Amore senza fine

Quando la solidarietà subentra alla medicina: da 33 anni l’associazione Vidas si impegna per offrire gratuitamente cure palliative ai malati terminali. Senza dipendere dalle istituzioni, ma colmando le tante lacune del sistema sanitario nazionale

Curare sempre, anche quando la medicina non ammette speranze. Cu­rare anche quando non è più possibile guarire, ma per rendere degna d’essere vissu­ta l’ultima parte di esistenza di chi ha i mesi o i giorni contati. È in quella zona d’ombra della malattia terminale che l’associazione Vidas interviene, affron­tando a viso aperto un argomento bol­lato come tabù dalla vulgata mediati­ca e popolare e del quale si parla poco per timore di andare a svegliare le pau­re di ognuno. «Tutti i malati inguaribili hanno biso­gno di essere curati, consolati e non la­sciati soli, hanno cioè bisogno di essere riconosciuti come uomini e donne vivi, non come un’anticipazione di morte. Non si tratta di praticare del pietismo, ma di ridare un significato virtuoso al percorso del fine vita che, in un modo o in un altro, riguarderà chiunque». Gia­da Lonati sa bene quel che dice. Da anni trascorre le sue giornate con pa­zienti allo stadio terminale e con i loro familiari. È la direttrice socio-sanitaria di Vidas, associazione non profit di Mi­lano, apartitica e aconfessionale, che in 33 anni di storia ha assistito 30 mila pa­zienti con un servizio di terapia del do­lore e cure palliative. Ogni anno le per­sone seguite sono 1.600 tra il capoluo­go e altri 104 comuni della provincia; la maggior parte riceve assistenza do­miciliare, mentre dal 2006 a Milano è presente l’hospice Casa Vidas con 20 posti letto ai quali si aggiungono i servizi di day hospice e long day. A muovere i 70 professionisti di Vidas, e con loro oltre 140 volontari, non è però la volontà di esorcizzare qualco­sa di oscuro, quanto la consapevolez­za che «la morte non è un percorso clinico ma esistenziale, un fattore decisi­vo della vita che non può essere consi­derato il fallimento della medicina». La peculiarità dell’associazione, fondata nel 1982 da Giovanna Cavazzoni, oggi presidente, è quella di essere nata da un progetto laico rispetto alle professioni sanitarie e senza alcuna impronta religiosa. Caratteristica questa, aggiun­ge Lonati, «che ci consente di avvici­narci con rispetto a persone di culture e fedi diverse con un team composto da una pluralità di professionisti in grado di garantire un accompagnamento sot­to tutti i punti di vista». Perché il «per­corso esistenziale verso la morte deve essere personalizzato per ogni singo­lo paziente», non necessita soltanto di medici e infermieri ma anche di opera­tori socio-sanitari, fisioterapisti, psico­logi e assistenti sociali. Tuttavia, non basta più nemmeno curare (e bene) i malati terminali e soste­nere i loro parenti. Occorre anche for­mare i professionisti e diffondere una cultura che intraveda nella morte un “effetto collaterale della vita” al qua­le attribuire un significato virtuoso. Da qui l’impegno di Vidas sia nelle cam­pagne di comunicazione che nelle at­tività culturali di sensibilizzazione, come quella in programma il 26 mag­gio a Milano con l’incontro intercultu­rale Cibo nel tempo del morire al qua­le interverrà, tra gli altri, il critico d’ar­te Philippe Daverio (info: www.vidas.it). Senza poi dimenticare il Centro Stu­di Formazione che organizza corsi di aggiornamento e tirocini perché serve un livello di competenza tecnica nelle cure palliative che spesso i professio­nisti sanitari non hanno. «La legge 38 del 2010», chiosa la dottoressa Lonati, «è applicata a macchia di leopardo nel nostro Paese, e questo non lo possiamo più permettere». C’è però un particolare determinante che contraddistingue Vidas: i suoi ser­vizi di assistenza non costano nulla, né al malato terminale, né ai familiari. E qui sta l’abilità dell’organizzazione nel coniugare la professionalità dell’impe­gno sociosanitario con la mission del non profit, in un equilibrio economi­co che ha portato a chiudere il 2013 con un budget di 8 milioni di euro, ci­fra confermata nel 2014 stando alle ul­time proiezioni. Le entrate del bilancio 2013 sono assicurate per il 57% dalla raccolta fondi. Un 33% è rappresenta­to da quote associative, libere donazio­ni e finanziamenti di progetti e even­ti, mentre il 24% da lasciti testamenta­ri. Decisiva anche la quota del 5×1000 (codice fiscale 97019350152) che co­pre l’11,5% del bilancio e nel 2012 (ul­timo dato disponibile) ha assicurato un contributo di 1 milione 318 mila e 557 euro, frutto della preferenza espressa da 29.480 contribuenti italiani che hanno permesso all’associazione di piazzarsi al 20° posto tra i 34 mila enti benefi­ciari in Italia. «Dal dato del 5×1000», spiega Giorgio Trojsi, segretario generale di Vidas, «si evince come i contribuenti che hanno scelto la nostra associazione siano re­sidenti in una regione ad alto reddito, la Lombardia, visto l’elevato importo medio delle quote ricevute: una testi­monianza di forte radicamento dell’as­sociazione nel territorio in cui opera e di apprezzamento per i servizi offerti». Il restante 30% del bilancio dell’asso­ciazione arriva invece dall’accredita­mento con Regione Lombardia. «Al­l’hospice i posti letto accreditati sono 16», spiega Trojsi, «e questo perché gli altri 4 intendiamo gestirli in modo au­tonomo, sostenendone i costi ma con­sentendo l’accesso anche a quelle per­sone che non sono coperte dal servi­zio sanitario nazionale, come pazien­ti stranieri non in regola con i permessi di soggiorno. Anche il day hospice e il long day sono completamente a carico dell’associazione». «Grazie ai riscon­tri positivi da parte del mondo privato che ci sostiene», conclude il segreta­rio, «possiamo permetterci di non ap­piattirci sulle tariffe che l’ente pubbli­co riconosce e che non basterebbero a coprire i costi dei tanti servizi offerti e della loro elevata qualità».

Resta sempre aggiornato con il nuovo canale Whatsapp di Business People
© Riproduzione riservata