L’altro oro nero

Sarà colpa - o merito? - della crisi, ma il consumo del “cibo degli dei” nel nostro paese è aumentato del 20% negli ultimi quattro anni. A guadagnarci sono i grandi trasformatori di cacao, ma anche le piccole realtà artigianali, tutti protagonisti di uno dei più golosi settori tricolori. Tutti i numeri, e non solo sulla bilancia, del business italiano del cioccolato

Chi l’avrebbe detto: la crisi aiuta la produzione di cioccolato. Perché gli italiani, così pare, hanno bisogno di coccole e si consolano (anche) comprando più dolci. Il consumo di cioccolata è aumentato del 20% negli ultimi quattro anni: ognuno di noi, in media, ne mangia 4 chili all’anno. Più golosi gli inglesi con 9,5 kg a testa e i tedeschi con 8,7. In termini di vendite, significa un giro d’affari che sfiora i 4 miliardi di euro in Italia. La fetta più grande è in mano ai big dell’industria dolciaria: l’italiana Ferrero, numero quattro al mondo e proprietaria del più grande stabilimento europeo del settore, ad Alba, oppure le società di capitale straniero come Nestlé, col marchio Perugina, e l’americana Mars. Insieme detengono circa il 70% del business. Poi ci sono le medie imprese e i piccoli artigiani di qualità: Domori, Venchi, Majani, Icam e tante altre aziende che non superano le poche centinaia di dipendenti e puntano su lavorazioni di qualità artigianale ma con tecnologie modernissime. Il settore si trova oggi a dover affrontare molte sfide. Prima minaccia: la stagionalità. Il cioccolato d’estate non si vende. Una strada è puntare al gelato: lo fa Venchi con le Cioccogelaterie, oppure Domori, tra l’altro fornitore ufficiale di Grom, con le creme ghiacciate. Anche se paradossalmente i produttori di uova e cioccolatini da ricorrenza, per loro natura piccole realtà, soffrono meno il problema, anzi lo vivono come vantaggio competitivo rispetto ai grandi gruppi, che invece hanno più bisogno di continuità nella produzione. Seconda sfida: la globalizzazione. L’Italia produce quasi 300 mila tonnellate di cioccolato l’anno e ne esporta circa il 40%, soprattutto nei Paesi confinanti. Ma l’orizzonte si sta allargando: in molti credono che si debba puntare al Nord Europa e al mercato americano, oppure al Medio Oriente, alla Russia e al Giappone, dove la presenza va ancora tutta consolidata. Infine il posizionamento. Il mercato italiano non è monolitico. Esistono almeno quattro segmenti: le tavolette di marca, quelle di primo prezzo, i cioccolatini premium e le private label. Settori diversi con dinamiche diverse. Il ruolo delle aziende di medie dimensioni, per esempio, è quello di coprire tutti i settori, tranne quello della marca, dominio di chi ha grandi mezzi finanziari e dispone di una distribuzione planetaria. Chi fa questo mestiere però deve prendere una decisione: meglio un mercato elitario, con grandi margini ma scarsi volumi, o uno di massa, dove la presenza forte di pochi, grandi, brand rischia di essere una barriera impenetrabile per chiunque voglia provare ad entrare? Non esiste una strategia unica. Amedei, per esempio, punta al super-premium, ritagliandosi una nicchia molto redditizia; Domori invece prova ad aprirsi al mass market, pur senza rinnegare la sua forte identità di marca aristocratica. Nel frattempo, conferma l’associazione di categoria Aidepi, a cui fanno capo circa un centinaio di aziende dolciarie (25 mila addetti), gli italiani consumano sempre più cioccolato; torna in auge quello fondente, piacciono il biologico e il cacao proveniente dal mercato equo e solidale. Siamo lontani anni luce dal “più latte e meno cacao”, una celebre campagna pubblicitaria pro merendine che per anni ha avuto l’effetto collaterale di affondare l’immagine del cioccolato puro nell’immaginario collettivo. Ora spetta alle eccellenze italiane cavalcare la ripresa. E prendersi la rivincita.

