Cent’anni fa la vera Caporetto: storia di un disastro annunciato

Il 24 ottobre del 1917 l’esercito italiano subiva una sconfitta tanto da disastrosa da essere entrata nel nostro vocabolario

Il Piave mormorò “non passa lo straniero”. A quel piccolo fiume era stato affidato il destino di un intero Paese, dopo che si era verificata non una sconfitta ma la madre di tutte le sconfitte. Il 24 ottobre ricorre il centesimo anniversario di Caporetto, una battaglia entrata nei libri di storia e nel nostro vocabolario (non solo italiano, purtroppo) con un significato ben preciso. Ancora oggi, se diciamo che un qualcuno o un qualcosa, per esempio un partito alle elezioni o la nazionale di calcio in un torneo importante, ha vissuto la sua Caporetto, non stiamo dicendo solo che ha perso ma stiamo indicando in realtà le dimensioni eclatanti della sconfitta. Infatti, a Caporetto l’esercito regio, nel 1917, non perse solo una battaglia, rischiò di perdere – quasi fantozzianamente, e questa è la cosa più grave – l’intera guerra.

La storia di Caporetto, un disastro preannunciato

Insomma, in quella località che oggi è in Slovenia si consumò uno degli episodi più drammatici e al tempo stesso più assurdi della nostra storia, dove il valore dei singoli fu obnubilato dal tracollo collettivo a partire dalla catena di comando. Per capire cosa successe a Caporetto bisogna tornare appunto indietro di cento anni esatti. Nel 1917 l’Italia stava combattendo nella I Guerra mondiale, contro quelli che fino a solo due anni prima erano stati i suoi alleati: la Germania e l’impero austro-ungarico.Naturalmente, era entrata in guerra nello stesso modo in cui Fantozzi e Filini partecipano alla corsa ciclistica. L’aneddotica a riguardo sembra presa da un libro di barzellette, che non per niente, tra i soldati, fiorivano copiose sui comandanti. Questo scrisse Giuseppe Prezzolini in Dopo Caporetto, nel 1919, citato da Mario Troso: “L’esercito italiano scese in guerra nel maggio del 1915 assolutamente impreparato: militarmente e moralmente… Entrammo in guerra con un armamento ‘preistorico’… Nessuno s’era corretto in dieci mesi di guerra europea… Le bombe a mano erano sconosciute… Gli ufficiali parteciparono ai primi combattimenti con la sciabola e vestiti in modo da essere subito colpiti. L’aviazione non funzionava. Nessuno dei capi vi aveva creduto… Fra l’artiglieria e le fanterie nessun serio collegamento, nessun segnale: l’artiglieria nostra finiva per sparare sui nostri fanti. Si pretendeva tagliare i reticolati con le pinze a mano e con i tubi di gelatina. In questo impossibile compito furon sacrificati i migliori elementi della fanteria e del genio. I superiori… mandavano al macello, contro reticolati intatti, masse di uomini”.

La strategia (errata) della battaglia sul Piave

Il nemico era l’Austria e quindi i soldati italiani erano schierati lungo quel confine, che all’epoca era piuttosto lungo, aveva la forma di una S coricata, partendo dalla Svizzera curvava lungo gli attuali confini della Lombardia, del Veneto e del Friuli fino al mare presso Monfalcone. L’80% dell’esercito italiano era schierato lungo la valle del fiume dove, dal giugno 1915 all’ottobre 1917, si erano già combattute ben 11 battaglie, 11 “spallate” contro un avversario inferiore nei numeri ma sapientemente abbarbicato su un terreno impossibile per l’attaccante. Solo l’undicesima battaglia aveva finalmente lasciato intravedere la possibilità sfondamento, sfondamento che i mezzi e le capacità di comando del nostro esercito non erano in realtà in grado di sfruttare.Fin dall’inizio del conflitto, le truppe del re combattevano una guerra di tipo offensivo, seguendo schemi ottocenteschi, imparando lentamente le nuove regole della guerra moderna (dettate dalle mitragliatrici e dall’artiglieria) assalto dopo assalto, massacro dopo massacro. L’offensiva finale e il conseguente sfondamento non ci furono. Si arrivò a ottobre con i vertici militari italiani che avevano ordinato alle truppe di adottare un assetto difensivo. Si diffuse la convinzione che, con l’inverno alle porte, gli austriaci non avrebbero attaccato prima della primavera dell’anno successivo. Inoltre, i geniali strateghi ai piani alti non riuscirono a comunicare efficacemente tra loro. Il generale Cadorna aveva ordinato alla Seconda e alla Terza armata, rispettivamente guidate dal generale Capello e dal Duca d’Aosta, il cugino del re, di predisporre i preparativi per la difesa a oltranza. Il primo però diede ai suoi uomini ordini diversi, impostando uno schieramento che oltre alla difesa avrebbe dovuto garantire un’immediata controffensiva. Cadorna, informato delle intenzioni del subordinato, confermò che l’ordine era la difesa a oltranza ma, di fatto, non impose a Capello la revisione dei piani adottati da quest’ultimo. Per entrambi, il rischio di un attacco austriaco immediato era piuttosto improbabile.

I numeri della battaglia di Caporetto

Con la Rivoluzione d’Ottobre, però, la Russia si era sfilata dal conflitto, consentendo alla Germania, alleata dell’Austria, di spostare parte del suo esercito sul confine tra Austria e Italia. Le truppe Austro-tedesche, tra le quali militava anche un giovane Erwin Rommel, futura “Volpe del Deserto, attaccarono a sorpresa alle due di notte del 24 ottobre, cogliendo di sorpresa il regio esercito il quale, tra l’altro, era stato informato dei piani austriaci dallo spionaggio, a sua volta allertato da due disertori rumeni che avevano spifferato molte informazioni essenziali sulla strategia scelta dai generali di Vienna e Berlino. Ma quelle informazioni vennero ritenute poco attendibili.La battaglia di Caporetto durò fino al 12 novembre e costò all’Italia circa 13 mila morti, 30 mila feriti e 285 mila prigionieri, 400 mila sbandati e la perdita di più di 3 mila cannoni, la ritirata dell’esercito fino quasi a Venezia e l’invasione austriaca del Friuli e di parte del Veneto. Fu, insomma, una disfatta drammatica e inaspettata, inflitta da un nemico che dall’inizio della guerra era stato quasi sempre sulla difensiva e che, in pochi giorni e con poche perdite, usando tattiche innovative e sfruttando i nostri punti deboli, era avanzato di oltre 100 chilometri a fronte della decina scarsa ottenuta in due anni e mezzo dalle nostre 11 “spallate”. E all’Italia non rimase che affidarsi al Piave.

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