Imprese alla prova della digital transformation: innovare è un atto di fede

L’uomo e le aziende si sono sempre basati sui dati come strumento di validazione, oggi però siamo chiamati a un cambiamento culturale: gli analytics, ci parlano e indicano nuove strategie di business. Quali sono le implicazioni e i vantaggi di questa rivoluzione? Business People ne ha parlato con società di rilevanza nazionale, riunite in occasione del Sas Forum Milan

Il valore del dato non è certo qualcosa che scopriamo in tempi di Artificial Intelligence e Big Data, ma ci accompagna da sempre, fin dalla più tenera età. Ne sa qualcosa Francesca Vergara, Chief Innovation Officer di Italgas che, per raccontare il suo rapporto con i dati, ha ricordato i viaggi in Interrail. «Il primo, a 18 anni, durò pochissimo perché spesi tutto in pochi giorni. Aumentare il budget non era un’opzione, così l’anno successivo la mia Moleskine divenne un valido assistente». Lì si inizia a suddividere il denaro sulla base dei giorni, ipotizzando voci di spesa e imprevisti, orientando le scelte con l’obiettivo di viaggiare il più a lungo possibile. «Fare previsioni basate sui dati mi dava la forza di compiere qualche sacrificio. Avevo una sorta di controllo, che mi è sempre piaciuto». Per le aziende è lo stesso: gestire dati che si conoscono e confermano quello che già si sa è confortevole, una sorta di coperta di Linus. «L’avvento del Machine Learning, però, ha strappato questa coperta», aggiunge Vergara. «I dati iniziano a dirci cose che non ci aspettiamo, che magari non vogliamo sentire, e questo è destabilizzante». L’esperienza personale della Cio di Italgas ha creato il contesto ideale per introdurre Artificial Intelligence e Transformation, sessione pomeridiana del Sas Forum Milan organizzata in collaborazione con Business People, durante la quale si è andati alla scoperta di come analytics e intelligenza artificiale stiano guidano la trasformazione digitale nelle aziende.

Durante la plenaria dell’evento – che lo scorso giugno ha confermato un tutto esaurito con oltre 2.000 partecipanti – è emersa l’importanza di compiere un atto di fede verso la tecnologia. Con una trasformazione digitale sempre più data driven è necessaria una diversa interpretazione del dato che, come ricordato da Vergara, passa da elemento di verifica a input verso nuove strategie di business. «Senza questo approccio», aggiunge, «non si riesce a estrarre veramente valore». Il problema, quindi, oltre alle competenze, è la resistenza naturale al cambiamento dell’essere umano. Una tesi confermata da Vincenzo Valentini, Scientific Deputy Director Head Health Big Data del Policlinico Gemelli Irccs. «Traslocare è l’esperienza più pesante che un uomo possa fare», afferma, evidenziando come anche in campo medico si stia abbandonando il modello induttivo e deduttivo. «Migreremo verso modelli predittivi: ridurranno i margini di errore, ma resteranno sempre, perché la medicina, come affermava Sir William Hostel, “è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità”».

Se la digital transformation può richiedere un atto di fede, l’aumento delle competenze contribuirà a ridurre la diffidenza verso l’intelligenza artificiale. «In Crédit Agricole abbiamo sondato le implicazioni dell’A.I. sul business e posso assicurare una cosa: una volta che la conosci, la riesci a dominare», conferma Gabriella Scapicchio, Sindaco di Le Village By CA Milano, hub di innovazione della banca francese. «Nonostante si stimi che in 4-5 anni le potenzialità dell’intelligenza artificiale raggiungeranno quelle del cervello umano, le due cose non saranno mai sovrapponibili. L’A.I. ci aiuta nell’elaborazione di enormi quantità di dati e a eliminare dai giudizi l’aspetto soggettivo. Sta poi alla nostra intelligenza sfruttare e arricchire queste informazioni». Un aspetto su cui ha insistito anche Daniel Rodriguez, che in Vodafone ricopre la carica di Head of Big Data and Advanced Analytics. «La simbiosi tra uomo e A.I. è importante», quest’ultima libera da compiti più gravosi la mente umana, che può così dedicarsi ad altro. «Non solo gestisce meglio i processi, ma è capace di dare il via a nuove opportunità di business». Certo, è proprio quando ci si trova in contrasto con le indicazioni dettate dalle nuove tecnologie che si ritorna al tema della fiducia, senza dimenticare che «i dati analizzati spesso non sono tutti quelli che si possono avere a disposizione e a volte non sono nemmeno giusti».