TOP TEN DEI PRODUTTORI

(Fatturato in milioni di dollari. Fonte: Candy Industry)

9.546

Mars (USA)

8.126

Cadbury Schweppes (UK)

7.973

Nestlé (Svizzera)

5.580

Ferrero (Italia)

4.881

Hershey Foods (USA)

2.250

Kraft Foods (USA)

1.693

Meiji Seika Kaishan (Giappone)

1.673

Lindt (Svizzera)

1.427

Barry Callebaut (Belgio)

1.239

Ezaki Glico (Giappone)

Gli altri big del nostro paese

Un Paese di… cioccolatai!

Ferrero, un colosso da oltre 6 miliardiPartita da un negozio nelle Langhe con Pietro Ferrero nel 1946, l’azienda è sempre rimasta nelle mani della famiglia, arrivata ora alla quarta generazione. Oggi il gruppo controlla 38 società operative nel mondo e possiede 18 stabilimenti, di cui 4 in Italia. Quella di Alba è la più grande fabbrica europea di cioccolato. Con 22 mila dipendenti, Ferrero ha fatturato 6,3 miliardi di euro nel 2010 registrando un utile netto di 500 milioni. Il patron Michele Ferrero già da qualche anno ha superato Silvio Berlusconi e Leonardo Del Vecchio nella classifica Forbes degli uomini più ricchi d’Italia, con un patrimonio personale calcolato in 9,5 miliardi di euro. Fra i brand Ferrero: Rocher, Pocket Coffee, Mon Chéri, Giotto, Confetteria Raffaello, Kinder Surprise, Fiesta Ferrero e l’ormai mitico cioccolato Kinder. Per non parlare della sempre verde Nutella.

Domori punta sul cacao nobileFondata da Gianluca Franzoni, è cresciuta nella nicchia del cacao nobile (la principale piantagione di proprietà è l’Hacienda San Josè, il più importante centro al mondo per il recupero della biodiversità del cacao) ed è stata acquistata dal gruppo Illy lo scorso anno. Oggi Domori ha un nuovo a.d., Stefano Giubertoni, chiamato per cambiare velocità al business. «Il mio obiettivo è riportare l’azienda al profitto», racconta a Business People «e raddoppiare il fatturato nei prossimi cinque anni. Per farlo bisogna rivedere la strategia di retail e pensare ad allargare il nostro mercato di riferimento». L’anno scorso Domori ha fatturato 6,7 milioni di euro con un aumento dell’85,6% rispetto al 2009, dovuto sostanzialmente al fatto che hanno cominciato a distribuire altri brand della controllante Illy, in particolare Agrimontana. Nei primi nove mesi del 2011 il fatturato è cresciuto del 75% per una previsione totale di 8 milioni di euro e oltre 200 tonnellate di produzione (+40%).

Venchi sbarca nella Grande MelaNasce a Torino nel 1878 col primo laboratorio di pasticceria del ventenne Silvano Venchi. Nel 2000, l’azienda si fonde con la Cuba del pasticciere Pietro Cussino. Oggi produce più di 250 specialità e chiuderà l’anno con un fatturato di 36 milioni di euro. «Abbiamo 17 punti vendita in gestione diretta in molte città e quasi tutti gli aeroporti», dice a Business People l’a.d. Gian Battista Mantelli, «e oltre 6 mila rivenditori d’alta gamma». L’ultima boutique è stata inaugurata a New York sulla Quinta Strada. L’export, per Venchi, pesa per il 15% del fatturato, ma i numeri sono destinati a crescere con il rafforzamento dei mercati in cui è già presente: Giappone, Germania, Usa e Cina. Conta 150 dipendenti il suo laboratorio-industria di Castelletto Stura (Cuneo).

I gianduiotti di GobinoDue botteghe, 22 dipendenti e oltre 5 milioni di fatturato: ecco i numeri di Guido Gobino, maestro cioccolatiere di Torino. Il laboratorio nasce nel 1946 per iniziativa del commendator Musso, poi nel 1950 Giuseppe Gobino entra in società e nel 1980 ne diventa unico titolare. L’azienda si rinnova completamente con il figlio Guido: a lui si deve il progetto del laboratorio artigianale del gianduiotto classico secondo il caratteristico sistema artigianale dell’estrusione, il Giandujottino Tourinot, gli Amarissimi e le altre specialità a base di cioccolato.

