’altro, sono state inserite altre coltivazioni, ad esempio le zucche, che non solo producono cibo, ma anche semi ricercati da altre aziende che li acquistano. Così è nata una seconda linea di introiti per queste persone, che oggi vivono sicuramene in una condizione più accettabile rispetto a un tempo».

Un semplice esempio per spiegare la componente imprenditoriale che sta dietro al modo di operare di Cesvi. Ma la cooperazione allo sviluppo è tale quando, una volta finito l’intervento, il modello continua a funzionare camminando sulle proprie gambe. Un modello su tutti è quanto messo in campo nella lotta all’Hiv sempre in Zimbabwe e in Sud Africa, tra la fine degli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio. Una campagna che ha visto Cesvi protagonista e su cui sono stati raggiunti grandi risultati: «Quando l’epidemia era dilagante abbiamo messo a punto un protocollo di prevenzione della trasmissione del virus da madre a bambino», ricorda Vignola. «Il protocollo consentiva alla mamma sieropositiva di partorire un bambino sano. Abbiamo lavorato con i governi locali, abbiamo introdotto il protocollo negli ospedali con campagne di sensibilizzazione nella popolazione e, dopo tanti anni, i risultati attesi: il tasso di infezioni era diventato bassissimo. Nel 98% dei casi eravamo in grado di far partorire un bambino senza infezione. Raggiunto l’obiettivo, abbiamo fatto il passaggio di consegne lasciando il protocollo al governo locale».

Ma l’operato di Cesvi non si ferma qui e anche negli ultimi anni le emergenze non sono mancate. La recente guerra scoppiata nel cuore dell’Europa ha visto l’ong muoversi in rete. La fondazione, infatti, fa parte di un network europeo più ampio che prende il nome di Alliance2015, una sorta di consorzio che si attiva in situazioni di emergenza. In tempi record il network è stato in grado di mobilitare aiuti da Est a Ovest del Paese. È chiaro che, anche se sono trascorsi diversi mesi dall’inizio del conflitto, si vive ancora una fase emergenziale: gli sfollati interni si spostano nei centri di accoglienza istituiti dallo Stato ma in molti casi i servizi scarseggiano. «Noi portiamo cibo, acqua e adeguiamo le strutture dove i profughi alloggiano. Al contempo come Cesvi Italia abbiamo realizzato un’iniziativa di accoglienza in Ungheria, a due chilometri dal confine. Abbiamo accolto 10 mila profughi erogando pasti, dando ospitalità notturna e orientando sulla scelta migliore da fare in una condizione non facile».

In questo contesto non viene mai meno una delle vocazioni di Cesvi: la grande attenzione ai bambini. «In Romania abbiamo messo in campo due progetti di accoglienza, sia a Nord che a Est, per mamme e bambini in fuga dalla guerra», riprende Vignola. «In Polonia, grazie a un finanziamento, siamo riusciti ad affittare una struttura per ospitare 100 madri con figli per alcuni mesi. Mentre sono lì offriamo loro un orientamento professionale, corsi di lingua, la possibilità di ricercare offerte lavorative. Infine, da un paio di mesi siamo attivi a Bucha, oggi tristemente nota come il teatro degli orrori. Qui portiamo avanti un programma di ricostruzione delle scuole e supporto psicologico per donne e bambini che hanno visto atrocità incredibili. Quest’ultimo esempio descrive bene il nostro modus operandi: si interviene nell’emergenza, si soddisfano i bisogni primari, ma poi si lavora per lo sviluppo». Sul tema minori, in realtà, Cesvi è attiva da 25 anni. Nel tempo sono nate le Case del sorriso, strutture “ponte” e luoghi di socializzazione che offrono servizi ai bambini delle periferie degradate delle grandi città di tutto il globo. Qui trovano accoglienza orfani, minori sfruttati, donne vittime di violenza con i propri figli. Dove non esistono le strutture, Cesvi attiva un programmo messo a punto negli anni, con interventi mirati per i minori.

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