Italia, la lunga strada verso Mountain View

A differenza della Silicon Valley, nonostante nella Penisola si siano costituiti poli hi tech che riuniscono migliaia di ricercatori e tecnici di laboratorio, mancano capitalisti “illuminati” che mostrino interesse per il “progresso”

Che in Italia non esista ancora un’equivalente della Silicon Valley e, unitariamente, una massa critica di imprenditori milionari attivi nell’industria digitale, è cosa nota. Certo, negli ultimi dieci anni, sulla falsariga della Bay Area della West Coast, si sono costituiti nella Penisola poli hi tech che riuniscono migliaia di ricercatori e tecnici di laboratorio: il Kilometro Rosso di Bergamo, l’Area Science Park di Trieste, il Luigi Daniele di Udine, i Parchi Tecnologici e Scientifici di Pula (Ca) e Palermo, Città della Scienza di Napoli – distrutta da un rogo in primavera, ma riaperta dopo poco – solo per citarne alcuni. Tra le aree più recenti spicca la collina genovese degli Erzelli, che mira a concentrare nella zona almeno 190 imprese tecnologiche entro il 2021.Forse è in uno di quei incubatori che si nascondono i Page, i Brin o i Bezos tricolori del prossimo decennio, capaci di creare degli imperi 2.0 e di finanziare le idee e le ricerche di una futura generazione. Ma, al momento, anche le realtà più promettenti sono ancora in fase di start up e i maggiori finanziamenti arrivano perlopiù dall’estero, da bandi europei o da investitori americani (magari pure interessati a rilevare, un domani, qualcuna delle baby imprese più innovative). Certo, nello Stivale non manca uno stuolo di Paperoni che continuano a essere annoverati, anno dopo anno, nelle classifiche patrimoniali di Forbes, ma che hanno accumulato fortune in business “fisici” come l’agroalimentare o la moda. Qualche nome? Pensiamo a Michele Ferrero, Leonardo Del Vecchio, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, o i fratelli Benetton: con le loro fondazioni sono impegnati a sostenere prevalentemente arte e cultura, non ricerca scientifica. Su questa, invece, vanno avanti a investire le “costole” non profit delle grandi case farmaceutiche, in evidente sintonia con il loro Dna: Menarini sostiene progetti di medicina e biologia; Serono è attivo nella lotta scientifica contro sclerosi multipla e infertilità; Carlo Erba promuove studi dedicati a tumori e malattie virali. A casa nostra, dunque, sembrano mancare capitalisti “illuminati” che mostrino interesse per il “progresso” declinato in questo senso, a supporto del lavoro di tanti camici bianchi. Non stupisce troppo, pertanto, che ci siano anche geologi, bioingegneri, fisici teorici e biologi tra quei duemila italiani che quest’estate, con meno di 30 dollari, si sono iscritti a un form on line sognando una missione nello spazio: un viaggio di sette mesi su Marte nel 2023. Tra i vari step che dovranno superare gli aspiranti astronauti c’è pure un reality, da girare prima su base locale e poi mondiale: una trovata della società olandese Mars One che, tramite la vendita dei diritti della trasmissione, intenderebbe così finanziare il suo ambizioso progetto. Toccherà a un nuovo Grande Fratello davvero “universale” dare qualche speranza agli scienziati tricolori?

ARTICOLO PRINCIPALE – La carica dei filantropi 2.0

© Riproduzione riservata