Aziende di famiglia: istruzioni per l’uso

In Italia ogni anno sono 65 mila le società che affrontano il passaggio generazionale e solo il 20-25% dei rampolli continua l’attività dei padri. E pensare che per garantirsi continuità basterebbero solo poche regole... Ecco come mettere insieme affari, problemi quotidiani, gestione di figli, moglie, parenti

Perché i figli tendono a lavorare nelle stesse attività dei genitori o perché nel caso di imprese strutturate i figli non vogliono inserirsi e garantire la continuità generazionale? È crisi della famiglia o crisi dell’impresa di famiglia? E la fine del ciclo di vita di un’impresa di famiglia è conseguenza diretta da processi razionali di mercato o è il risultato di un fallimento nelle relazioni familiari?Domande di grande attualità per il nostro sistema produttivo, visto che famiglia e impresa è un binomio che ha acquisito un valore che va ben oltre le statistiche ufficiali. E infatti studi e analisi condotti da specialisti (www.trasversale.com), stimano che oltre l’83% delle micro e piccole imprese in Italia sono a gestione familiare, numero che sicuramente è maggiore se si considerano gli studi professionali di avvocati, medici, notai, architetti.Oggi sembrerebbe che se siamo figli, siamo eredi. Ma non sempre è così facile. Molte di queste imprese di famiglia difficilmente arriveranno alla seconda o terza generazione. Il motivo non è economico o di mercato, le cause sono le difficoltà a gestire i rapporti emotivi tra i membri della famiglia coinvolti nel family business. Evitare il conflitto transgenerazionale quindi è di estrema importanza per garantire la continuità delle imprese. Ma da quando si può parlare di imprese di famiglia, o di famiglie che si aggregano intorno ad un progetto comune di produzione e accumulazione di valore? Anche se per rapidi cenni, è il caso di partire da molto lontano.L’avvento dell’agricoltura, circa 10 mila anni fa, e lo sfruttamento degli animali, favorì l’accumulo di beni. Dall’assenza di proprietà, poi, si passa alla prima forma di proprietà privata: il surplus dei beni, degli animali, e anche dei figli. Nasce in quel periodo la famiglia di stampo patriarcale, dovuta alla necessità dei padri di rivendicare i figli come alleati nell’accumulo e nella difesa delle proprietà. Celiando, si potrebbe far nascere da qui l’impresa di famiglia.Il passaggio dalla società nomade-pastorale a quella agricola-stanziale ha coinciso con conflitti tra popolazioni per il possesso di terre e animali.Si instaura una nuova classificazione che distingue fra mestieri sedentari e mestieri nomadi: sono sedentari i mestieri che si svolgono più vicino ai consumatori, come quelli legati alla salute, all’istruzione, all’alimentazione e all’esercizio della sovranità; sono nomadi i mestieri che possono scegliere di dislocarsi dove i costi di produzione sono più bassi, ossia tutti. Le prime imprese nomadi (di famiglia) sono organizzate sul modello delle compagnie teatrali: mettono insieme competenze per assolvere un determinato compito e poi si disperdono. La durata di vita di queste imprese dipende dalle idee e dalle intenzioni dei fondatori. Quelle della seconda categoria, molto più rara, sono organizzate secondo il modello dei circhi, cioè intorno a un nome, garanzia di qualità, lavorano dove si trova il mercato. Queste imprese non fanno altro che gestire i marchi, assemblarli, sistemarli: riuniscono moduli fabbricati da subappaltatori specializzati, a loro volta compagnie teatrali. Con l’arrivo delle prime forme di proprietà (con la nascita dei primi insediamenti stanziali, quando l’uomo di fronte alla necessità di aspettare la maturazione delle semine incominciò a dover difendersi, costruendo le prime cinte intorno ai villaggi), nacque il potere di accumulazione e di conseguenza il senso del possesso.

