Curare sempre, anche quando la medicina non ammette speranze. Curare anche quando non è più possibile guarire, ma per rendere degna d’essere vissuta l’ultima parte di esistenza di chi ha i mesi o i giorni contati. È in quella zona d’ombra della malattia terminale che l’associazione Vidas interviene, affrontando a viso aperto un argomento bollato come tabù dalla vulgata mediatica e popolare e del quale si parla poco per timore di andare a svegliare le paure di ognuno. «Tutti i malati inguaribili hanno bisogno di essere curati, consolati e non lasciati soli, hanno cioè bisogno di essere riconosciuti come uomini e donne vivi, non come un’anticipazione di morte. Non si tratta di praticare del pietismo, ma di ridare un significato virtuoso al percorso del fine vita che, in un modo o in un altro, riguarderà chiunque». Giada Lonati sa bene quel che dice. Da anni trascorre le sue giornate con pazienti allo stadio terminale e con i loro familiari. È la direttrice socio-sanitaria di Vidas, associazione non profit di Milano, apartitica e aconfessionale, che in 33 anni di storia ha assistito 30 mila pazienti con un servizio di terapia del dolore e cure palliative. Ogni anno le persone seguite sono 1.600 tra il capoluogo e altri 104 comuni della provincia; la maggior parte riceve assistenza domiciliare, mentre dal 2006 a Milano è presente l’hospice Casa Vidas con 20 posti letto ai quali si aggiungono i servizi di day hospice e long day. A muovere i 70 professionisti di Vidas, e con loro oltre 140 volontari, non è però la volontà di esorcizzare qualcosa di oscuro, quanto la consapevolezza che «la morte non è un percorso clinico ma esistenziale, un fattore decisivo della vita che non può essere considerato il fallimento della medicina». La peculiarità dell’associazione, fondata nel 1982 da Giovanna Cavazzoni, oggi presidente, è quella di essere nata da un progetto laico rispetto alle professioni sanitarie e senza alcuna impronta religiosa. Caratteristica questa, aggiunge Lonati, «che ci consente di avvicinarci con rispetto a persone di culture e fedi diverse con un team composto da una pluralità di professionisti in grado di garantire un accompagnamento sotto tutti i punti di vista». Perché il «percorso esistenziale verso la morte deve essere personalizzato per ogni singolo paziente», non necessita soltanto di medici e infermieri ma anche di operatori socio-sanitari, fisioterapisti, psicologi e assistenti sociali. Tuttavia, non basta più nemmeno curare (e bene) i malati terminali e sostenere i loro parenti. Occorre anche formare i professionisti e diffondere una cultura che intraveda nella morte un “effetto collaterale della vita” al quale attribuire un significato virtuoso. Da qui l’impegno di Vidas sia nelle campagne di comunicazione che nelle attività culturali di sensibilizzazione, come quella in programma il 26 maggio a Milano con l’incontro interculturale Cibo nel tempo del morire al quale interverrà, tra gli altri, il critico d’arte Philippe Daverio (info: www.vidas.it). Senza poi dimenticare il Centro Studi Formazione che organizza corsi di aggiornamento e tirocini perché serve un livello di competenza tecnica nelle cure palliative che spesso i professionisti sanitari non hanno. «La legge 38 del 2010», chiosa la dottoressa Lonati, «è applicata a macchia di leopardo nel nostro Paese, e questo non lo possiamo più permettere». C’è però un particolare determinante che contraddistingue Vidas: i suoi servizi di assistenza non costano nulla, né al malato terminale, né ai familiari. E qui sta l’abilità dell’organizzazione nel coniugare la professionalità dell’impegno sociosanitario con la mission del non profit, in un equilibrio economico che ha portato a chiudere il 2013 con un budget di 8 milioni di euro, cifra confermata nel 2014 stando alle ultime proiezioni. Le entrate del bilancio 2013 sono assicurate per il 57% dalla raccolta fondi. Un 33% è rappresentato da quote associative, libere donazioni e finanziamenti di progetti e eventi, mentre il 24% da lasciti testamentari. Decisiva anche la quota del 5×1000 (codice fiscale 97019350152) che copre l’11,5% del bilancio e nel 2012 (ultimo dato disponibile) ha assicurato un contributo di 1 milione 318 mila e 557 euro, frutto della preferenza espressa da 29.480 contribuenti italiani che hanno permesso all’associazione di piazzarsi al 20° posto tra i 34 mila enti beneficiari in Italia. «Dal dato del 5×1000», spiega Giorgio Trojsi, segretario generale di Vidas, «si evince come i contribuenti che hanno scelto la nostra associazione siano residenti in una regione ad alto reddito, la Lombardia, visto l’elevato importo medio delle quote ricevute: una testimonianza di forte radicamento dell’associazione nel territorio in cui opera e di apprezzamento per i servizi offerti». Il restante 30% del bilancio dell’associazione arriva invece dall’accreditamento con Regione Lombardia. «All’hospice i posti letto accreditati sono 16», spiega Trojsi, «e questo perché gli altri 4 intendiamo gestirli in modo autonomo, sostenendone i costi ma consentendo l’accesso anche a quelle persone che non sono coperte dal servizio sanitario nazionale, come pazienti stranieri non in regola con i permessi di soggiorno. Anche il day hospice e il long day sono completamente a carico dell’associazione». «Grazie ai riscontri positivi da parte del mondo privato che ci sostiene», conclude il segretario, «possiamo permetterci di non appiattirci sulle tariffe che l’ente pubblico riconosce e che non basterebbero a coprire i costi dei tanti servizi offerti e della loro elevata qualità».
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