Corte Ue, gli Usa non tutelano la privacy dei cittadini europei

Sotto accusa i limiti del “Safe Harbour” e i pericoli cui è sottoposta l’identità digitale degli utenti europei negli Usa

Quella della Corte di Giustizia europea sarà una sentenza storica: nell’Ue la privacy del cittadino è intoccabile e va difesa da ogni interferenza, anche quando si tratta della sua vita digitale. E va preservata sempre, anche quando la tutela è in contrasto con le diverse esigenze degli Usa, che antepongono la sicurezza (spesso preventiva) alla privacy.

IL CASO SCHREMS. La sentenza è stata scatenata dal caso sollevato dall’austriaco Maximillian Schrems, che decise di portare Facebook davanti ai giudici. L’uomo, avvocato, si è detto infatti preoccupato dalle procedute attraverso cui i dati raccolti dal social network sui suoi utenti siano trasferiti dai server irlandesi, che fanno da “base europea”, a quelli americani. Lo spostamento sarebbe decisamente rischioso per la privacy dei cittadini, che non potrebbero difendersi da azioni di profilazione da parte degli enti americani (prima fra tutti la National Security Agency), come dimostrato – secondo Schrems – da Edward Snowden e dalle sue rivelazioni sul Datagate.

SAFE HARBOUR. La sentenza C-362/14 della Corte di Giustizia va in deciso contrasto con la decisione presa dalla Commissione Europea nel luglio del 2000, secondo cui agli Usa andava richiesto un livello di protezione della privacy almeno equivalente a quello stabilito dai Governi europei. Tuttavia non ci fu, da parte della Commissione, alcun controllo sull’effettivo uso dei dati degli utenti da parte degli enti americani: ci si limitò, infatti, a ribadire le disposizione del cosiddetto “Safe Harbour”, “approdo sicuro”, che vincola le imprese private americane a garantire i diritti del consumatore europeo. Con, però, un problema di fondo: il Safe Harbour è vincolante per i privati, ma non per le istituzioni pubbliche, e la legislazione americana autorizza a scavalcarlo nei casi in cui questioni di sicurezza lo richiedano.

POTERE AI SINGOLI STATI. La Corte Ue ha bacchettato la Commissione: la sua opinione, infatti, è che essa non avesse le competenze necessarie a limitare i poteri delle autorità di controllo dei singoli Stati. Al cittadino europeo deve essere permessa in ogni caso un accesso diretto ai propri dati personali (per esempio al fine di rettificarli o eliminarli); è diritto degli utenti quello di avere la garanzia di poter difendere la propria privacy grazie ai mezzi giuridici messi a disposizione dal proprio Stato di residenza, dai singoli Governi e Magistrature.

PRIVACY TUTELATA. Se finora le autorità pubbliche americane hanno avuto ampi margini di intervento sui dati dei cittadini del Vecchio Continente, ora la Corte europea ritiene si debba mettere un freno alle libertà che gli Usa si sono presi: l’accesso in maniera generalizzata al contenuto di comunicazioni elettroniche deve, secondo la sentenza, « essere considerata lesiva del contenuto essenziale del diritto fondamentale al rispetto della vita privata». La difesa dell’identità digitale ha questa volta fatto segnare un punto a Schrems e tutti gli utenti preoccupati per la propria privacy in Rete, determinando inoltre una decisa svolta verso una presa di coscienza sulla necessità di tutelare i cittadini. O almeno quelli europei.

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