Non ha una sede vera e propria e non è stata ancora riconosciuta ufficialmente come Ong, visto che per questo servono almeno tre anni ed è nata da due. Inoltre, con i pochi soldi a disposizione può permettersi uno staff di sole tre persone. Eppure riesce ugualmente a mettere in ginocchio le multinazionali, in una sorta di riedizione odierna della lotta biblica di Davide contro Golia. Nei panni del giovane prescelto d’Israele c’è Source International, onlus creata per aiutare le comunità locali in ogni angolo del mondo a relazionarsi coi grandi gruppi che effettuano attività estrattive a ridosso dei villaggi. Trovando le prove di eventuali danni ambientali causati da questi giganti, l’organizzazione riesce, infatti, a ottenere benefici per la popolazione del posto, dallo stop agli interventi a progetti di risanamento fino a importanti indennizzi.
L’intuizione è venuta qualche anno fa a Flaviano Bianchini, 33 anni e una laurea in Scienze naturali e ambientali a Pisa, sulla spinta di una dedizione per il rispetto dell’ambiente che lo ha portato a lavorare in giro per il mondo fin da quando, appena ventenne, andò «da solo in Spagna per aiutare nella ripulitura dopo il naufragio della petroliera Prestige». È nell’autunno 2005 che il suo impegno conosce una svolta. «Durante una conferenza a Milano», racconta, «entrai in contatto con un’attivista che si occupava dell’impatto delle attività minerarie in Guatemala. Tuttavia, il suo lavoro non era suffragato da alcun dato scientifico». E lì si accende la lampadina: perché non mettere a disposizione le proprie competenze per certificare i danni delle miniere? Detto, fatto. «Nel febbraio 2006», continua, «dopo essermi laureato e aver raccolto 7.500 euro, sono partito per stare un anno tra Guatemala, Honduras ed El Salvador a raccogliere dati sull’inquinamento delle industrie estrattive».
Rientrato da quel lungo viaggio, niente era più come prima. «Mi dicevo che non potevo fare finta di nulla», ricorda. «Avrei potuto decidere di fare il semplice scienziato, magari al Cnr o all’università, dove fai ricerca e raccogli dati». Ma in quei Paesi del Centro America Bianchini non si era limitato a questo. «L’idea di creare un’organizzazione», spiega oggi, «è arrivata proprio quando ho capito che non basta raccogliere dati e informazioni, bisogna che servano a qualcosa, che portino risultati concreti». Gli esempi al riguardo non mancano. Il più clamoroso è forse quello di Carizzalillo, nello Stato di Guerrero in Messico. «Quando siamo arrivati, la compagnia mineraria GoldCorp», racconta Bianchini, «guadagnava 400 milioni di dollari all’anno da quelle estrazioni, e niente andava alla comunità locale, un Paese di 1.600 abitanti con l’aria infestata da polveri sottili, l’acqua del fiume e dei pozzi inquinata, piena di piombo e arsenico, riscontrati anche nel sangue della gente». Ebbene, lì grazie agli studi di Source International che hanno certificato i danni inferti agli abitanti, «abbiamo ottenuto un piano di cinque anni in cui la comunità riceverà 50 milioni sotto forma di opere pubbliche come una nuova fonte d’acqua e un nuovo sistema fognario oltre a 90 borse di studio all’anno per i giovani». Nel vicino Honduras, invece, il team si è spinto fin nei palazzi del potere, ottenendo l’abolizione di 13 articoli della legge sull’attività mineraria, dichiarati incostituzionali dalla Corte suprema perché consentivano alle compagnie di inquinare in maniera indiscriminata, violando il diritto alla salute della popolazione locale. La multinazionale invece di adeguarsi se n’è andata. «Non vogliamo fare chiudere tutte le miniere del mondo», precisa Bianchini, «sappiamo che i minerali estratti li utilizziamo tutti i giorni, ma ci interessa che queste compagnie si comportino in maniera corretta».
NON VOGLIAMO far chiudere tutte le miniere del mondo, ma ci INTERESSA CHE LE compagnie SI COMPORTINO in maniera corretta
Resta, infine, una domanda: ma chi finanzia queste attività? Forse Source International intasca una percentuale dagli indennizzi pagati dalle multinazionali che fa ottenere alle comunità locali? «Non funziona così», risponde il fondatore: «Il nostro lavoro si basa su un rapporto di fiducia con le popolazioni locali, se vieni percepito come una persona che è lì per fare affari, ti rifiutano». E visto che di finanziamenti ce ne sono sempre meno – quasi nessuno dall’Italia, la maggior parte dagli Stati Uniti – «stiamo ragionando su come migliorare il nostro business model, anche se al momento ancora funzioniamo come una classica Ong, cioè all’80% con contributi dall’esterno». Se alle comunità locali «non possiamo chiedere niente», ecco che «si potrebbe sviluppare un modello in cui gli utilizzatori finali dei minerali controllano la loro catena di approvvigionamento». Quindi, facendo un esempio, «un gioielliere acquista l’oro da una determinata miniera dove è presente Source International e paga anche questo servizio di protezione della comunità locale». Una cosa è certa: «A noi basta poco per fare tanto. Non teniamo convention che possono costare anche 20 mila euro. Con quei soldi finanziamo un intero progetto per una miniera, puntiamo su un modello organizzativo super-leggero senza spese fisse di sorta». Allo stesso modo, «quando lavoriamo con le comunità locali, viviamo con loro, beviamo la loro acqua sporca, condividiamo la loro vita. Solo così vieni accettato».
PROGETTI IN CORSO |
ATTUALMENTE SOURCE INTERNATIONAL È AL LAVORO SU 16 PROGETTI IN NOVE PAESI SPARSI IN QUATTRO DIVERSI CONTINENTI, MENTRE FLAVIANO BIANCHINI È APPENA RIENTRATO DAL NORD DEL MESSICO, DOVE HA RACCOLTO LE PROVE DEI DANNI DI UNA PERDITA DI ACIDO SOLFORICO AVVENUTA AD AGOSTO. ANCHE IN ITALIA L’ASSOCIAZIONE È AL LAVORO: IN BASILICATA MONITORA L’ESTRAZIONE PETROLIFERA NELLA VAL BASENTO, ED È STATA CHIAMATA A PANTELLERIA NELL’AMBITO DEL DIBATTITO SUI PROGETTI DI ATTIVITÀ ESTRATTIVA. |