Sia fatta la mia volontà (Curiosità e follie sui testamenti)

Curiosità, cattiverie, rivelazioni e molto altro ancora: è quanto emerge dalle ultime disposizioni degli uomini illustri, come delle persone comuni. Rendendoli letture interessanti, quando non terribilmente comiche

La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli so­pravvive», so­steneva Thomas Mann. Verissimo. Eppure, esiste un modo semplice ed efficace per farsi sentire anche quando, ahimè, si è già detto addio a questo mondo: fare te­stamento. Spesso destinatario di sca­ramantici pregiudizi, il tema non è facile da affrontare, eppure mette­re nero su bianco le proprie volontà si rivela uno strumento utilissimo per evitare ai propri cari serie difficol­tà nel momento del lutto. O, perché no, per togliersi qualche proverbia­le sassolino dalla scarpa. Per esem­pio, c’è chi non si nega l’opportuni­tà di non concedere possibilità di re­plica a chi, per tutta la sua vita, ha sempre preteso di avere l’ultima paro­la. O chi lascia con un pugno di mo­sche parenti un po’ troppo “interessa­ti” in favore di chi ci ha sempre dimo­strato un affetto sincero. Senza trala­sciare la soddisfazione, per gli scritto­ri mancati, di vedere (almeno dall’al­dilà) una propria opera pubblicata e letta (se non da molti lettori, quanto­meno da lettori molto interessati). In­somma, seguendo poche semplici re­gole – basta che sia vergato a mano, e non manchino data e firma – e senza spendere una lira, è possibile lascia­re un testamento cosiddetto olografo. Ecco perché se non tutti, in molti (fa­mosi e non) da secoli ricorrono a que­sto strumento per disporre delle pro­prie sostanze – o almeno di parte di esse – e lasciare le proprie ultime vo­lontà. Con risultati spesso interessanti se non addirittura comici. Perché alla fine, limitarsi a dare scarne indica­zioni in “legalese” in merito alla divi­sione della proprietà sembra davvero troppo sbrigativo, mentre la tentazio­ne di rivelare segreti, filosofeggiare sulla vita e sulla morte e molto altro è irresistibile quando ci si trova con la penna in mano, e con l’obbligo da parte degli altri di ascoltare.

LASCITI CELEBRI«Il contenuto della camera di mia madre, che io ho mantenuto im­mutata finoggi, dovrà essere conside­rato sacro e gelosamente conserva­to da mio nipote Guido, da sua mo­glie e dai loro figlioli». Tralasciando eventuali riflessioni sulla validità te­stamentaria di una tale richiesta, vie­ne subito da chiedersi chi può esse­re mammone a tal punto da includer­la nel proprio testamento. Si tratta del primo presidente della Repubblica italiana, Enrico De Nicola. Sempre in tema di rapporti filiali, Maria Mon­tessori, prima donna italiana a con­seguire una laurea in medicina e figura di spicco nel campo della peda­gogia, riconobbe proprio nel suo te­stamento un figlio segreto – abban­donato dopo il parto e rientrato nel­la sua vita poco prima della morte – incaricandolo di continuare il lavo­ro da lei intrapreso. Mentre Alessan­dro Manzoni si preoccupò di mette­re a tacere eventuali discussioni tra i suoi figli ed eredi sottolinean­do: «Ritenuto che la gestione tenuta per mio conto da mio figlio Pierluigi non ebbe mai per base un mandato di procura, ma si fondava totalmen­te nella scambievole fiducia e buo­na fede, sicché egli, anche per mia volontà, non ha mai potuto credersi in obbligo d’attenersi a modalità di forme, intendo che esso Pierluigi non possa da’ miei eredi esser molestato, né obbligato a rendiconto per gli atti qualunque di detta sua gestione».

