Pnrr: per il 40% degli italiani non impatterà sulla vita reale

Solo il 17% è convinto che le riforme saranno positive sia per l’economia che per l’occupazione

Con una campagna vaccinale che ha ormai interessato quasi l’80% degli italiani e le stime dell’Ocse che per il 2021 prevedono una incremento del Pil quasi del 6%, la preoccupazione di molti è di riuscire a rendere la crescita economica strutturale e fare in modo che essa possa impattare concretamente sul tessuto industriale e sul mondo del lavoro. Alla luce di questo scenario e con l’obiettivo di mettere a fuoco le azioni di policy necessarie per favorire l’occupabilità, The Adecco Group ha prodotto un white paper dal titolo RE-START GENERATION: Le prospettive occupazionali per donne e giovani alla luce del PNRR e le nuove competenze, tra sfide green e rivoluzione digitale. Nel dettaglio, il documento analizza le sei missioni previste nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per ognuna delle quali è indicata l’incidenza che investimenti da un lato e riforme dall’altro possono avere in termini assoluti sull’occupazione. Il paper include anche una survey su un campione rappresentativo della popolazione, che racconta la visione degli italiani sulle riforme che il Governo sarà chiamato a varare nei prossimi mesi.

Il Pnrr divide gli italiani

Se interrogati sui temi legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza gli italiani si dimostrano divisi su molti aspetti, ma le loro idee convergono in relazione ad altre tematiche. Innanzitutto, confermano la loro fiducia nei confronti di Mario Draghi: quasi un italiano su 2 (45%) dichiara infatti che il Governo presieduto dall’ex Governatore della BCE (paragonato ai due precedenti) è il più adatto per lo sviluppo di una serie di riforme così strategiche. Inoltre, il 38% degli intervistati concorda con il Pnrr nel considerare la formazione e le politiche attive priorità su cui lavorare per migliorare il mercato del lavoro. Il 21% invece avrebbe preferito destinare più risorse al potenziamento dei centri per l’impiego e l’11% punterebbe sulla riduzione del Gender Gap.

Nonostante questo, quasi un italiano su due (40%) dichiara che i benefici prodotti dal Piano saranno positivi per l’economia ma non così rilevanti da essere percepiti dal singolo cittadino. Solo il 17% invece non ha alcun dubbio: le riforme del Pnrr saranno positive sia per l’economia che per l’occupazione, mentre secondo il 18% il Piano non produrrà alcun effetto positivo. Diversità di vedute anche in merito alle iniziative da mettere in campo per la diminuzione del Gender Gap: secondo il 34% degli italiani sarebbe necessario un maggior bilanciamento tra lavoro e vita privata, mentre il 30% dichiara che la mancanza di diversity and inclusion è causata principalmente da un fattore culturale.

Gli effetti del Pnrr sul mercato del lavoro

La seconda parte del White Paper si concentra sull’analisi degli effetti che le riforme incluse nel Pnrr potrebbero produrre sul mercato del lavoro e sulla centralità delle azioni di aggiornamento delle competenze. Secondo le rielaborazioni di The Adecco Group sulle stime pubblicate dal Governo, grazie agli investimenti inclusi nel Piano, si prevede che nel triennio 2024/26 l’incremento occupazionale delle donne raggiungerà la soglia di +380 mila unità, mentre saranno +81 mila i giovani che troveranno un impiego. Il documento sottolinea, però, come questi obiettivi potranno essere raggiunti solo avviando fin da subito percorsi di reskilling e upskilling, per accompagnare imprese e lavoratori nelle transizioni digital e green. Le competenze, infatti, saranno lo strumento grazie a cui giovani e donne potranno essere protagonisti del proprio futuro professionale, ma, per implementarle in modo efficace, è fondamentale mettere a punto percorsi di formazione che rispondano alle esigenze reali del mercato, coinvolgendo tutti gli attori in gioco: cittadini, imprese, istituzioni.

Nessuna preoccupazione invece in merito agli effetti sull’occupazione dei due pilastri fondamentali delle azioni contenute nel Piano: trasformazione digitale e sostenibilità. Secondo molti, investendo in processi di trasformazione digitale si arriverà alla “fine del lavoro” connessa all’automazione dei processi, ma i dati Ocse dicono esattamente il contrario. Negli ultimi 10 anni il lavoro è cresciuto in tutti i Paesi sviluppati, dimostrando come la trasformazione digitale sia un fattore non necessariamente penalizzante per l’occupazione. Anche la transizione ambientale potrebbe avere effetti positivi molto rilevanti sull’occupazione. Il percorso di transizione verso processi più sostenibili implicherà infatti importanti riconversioni industriali, mettendo in certi casi fine ad alcune funzioni a vantaggio di nuove mansioni e nuove produzioni. Il risultato, secondo l’International Labour Organization (ILO) delle Nazioni Unite, potrebbe essere la creazione di circa 18 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo entro il 2030.

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