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È in questo momento che prende forma il family business. Le imprese a conduzione familiare presentano caratteristiche differenziali che le possono rendere di volta in volta particolarmente attive e dinamiche, ovvero possono determinare fasi critiche e di regresso. Finora tali problematiche sono state affrontate con un approccio riduttivo che le ha definite nei termini tecnici della trasmissione di impresa, della cessione patrimoniale e degli aspetti fiscali e tributari. Le discontinuità nello sviluppo delle imprese a conduzione familiare, in una visione sistemica più generale, sono dovute al fatto che molte difficoltà nella gestione nascono proprio dalle stesse opportunità che rendono queste imprese più competitive. La struttura familiare presenta indiscutibili vantaggi di flessibilità organizzativa ed economica ed è per la sua stessa natura di base emotiva, potenzialmente conflittuale. A volte ci sono domande a cui solo un esperto con visione oggettiva e autonoma può rispondere. La fine del ciclo di vita di un’impresa di famiglia è conseguenza diretta di processi razionali dettati dal mercato o è il risultato di un fallimento nelle relazioni familiari? L’insieme di variabili relazionali, affettive, economiche, gestionali e di eredità possono condizionare la continuità o la discontinuità dell’evoluzione di una impresa di famiglia? Garantire la continuità delle imprese familiari richiede una visione ampia che permetta al titolare o capostipite la possibilità di coinvolgere nelle attività, fin dai primi momenti, i propri figli e parenti diretti. Questo processo di coinvolgimento e inserimento dei figli non è facile.Dove c’è una famiglia, ci sono gli affetti e l’emotività. Nell’impresa di famiglia occorre saper mettere insieme affari, problemi quotidiani di gestione, figli, mogli e mariti, parenti acquisiti. Quando l’imprenditore non ce la fa, nessuno può garantire la continuità e di conseguenza il futuro dell’impresa. Le imprese di famiglia a volte possono continuare, evolvere, trasformarsi ed esaurirsi. Le relazioni familiari non sono univoche, ma sono caratterizzate dalla presenza di ruoli ben delineati (marito, moglie, padre, madre, figlio, nonno/a), da una gerarchia connessa alle diverse generazioni e dalla differenza di genere (maschile e femminile). Il tessuto relazionale di cui è costituita la famiglia e che i familiari sperimentano nella quotidianità, si manifesta in modo più esplicito nei momenti di passaggio, ovvero nelle transizioni, in particolare nel passaggio generazionale che avviene nell’ambito di una impresa di famiglia. I passaggi mettono in luce e alla prova la qualità delle relazioni e perciò evidenziano la struttura relazionale della famiglia, i suoi punti di forza e di debolezza.In molte imprese di famiglia (indipendentemente che si tratti di una piccola o grande impresa, di uno studio professionale o di una bottega), l’essenziale delle regole di comportamento tra i diversi membri presenti nell’impresa è dato per acquisito e non è mai esplicitato ne spiegato.Nelle imprese di famiglia basate su una governance decisionale accentrata e rigida, decide solo il titolare/fondatore e i figli, esclusi dal processo di decisione, riescono a gestire le deleghe con forte ritardo o addirittura queste arrivano dopo la scomparsa del titolare/fondatore. Il passaggio generazionale si produce per una causalità fisiologica e non in forma volontaria. Nelle imprese di famiglia flessibili i figli sono inclusi e partecipano ai processi vitali dell’impresa, difficilmente verrà interrotta la continuità. Il passaggio generazionale avviene senza abdicazioni e senza pretese.Tra gli svantaggi delle imprese di famiglia quello che ha maggiori risvolti sociali, risulta essere collegato alla natura ereditaria del potere, che non sembra in grado di garantire la più efficace transizione transgenerazionale, per il semplice motivo che l’imprenditorialità non è per sua natura ereditaria. Certamente esistono modelli organizzativi per garantire la continuità generazionale nelle imprese di famiglia e regole da rispettare che si devono utilizzare nel proprio quotidiano. Queste regole devono rispettare i seguenti format: coinvolgimento consapevole dei familiari inseriti nell’impresa (passione e metodo): devono lavorare solo i figli o eredi con motivazione; rispetto delle risorse umane che lavorano nell’impresa: conviene evitare un atteggiamento di nepotismo, non assegnando ruoli di comando ad eredi senza competenze; gestione condivisa delle decisioni tra le generazioni presenti nell’impresa in modo da trasferire conoscenze, competenze e responsabilità agli imprenditori di domani (l’approccio cogenerazionale).

*Luis Iurcovich, economia e sociologo di origini argentine, esperto di family business, ha collaborato con organizzazioni nazionali e internazionali. Amministratore delegato di Trasversale srl, società attiva nel campo dell’economia e della ricerca cognitiva, nata nel 1992, vera e propria azienda di famiglia, perchè insieme a Luis lavorano anche i due figli, un sociologo ed una pedagoga e la moglie, medico. Iurcovich è membro fondatore di Contif (Consiglio Nazionale per la Continuità delle piccole Imprese di Famiglia). È autore di Piccole e medie imprese a conduzione familiare: la sfida organizzativa, prospettive psicosociali per il management di seconda generazione (2000), Emotività e Regola nel passaggio generazionale in azienda (2006). È docente nei seminari di CFMT sulle tematiche relazionali riguardanti l’integrazione dei manager nelle imprese di famiglia.

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