I POCO PREVIDENTI

EREDITA’ DA NOBEL

C’È FUNERALE E FUNERALECapitolo a parte costituiscono le indicazioni in merito ai propri funerali che, la cosa non sorprende, ricorrono spessissimo. E se la “gen­te comune” tende a dare istruzioni in proposito per assicurarsi una de­gna sepoltura – spesso temendo la tir­chieria dei propri eredi –, i nomi noti si sono il più delle volte

preoccupati di chiedere esequie di basso profilo. Salvo rimanere spesso inascoltati. Per esempio, il Nobel per la letteratura Luigi Pirandello chiese: «Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipa­zioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’av­volga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso». Non solo. Avrebbe voluto un «car­ro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici». Dello stesso tenore anche le indicazioni di Giuseppe Ver­di: «Ordino che i miei funerali siano modestissimi e siano fatti allo spuntar del giorno o all’Ave Maria di sera sen­za canti e suoni. Non voglio nessuna partecipazione della mia morte col­le solite formule». Papa Paolo VI attribuiva poi tanta importanza al tema da ribadire per ben tre volte il con­cetto. Già nel 1965 chiedeva funera­li «pii e semplici», dando indicazio­ne di sostituire il catafalco in uso per le esequie pontificie con un apparato «umile e d

ecoroso» e di non prevede­re per lui alcun monumento. Ma, for­se preoccupato dalla probabile inot­temperanza di una tale richiesta, ri­badì di non desiderare alcuna tomba speciale in un’aggiunta del 1972, per poi indicare nuovamente nel 1975: «Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tom­ba speciale, né alcun monumento». I suoi timori erano ben fondati, visto il ruolo ricoperto e i diversi personag­gi celebri che avevano già visto igno­rate le proprie richieste di semplici­tà. Due esempi per tutti: al già citato De Nicola sono state intitolate strade, piazze e istituzioni pubbliche in tut­ta Italia a dispetto della sua esplicita richiesta di «non essere commemora­to in nessun tempo, in nessun luogo, per nessuna ragione, in nessuna occa­sione», mentre Oltremanica a Charles Dickens vennero riservate esequie di Stato, benché avesse scritto espressa­mente di non volere un funerale pub­blico con la gente «in cappello nero e altre rivoltanti assurdità».

BENEFICENZA POST MORTEM A ricorrere di fre­quente nelle ulti­me volontà è anche la richiesta di de­volvere par­te dei propri averi in be­neficenza. Così Camillo Benso con­te di Cavour lasciò 50 mila lire per costruire una «nuo­va sala d’asilo infantile ne’ quartiere di Portanuova», Verdi chiese di distri­buire ai «poveri del villaggio di San­t’Agata lire mille» il giorno successi­vo alla sua morte, mentre il genera­le Alfonso La Marmora destinò «500 azioni della Banca Nazionale a sol­lievo dei poveri del comune di Biel­la e le 50 mille lire di rendita del con­solidato a sollievo dei poveri del co­mune di Torino». Perfino il corsaro Sir Francis Drake nel 1596 lasciò 40 ster­line, circa 180 mila euro odierni, alla parrocchia e ai poveri di Plymouth. E se molti grandi, quasi tutti a dire il vero, si preoccuparono di provvede­re ai propri servitori (anche con bian­cheria e mobilio), il filosofo, politi­co e giurista Francis Bacon lasciò alla servitù addirittura la maggior parte della sua casa e delle sue terre.

ORIGINALITÀ DELL’ULTIM’ORA C’è poi chi proprio non ce la fa a non pensare a se stesso nem­meno da morto. Il com­positore tedesco Georg Friedrich Handel, per esempio, lasciò 600 sterline, circa 90 mila attuali, per costruire una sta­tua in suo onore nell’abbazia di We­stminster. Garibaldi era invece preoc­ cupatissimo di cedere alle lusinghe della religione in punto di morte, precisò quindi: «Trovandomi in pie­na ragione oggi non voglio accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzando e scellerato d’un prete che considero atroce nemico del ge­nere umano e dell’Italia in partico­lare». Da non dimenticare gli sgarbi dell’ultim’ora alle mogli o ex mogli: non solo Guglielmo Marconi ritenne necessario ricordare in testamento la somma di 3 milioni di lire già ricevute al momento del divorzio dalla sua ex Beatrice O’Brien (sia mai accampas­se qualche diritto sull’eredità e rice­vesse ancora qualcosa!), ma il grande William Shakespeare riservò alla con­sorte solo «il mio secondo miglior let­to con il mobilio». Come a dire chia­ramente che il primo era riservato a un’altra. In ultimo, è a dir poco cu­riosa la richiesta di George Bernard Shaw di impiegare il suo patrimonio per inventare un nuovo alfabeto, mi­gliore di quello impiegato per le sue opere. Ma l’impresa è stata giudica­ta impossibile, così a intascare i sol­di sono stati il British Museum e altre istituzioni pubbliche inglesi.

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