La mediazione umana negli analytics, quindi, è la strada che porta al successo. Ne è la prova il mercato delle assicurazioni, dove da circa 50 anni è presente una forte componente analitica, ma spetta agli agenti fare la differenza. «In Italia oltre l’80% dei contratti viene mediato da un essere umano», conferma Giacomo Lovati, direttore Insurance & Telematic Services di UnipolSai. «Solo gli agenti fisici sul territorio, che conoscono direttamente l’assicurato, possono andare oltre il dato nudo e crudo, applicando uno sconto decisivo al profilo “più sicuro”». Un approccio data driven assicura anche un miglioramento dei processi organizzativi. «All’interno del nostro piano strategico triennale uno dei pilastri di crescita è proprio quello della digital transformation. Nell’evoluzione di un’azienda non può mancare una profonda riflessione sul valore dei dati», sottolinea Alberto Branchesi, Head of Data and Digital Platforms di Assicurazioni Generali. «L’ottimizzazione dei processi interni ha poi un effetto positivo nei confronti di agenti sparsi sul territorio e clienti», aggiunge. Ed è proprio nel miglioramento della customer experience che la trasformazione digitale gioca un ruolo decisivo. «Aumentare i momenti di contatto con i clienti è determinante, soprattutto in campo assicurativo dove possiamo contare sì e no su un touchpoint l’anno», ammette Lovati. Da qui l’idea di sfruttare l’enorme potenziale di informazioni raccolte sul fronte della mobilità per restituire dati utili agli utenti, che possono così avere via app notifiche su incroci pericolosi, posizione delle buche stradali e all’allerta meteo, aumentando le occasioni di dialogo con l’azienda.

Sul fronte del rapporto con il cliente da evidenziare anche il progetto di Intesa Sanpaolo in collaborazione con Nunatac, presentato da Anna Baima Poma, responsabile Qualità e Ricerche della divisione BdT dell’istituto piemontese, e dal socio fondatore di Nunatac, Alberto Saccardi. Attraverso la consulenza della società di Big Data e analytics, la banca è riuscita a gestire al meglio i diversi feedback dai clienti, realizzando un quadro rappresentativo dei correntisti di ogni filiale, che possono essere meglio coinvolti nel processi di co-creazione di servizi dedicati.

Siamo ancora in un’era pioneristica e le potenzialità della trasformazione digitale dettata dagli analytics vanno forse oltre la nostra attuale comprensione. Sicuramente sarà necessario un’integrazione tra ecosistemi. «Perché i dati non sono solo quelli che abbiamo nel nostro “giacimento di petrolio”», sottolinea Valentini parlando degli oltre 440 milioni di dati granulari raccolti al Gemelli. «Sono anche quelli della real life dei pazienti, che lui stesso valorizza». Anche per questo l’ospedale sta portando avanti un discorso di partenariato con i consorzi dei medici di famiglia, una connessione tra due mondi «all’interno delle garanzie di privacy che dobbiamo ai pazienti, a partire dal Gdpr». Anche in tema di privacy è necessario un salto culturale. Per Lovati l’argomento viene troppo spesso utilizzato in maniera strumentale. «Il settore bancario e assicurativo sono correttamente, ma estremamente presi di mira, in altri settori si concede fin troppa libertà. Se vogliamo parlare veramente di customer experience e mobilità integrata, dobbiamo essere in grado di abbattere i sistemi chiusi». C’è poi un altro aspetto che non è stato sviluppato a sufficienza, conclude Branchesi: «È necessaria un’educazione alla privacy anche delle persone, non solo delle aziende».

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