Il crepuscolo della DE&I?

Se negli Stati Uniti è guerra aperta alle politiche per la diversity, l’Europa sembra tenere duro, anche se il dibattito sul tema è più vivo che mai. Mentre le aziende si trovano ad affrontare pressioni legali ed etiche nel tentativo di mantenere i loro impegni verso l’inclusione e la diversità

Il crepuscolo della DE&I?© Shutterstock

L’iperattività del presidente americano Donald Trump sui fronti dell’economia e della politica internazionale, che ha contraddistinto questi primi mesi del suo mandato, ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica, facendo quasi passare in secondo piano l’attacco deciso e ferale a quelle politiche di inclusività, equità e diversità che sembravano essere diventate pilastri ormai inamovibili delle società e del mondo del lavoro occidentali.

Guerra al Woke!

«Abbiamo posto fine alla tirannia delle cosiddette politiche di diversità, equità e inclusione in tutto il governo federale e, in effetti, anche nel settore privato e nelle forze armate», ha dichiarato Trump durante il suo discorso sullo Stato della Nazione tenuto di fronte al Congresso Usa il 4 marzo scorso. «Il nostro Paese non sarà più woke». L’idea stessa della DE&I è a rischio? 

Già il 20 gennaio, appena insediatosi alla Casa Bianca, il neoeletto presidente aveva firmato i primi ordini esecutivi volti da una parte a smantellare i programmi DE&I all’interno della pubblica amministrazione americana, e dall’altro a esercitare pressioni su tutti gli Stati della federazione perché ponessero fine alla “discriminazione DE&I” ormai illegale. Incaricando le agenzie federali di preparare elenchi di aziende private da sottoporre a indagine per via delle loro politiche sulla diversity.

Negli ultimi anni, il dibattito sull’argomento negli Stati Uniti è stato molto acceso e polarizzante. L’America più conservatrice, quella che ha trovato sponda facile in Trump e il suo Maga (Make America Great Again), considera le politiche DE&I come espressione di una discriminazione rovesciata che favorisce nell’accesso al lavoro persone appartenenti a determinate categorie (espressione di genere, razza, stato sociale ecc.), a discapito di una reale meritocrazia.

Posta così la questione sembra più nobile di quanto in effetti sia. Perché in ballo ci sono in realtà la grossa crisi economica che attanaglia gli Stati Uniti, la volontà della nuova amministrazione di reindustrializzare il Paese, la necessità degli imprenditori di avere il minor numero di vincoli possibili su una strada già di per sé molto complicata. Le intenzioni della nuova amministrazione erano chiare e annunciate già in fase di campagna elettorale.

Nessuna sorpresa, dunque, se non per il rapidissimo adeguamento di molte grandi aziende americane che fino a ieri avevano fatto delle proprie politiche DE&I un vanto e un motivo di orgoglio, e che oggi operano un voltafaccia a 360° altrettanto convinto e deciso. Secondo un report di Resume.org pubblicato da HRDive, importante realtà Usa nel campo delle risorse umane, un’azienda su otto in America prevede di eliminare o ridurre drasticamente i propri programmi DE&I entro il 2025. E l’8% delle aziende che non lo faranno entro quest’anno, prevedono di farlo entro i prossimi quattro anni. I motivi vanno dai mutamenti del clima politico alle pressioni economiche, passando per la mancanza di un reale ritorno sull’investimento.

Il crepuscolo della DE&I?

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Revisioni a tappeto delle iniziative DE&I

Per prime si sono dovute adeguare ovviamente le strutture pubbliche federali. Non solo hanno provveduto alla cancellazione di qualsiasi iniziativa DE&I, ma hanno anche eliminato qualsiasi riferimento su siti web e pubblicazioni di altro tipo. È il caso della Nasa, per fare un esempio. Ma molte aziende private importanti si sono mosse immediatamente. Tra le prime c’è Meta, già molto discussa per aver annunciato di essere prossima ad annullare il fact-checking e la moderazione dei contenuti pubblicati sulle proprie piattaforme. Il team interno dedicato al mondo DE&I è stato eliminato, l’impegno ad acquistare beni e servizi da società appartenenti a minoranze è stato stracciato, come quello per assunzioni e formazione diversificata dei dipendenti.

Inutile accennare a Tesla, X e le altre aziende facenti capo a Elon Musk, considerato che il discusso consigliere presidenziale è uno dei principali ispiratori di questa crociata anti-DE&I. Da parte sua McDonald’s ha comunicato ai propri dipendenti che quest’anno verranno interrotti gli obiettivi numerici di rappresentanza, verranno sospesi i sondaggi esterni per concentrarsi sul lavoro interno, verrà ritirato l’impegno congiunto in materia di diversity coi propri fornitori, in favore di un dialogo più integrato sull’inclusione legata alla performance aziendale (qualsiasi cosa questo voglia dire). In più il vecchio team DE&I sarà ribattezzato Global Inclusion Team.

Walmart, il più grande datore di lavoro privato degli Stati Uniti, aveva annunciato già nel novembre scorso che avrebbe interrotto i finanziamenti per le celebrazioni del Pride Month, per i programmi di formazione sull’equità razziale, e avrebbe posto termine alla condivisione dati con la Human Rights Campaign. Anche qui è in corso una revisione linguistica. Si parlerà di appartenenza anziché di diversità, inclusione o equità. La catena di grandi magazzini Target, che nel 2020, in seguito dell’uccisione di George Floyd a Minneapolis (dove l’azienda ha la sua sede centrale), aveva deciso di adottare politiche DE&I più incisive, per esempio aumentando del 20% la rappresentanza dei dipendenti neri, è tornata rapidamente sui propri passi. In un memo interno ha fatto sapere che avrebbe messo fine ai suoi obiettivi triennali DE&I e che avrebbe interrotto tutti i sondaggi esterni incentrati sulla diversità. Non darà più la precedenza ad aziende di proprietà di minoranze per il proprio approvvigionamento di merci, interromperà i suoi report sulla diversità, metterà fine all’iniziativa Racial Equity Action and Change.

