Referendum sulle trivelle: cosa c’è da sapere

Il referendum abrogativo del 17 aprile porta in primo piano la questione delle trivellazioni, che preoccupa ambientalisti e consigli regionali. Ecco alcune indicazioni per arrivare preparati al voto

Il 17 aprile si voterà per il referendum abrogativo che interrogherà i cittadini sulla questione delle trivellazioni sulle coste italiane. La questione trivelle mette in campo, di fatto, due diverse concezioni del problema ambientale ed energetico: da una parte, la legittima preoccupazione nutrita dalle comunità locali, che temono per il pesante impatto ambientale che le esplorazioni e le trivellazioni fanno presagire; dall’altra, vi è anche la oggettiva necessità di rendere l’Italia più autonoma sul piano energetico. Il problema posto dal Referendum riguarda attualmente i 90 permessi di ricerca per la terraferma e i 24 per i fondali marini che sono stati concessi nell’ambito dello “Sblocca-Italia”, il piano promosso dal Ministero dello Sviluppo, che si aggiungono ai 143 terrestri e ai 69 marini già approvati; in Italia sono 26 le concessioni attive, 79 le piattaforme e 463 i pozzi in funzione.

LA POLITICA. Il Referendum è stato promosso da alcune associazioni ambientaliste e da sei Consigli regionali (Basilicata, Puglia, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto). Tra i motivi che hanno portato alla luce il problema vi è la preoccupazione che estendere senza limiti temporali le concessioni alle attività estrattive possano avere pesanti ricadute sul turismo nazionale. Sul piano politico, a sostenere il “sì” abrogativo contro le trivelle sono le formazioni politiche della sinistra (in particolare L’Altra Europa con Tsipras, Possibile, Sinistra e Libertà e Italia dei Valori), ma anche di destra (in particolare la Lega Nord), oltre ai Verdi e al Movimento 5 Stelle; posizione più ambigua, invece, nel partito al Governo: il Pd è diviso, e ufficialmente favorevole all’astensione, ma correnti interne stanno vagliando la possibilità di votare per il sì. Incerte anche le posizioni dei maggiori partiti di destra, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

LE RAGIONI DEL SÌ. Il referendum si componeva inizialmente di sei differenti quesiti; la Corte Costituzionale ne ha però cassati cinque, e i cittadini saranno chiamati a votare solo sulla questione della durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni già concesse sulle coste italiane. Agli elettori verrà chiesto di votare contro o a favore del permanere di tali trivelle fino all’esaurimento dei giacimenti; i promotori del referendum richiedono il: Luca Zaia e Michele Emiliano, governatori rispettivamente del Veneto e Puglia, Regioni interessate dalle trivellazioni, sostengono che tali attività di estrazione comprometterebbero sul lungo termine la sopravvivenza delle specie marine, contestando inoltre le basse royalties pagate dalle compagnie allo Stato italiano (il 7% del valore dell’estratto) e la scarsità oggettiva di riserve di petrolio e gas che i nostri mari mettono a disposizione, troppo esigue per mettere a rischio l’ecosistema delle coste e il turismo.

LE RAGIONI DEL NO. Anche il No ha però i suoi fautori: chi mira alla bocciatura del referendum (o al mancato raggiungimento del quorum) sottolinea come l’Italia, nel caso di una vittoria del Sì, vada a perdere investimenti attuali e futuri, mettendo inoltre in pericolo i 5 mila posti di lavoro che le trivelle hanno procurato. Tra le ragioni favorevoli al No vi è soprattutto la questione dell’autonomia energetica, messa in pericolo dall’instabilità degli Stati (in particolare Ucraina e Libia) da cui il nostro Paese dipende per il proprio sostentamento energetico. Non si è mancato di far notare, inoltre, che dal dopoguerra sono stati solo tre (A Cortemaggiore nel 1950, a Porto Corsini nel 1965, a Trecate nel 1994) gli incidenti avvenuti negli impianti petroliferi.

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