500 varietà per MajaniÈ uno dei produttori di cioccolato più antichi d’Europa: la sua storia comincia nel 1796 con il Laboratorio delle cose dolci di Teresina Majani. Il salto di qualità avviene nel 1856 con la prima produzione industriale, mentre i Savoia la nominano fornitore della Real Casa. Suo è il famoso cremino Fiat, nato come regalo pubblicitario per la Tipo 4, vettura del 1911. Oggi, a oltre 215 anni dalla nascita, il timone è ancora saldamente in mano alla famiglia. Poco meno di 50 le persone che lavorano alla produzione di uno dei cioccolati più fini d’Italia, in 500 varianti, venduto in oltre 6 mila negozi, per un fatturato pari a circa 11 milioni di euro.

Gardini e gli abbinamenti sperimentaliIl cioccolato al Sale Dolce di Cervia ha reso famosi in Italia Fabio e Emanuele Gardini, maestri cioccolatai di seconda generazione a Forlì. Da allora i due fratelli non hanno mai smesso di inventare abbinamenti difficili, ma che risultano armoniosi, come le praline al vino di Albana e Sangiovese passiti o quelle con il formaggio di Fossa di Sogliano.

Amedei e la “Chocolate Valley”Siamo alla fine degli anni ’80 quando Alessio e Cecilia Tessieri compiono i primi passi alla scoperta delle vie del cacao in quella che diventerà la “Chocolate Valley” toscana, tra Firenze e Pisa, chiamata così per i tanti cioccolatieri di grande qualità, come la Molina o De Bondt. Alessio e Cecilia sperimentano dando vita a un cioccolato esclusivo, uno spirito che posiziona Amedei a vantare il pieno controllo su tutta la filiera di produzione, nel segmento del cioccolato di alta gamma. Oggi l’azienda, quasi tutta al femminile, supera i 4 milioni di euro di fatturato (di cui il 70% realizzato in Italia) ed è presente, con i suoi prodotti, in tutto il mondo.

Note di vaniglia e cannella per BonajutoÈ la più antica fabbrica di cioccolato in Sicilia, in mano alla sesta generazione di famiglia. Bonajuto, negli ultimi anni, si è occupata di numerose ricerche in campo storico alimentare con particolare riferimento alla presenza del cioccolato in Sicilia e ne hanno parlato in tanti, dall’International Herald Tribune al New York Times, Wall Street Journal e Financial Times. La lavorazione del cioccolato Bonajuto si è concentrata su una tecnica tipica della Contea di Modica, una lavorazione storica ma non priva di sperimentazioni, come attestano le tavolette alla cannella e alla vaniglia di origine mesoamericana. Nel 2009 è stata inserita tra le 100 eccellenze italiane. Con una crescita annua del 25% e un fatturato sui 600 milioni di euro, il mercato prevalente è in Italia, ma esporta anche negli Stati Uniti, in Giappone, Germania e Austria.

T’a, il ritorno degli AlemagnaPer Alemagna quello dei dolci è un vizio di famiglia, e proprio dal cioccolato ripartono Tancredi e Alberto, quarta generazione – il fondatore fu Gioacchino nel 1921 – di una delle dinastie più rinomate d’Italia. Non potendo usare il cognome – il marchio Alemagna è stato venduto nel 1975 a Motta; dopo diversi passaggi, nel 2009, è stato Bauli ad acquisire entrambi i brand da Nestlé – puntano sul nome proprio, abbreviato in T’A. Il loro cioccolato gourmet è realizzato con il miglior cacao Grand Cru sudamericano abbinato alla nocciola delle Langhe, al pistacchio di Bronte, ai limoni di Sorrento o alla liquirizia calabrese. La produzione oggi arriva a 12 tonnellate al mese, con un fatturato di 1 milione e mezzo. Obiettivo: un milione e 800 mila euro nel 2012. Rafforzando le quota all’estero – i due fratelli sono sbarcati in Usa, Inghilterra e Cina – e quella in Italia, dove i prodotti T’A Sentimento Italiano sono distribuiti in 200 punti vendita di prestigio. La Compagnia del Cioccolato li ha premiati quest’anno per il Miglior cioccolatino ripieno e alla scorsa edizione di Vinitaly hanno conquistato il premio come migliore azienda dolciaria.

Sfiziosità “made in italy”. Tradizione e sperimentazione

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