La Cina non è più un Paese per brindisi

Sembrava l'Eldorado dell'enologia, ma solo nel 2019 le società attive nell'import si sono ridotte di un terzo

Dalle 6.411 di fine 2018 alle4.175 di fine maggio del 2019: nella prima parte dell’anno la Cina ha visto uscire dal mercato circa un terzo delle sue società attive nell’importazione del vino, più di 2mila. Un dato preoccupante reso noto dalla camera di commercio agroalimentare di Pechino, la Cfna, che conferma il calo di interesse già segnalato dalla China Association for Imports and Export of Wine & Spirits, secondo la quale il giro d’affari delle importazioni è stato di 1,22 miliardi di dollari nel primo semestre 2019, in calo del 19,5% rispetto all’anno precedente. Le cause della crisi? Le associazioni locali del comparto le individuano nel peggioramento dell’economia cinese e le tensioni commerciali con gli Usa. Il vino statunitense è ormai fuori mercato visto che è sottoposto a un dazio di oltre il 100%, cosa che ha fatto segnare un calo del 54% nei primi mesi del 2019, ma anche i nettari europei sono in difficoltà: i francesi, leader storici in questo mercato, hanno perso il 31,5% a valore, gli spagnoli quasi il 17% e gli italiani più del 12. Grazie all’accordi di libero scambio con la Cina ad avvantaggiarsene è l’Australia, che ha quest’anno superato Parigi. E non fatevi ingannare dall’incremento registrato nel mese di giugno: è stato innescato dal vino sfuso, segno che gli importatori stanno acquistando prodotti più economici per aumentare i margini.

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