La mafia non dorme mai

La cronaca delle ultime settimane lo dimostra: come ogni crisi, anche quella che stiamo vivendo nasconde opportunità lucrose per la criminalità organizzata. Così l’emergenza sanitaria, divenuta economica, potrebbe subire una terza trasformazione e interessare anche la sicurezza nazionale

Secondo un detto particolarmente abusato, in ogni crisi si nasconde sempre un’opportunità. È una banalità che funziona molto bene nei discorsi motivazionali, meno nella vita vera. Fanno eccezione le organizzazioni di stampo mafioso: per loro, ogni crisi, e questa in particolare, è davvero un’occasione. Imprenditori ed esercenti hanno bisogno di soldi, mentre le mafie hanno il problema opposto: una liquidità immensa che non sanno dove parcheggiare. È così che la crisi sanitaria, diventata economica, potrebbe subire la sua terza metamorfosi e trasformarsi in un’emergenza relativa alla sicurezza nazionale.

Ogni volta che lo Stato si è trovato costretto a immettere risorse importanti nell’economia, per gestire emergenze come ricostruzioni post-alluvione o post terremoto, o eventi internazionali, come i Mondiali di calcio, di nuoto o l’Expo di Milano, i gruppi criminali sono sempre stati i primi a citofonare. Naturalmente, presentandosi sotto falso nome. Dalla cronaca arrivano promemoria a cadenza quotidiana. A maggio, per esempio, il prefetto dell’Aquila, Cinzia Torraco, ha adottato un’interdittiva antimafia nei confronti di un’impresa edile coinvolta nella ricostruzione della città distrutta dal sisma del 2009. Non ci sono solo i grandi eventi. Si parla di infiltrazione mafiosa nell’economia legale, e il sostantivo rende bene l’idea: è un processo continuo e silenzioso. Ma l’emergenza economica da lockdown per il crimine organizzato è una manna. «I clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, a dare la caccia ad aziende in stato di necessità», scriveva il Gip Piergiorgio Morosini nell’ordinanza che, il mese scorso, ha portato all’arresto di 91 persone nell’operazione “Mani in pasta”, condotta tra Palermo e Milano, con cui è stata sgominata un’organizzazione che controllava diverse attività nel capoluogo lombardo.

Infiltrare aziende per i gruppi criminali è una questione di vitale importanza. «Le mafie hanno una quantità di liquidi inimmaginabile, stanze piene di banconote. Per questo hanno bisogno di attività legali in cui infiltrarsi: perché devono riciclare tutti questi soldi. Poi, naturalmente, c’è anche una visione di più ampio respiro, nel senso che, controllando le aziende, cominciano a controllare anche i mercati, per esempio quello del lavoro, e in questo modo acquisiscono consenso». Così Marella Caramazza, direttore generale della Fondazione Istud, autrice del libro Il socio occulto, in cui racconta la penetrazione criminale nel tessuto economico del Nord. Da questo lavoro è nato un toolkit, adottato anche da Assolombarda, perché gli imprenditori possano imparare a riconoscere i segnali che dovrebbero far suonare campanelli d’allarme circa la reale identità dei partner ai quali si stanno affidando. Molto spesso, però, è più facile (e vitale) chiudere gli occhi. «Gli imprenditori», dice l’economista, «sono vittime consapevoli. Semmai sono inconsapevoli del rischio che corrono, perché non hanno idea di che cosa sia la mafia. Soprattutto al Nord, la confondono con la corruzione e pensano che mafia sia il malaffare generico in cui si fa business, quando è una cosa completamente diversa. E così, accettano soldi pensando che poi sarà facile sbarazzarsi di chi glieli presta, e sbagliano. Infatti, nel momento in cui questi personaggi investono in un’impresa, ne acquisiscono anche delle quote, e a quel punto l’azienda non è più dell’imprenditore».

L’ingresso nell’economia non sarebbe possibile senza la complicità della cosiddetta zona grigia. Stando ai dati contenuti in una relazione della Dia, tra il 2008 e il 2018 sono stati 31.417 gli arrestati o i denunciati in base agli articoli 416, 416 bis e 416 ter del Codice penale (associazione a delinquere, associazione di stampo mafioso e voto di scambio politico-mafioso); di questi, 6.954 erano imprenditori e 3.278 professionisti. Sono loro che hanno aiutato le organizzazioni mafiose a estendere i loro tentacoli praticamente in ogni ambito dell’economia legale. La crescita esponenziale del fenomeno è testimoniata dai numeri diffusi dall’Agenzia anti-corruzione (Anac) sulle aziende che avevano ricevuto un’interdittiva per mafia: dalle 122 del 2014 si è passati alle 573 del 2018, con una crescita del 370%.

A lungo si è finto di non vedere che le mafie stavano mettendo radici anche oltre il Po. Ivano Giacomelli, segretario nazionale di Codici, associazione per la protezione dei diritti dei cittadini, attiva nel campo della lotta all’usura e alla mafia, è stato tra i primi ad accorgersi del fenomeno. Oggi guarda con particolare preoccupazione al quadro economico che il Paese si troverà ad affrontare a breve. «Dalle piccole e medie imprese alle famiglie, ci troveremo in una crisi di liquidità importante. Chi ha soldi in mano, da sempre, è la criminalità organizzata che addirittura non sa come spenderli. Una parte di questo denaro viene lavata attraverso le attività produttive, ma una grande fetta viene impiegata nell’usura».

Lo strozzinaggio è l’altro grande incubo in cui migliaia di italiani stanno per cadere. Solo negli ultimi due mesi, il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso, richieste estorsive ed usura, ha erogato 5 milioni di euro. Un aiuto importante il cui meccanismo, però, secondo l’avvocato, sembra molto farraginoso: «L’imprenditore fa la denuncia, quindi inoltra la domanda al Fondo di solidarietà presso il ministero dell’Interno, che la trasmette alla prefettura, la quale chiede notizie sull’autore della denuncia alla Procura competente, che a sua volta fa indagini che richiedono tempo. Insomma, tra un passaggio e l’altro, l’imprenditore non riceve una provvisionale prima di un anno. A quel punto, chi chiede aiuto è già fallito». Non si può dire che le istituzioni non siano consapevoli dei rischi che corre il Paese. Negli ultimi mesi si sono moltiplicate note, circolari e direttive diramate dai vertici degli apparati di sicurezza. Presso la direzione centrale della Polizia criminale, ad aprile, è stato stabilito un organismo di monitoraggio interforze, cui partecipano anche Carabinieri, Guardia di Finanza e Amministrazione penitenziaria per condividere informazioni. La Sace, società di Cdp che garantirà parte dei prestiti alle imprese, ha avuto accesso alla Banca dati nazionale antimafia delle procure. Eppure, il dl Liquidità ha molti punti deboli, come evidenziato da pezzi da novanta della magistratura. La rete stessa a protezione del sistema economico ha maglie troppo larghe e l’“Alta mafia imprenditrice”, definizione di Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore presso la Dda di Reggio Calabria, è già pronta. Non le mancano le idee e soprattutto i capitali.


Articolo pubblicato su Business People di giugno 2020

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