Nel 2020 Amazon aveva dichiarato di voler raddoppiare il numero di di dipendenti neri in ruoli dirigenziali e aveva fissato l’obiettivo di aumentare del 30% la presenza di dipendenti neri in altri ruoli. In seguito ai recenti avvenimenti però Candi Castleberry, VP Inclusive eXperiences and Technology (IXT) del gigante che fa capo a Jeff Bezos, ha reso noto un memo in cui annuncia che l’azienda provvederà a razionalizzare il suo impegno. Invece di portare avanti tutte le istanze DE&I in arrivo dalle diverse strutture Amazon in tutto il mondo, da ora si procederà in maniera più razionale, cercando di affrontare principalmente quelle comuni a più paesi. Comunque un ridimensionamento.

Alphabet, la società cui fa capo Google ha rimosso dai propri report qualsiasi riferimento alle politiche DE&I, inclusa l’affermazione «Ci impegniamo a rendere la diversità, l’equità e l’inclusione parte integrante di tutto ciò che facciamo, e a costruire una forza lavoro rappresentativa dei nostri utenti». Sulla scia del movimento Black Lives Matter, Google aveva fissato vari obiettivi, fra cui l’aumento del 30% della rappresentanza di gruppi poco presenti nei ruoli dirigenziali. Ma in quanto contraente federale ora Google si dovrà conformare alle nuove direttive governative. C’è comunque chi ancora resiste e rifiuta il nuovo corso voluto da Trump. Fra i nomi più noti Apple, Microsoft, Delta Air Lines, Costco (ipermercati) e l’Università di Harvard. Per quanto ancora?

Il dibattito in area europea

Seppur in misura assai più limitata, il dibattito sulle politiche DE&I è vivo anche in Europa. Nel Regno Unito il dipartimento dell’Istruzione ha rifiutato di rendere obbligatorio l’insegnamento della storia dei neri, mentre alcuni sindacati del settore culturale hanno denunciato tentativi del governo di cancellare il passato coloniale britannico. In Francia, già nel 2021, la ministra per le Pari opportunità e della diversità, Elisabeth Moreno ha dichiarato che «la cultura woke è molto pericolosa e non dovremmo importarla in Francia».

In Ungheria il primo ministro Orban ha vietato gli studi di genere nelle università e ha affermato (un po’ come ha fatto anche Trump nel suo discorso di insediamento) che le persone «nascono maschio o femmina». Intanto anche alle aziende europee stanno arrivando lettere dagli Stati Uniti con l’invito (abbastanza coercitivo, in effetti) a non adottare politiche DE&I nelle procedure di assunzione del personale, almeno se si vuole continuare a ricevere appalti dagli Stati Uniti. È già successo in Spagna, in Francia e anche in Italia. E sembra che un po’ tutte le ambasciate Usa nel mondo stiano provvedendo all’invio di lettere di questo tipo. Il ministro del Commercio estero francese ha già denunciato queste ingerenze definendole inaccettabili. Non risulta al momento una simile presa di posizione del suo omologo italiano.

e in Italia?

Interrogate sul futuro delle loro politiche DE&I le filiali tricolori delle big tech Usa si limitano a riprendere gli statement ufficiali

Sull’onda delle notizie in arrivo dagli Stati Uniti, Business People ha provato a contattare le filiali italiane di alcune grandi aziende tech americane. Le bocche restano cucite e le risposte sono affidate agli statement ufficiali approvati negli Usa. Per quanto riguarda Google, trattandosi di appaltatori federali, interessati dunque direttamente dalle disposizioni del Governo, pare abbastanza probabile un rapido adattamento alle nuove direttive. Meta (Facebook, Instagram ecc.) sembra essere più realista del re, essendo stata fra le prime aziende a fare dietro-front sulla DE&I.

Per quanto riguarda invece Amazon l’impegno per ora sembra essere quello di continuare a perseguire gli obiettivi di inclusione, seppur dedicandovi minori risorse, come scritto poc’anzi. Questi gli statement ufficiali: Google: «Siamo impegnati a creare un ambiente di lavoro in cui tutti i nostri dipendenti possano avere successo e pari opportunità, e nell’ultimo anno abbiamo rivisto i nostri programmi per aiutarci a raggiungere questo obiettivo. Abbiamo aggiornato il nostro linguaggio del 10-k per rifletterlo e, in quanto appaltatori federali, i nostri team stanno valutando anche i cambiamenti necessari in seguito alle recenti decisioni dei tribunali e agli ordini esecutivi su questo argomento». Meta: «Alla luce del mutevole panorama legale e politico, abbiamo deciso di porre fine al nostro programma DE&I. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di avere a disposizione i migliori team in grado di sviluppare soluzioni per i miliardi di persone che utilizzano quotidianamente i nostri prodotti in tutto il mondo. Continueremo a sviluppare una forza lavoro leader nel settore, valutando le persone in quanto individui e selezionandole da un’ampia gamma di candidati, senza prendere decisioni basate su categorie protette». Amazon: «Continueremo a impegnarci a costruire un’azienda che valorizzi la diversità e promuova l’inclusione, in grado di offrire i migliori prodotti e servizi a tutte e tutti i nostri clienti».


Articolo tratto dallo speciale Diversity, Equity & Inclusion di Business People di maggio 2025, scarica il numero o abbonati qui

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