Silvia Salis: Lo sport? un investimento a lungo termine

Promuovere l’attività fisica e sostenere il comparto sportivo italiano genera valore, non solo per l’economia, ma per l’intero sistema Paese. Ecco perché il governo dovrebbe andare oltre i fondi assegnati dal Pnrr. Il punto di vista di Silvia Salis, vicepresidente vicario del Coni

Una recente indagine realizzata da Banca Ifis, la prima del suo genere, fotografa bene il momento dello sport italiano. Se a livello agonistico siamo reduci da un 2021 ricco di successi a livello internazionale, la base è a rischio sopravvivenza. Il primo Osservatorio sullo Sport System italiano ha evidenziato come nei due anni di pandemia il comparto abbia perso oltre 17 miliardi di euro, passando da un fatturato di 95,9 miliardi del 2019 ai 78,8 del 2021. Si registra una leggera ripresa e i numeri pre-pandemia evidenziano le potenzialità di crescita del comparto, ma le circa 74 mila società sportive professionistiche, associazioni dilettantistiche e società di gestione impianti del nostro Paese hanno vissuto e vivono momenti drammatici.

È il motivo per cui i 700 milioni di euro stanziati dal Pnrr per lo sport italiano rappresentano una boccata d’ossigeno, ma il Governo non dovrebbe fermarsi qui. Anche perché, come evidenziato dall’indagine di Banca Ifis, ogni milione di euro di investimenti pubblici attiva quasi 9 milioni di risorse dai privati, che generano per il Paese un fatturato annuo di 20 milioni. «Non esiste istituto bancario nel mondo che possa dare questo tipo di ritorni», dichiara a Business People Silvia Salis, ex atleta olimpionica, specializzata nel lancio del martello e oggi vicepresidente vicario del Coni. «Lo sport genera valore, senza contare i benefici – impossibili da calcolare – sul benessere fisico e mentale della popolazione, e sui conseguenti risparmi del sistema sanitario. Ricordiamoci il grande ruolo sociale ricoperto dallo sport nei mesi di pandemia, quando l’attività fisica era l’unica occasione per uscire di casa. Ecco perché ritengo che i 700 milioni del Pnrr possano sicuramente essere spesi bene, ma bisognerebbe investirne di più, e meglio». Prima donna ad assumere il ruolo di vicepresidente vicario nel Comitato olimpico nazionale italiano, Salis ha debuttato anche in ambito letterario con La bambina più forte del mondo, un romanzo per ragazzi che affronta temi come la parità di genere e l’abbattimento degli stereotipi.

Quando e perché nasce l’idea di questo libro? Nasce innanzitutto dalla consapevolezza di avere avuto una storia particolare, degna di essere raccontata. La scintilla, però, è scattata durante un Carnevale, guardando dal terrazzo di casa a Trastevere: per strada, tutte le bambine indossavano vestiti da principessa, quelli da supereroi li portavano solo i maschi. Lì ho realizzato quanta classificazione ci fosse già tra i bambini, un sistema che condiziona le aspirazioni di una vita, perché è evidente che immaginarsi supereroe apre una serie di scenari, sognare di diventare una principessa altri. Faccia caso al modo in cui si comunica con i più piccoli: i maschi sono forti e valorosi, le femmine sono carine e ben vestite… Anche se nella stragrande maggioranza dei casi viene fatto in buona fede, questo comportamento modifica in qualche modo il tuo modo di essere.

È più facile sradicare gli stereotipi nello sport o nella politica? Gli stereotipi si sradicano con l’esempio. Non c’è libro, trasmissione, articolo o movimento culturale che tenga. Il cambiamento avviene attraverso i fatti, di questo hanno bisogno le persone. Credo, però, che gli stereotipi si sradichino principalmente tra le nuove generazioni. Data la mia età e il mio ruolo, incontro spesso persone più grandi di me e, purtroppo, mi rendo conto che si tratta di individui con un’idea già formata. Hanno vissuto un loro percorso e, se non hanno già interiorizzato la questione di genere, non c’è molto da fare. Sui bambini, invece, si può ancora agire nel profondo.

Durante la sua carriera di atleta, ha mai pensato che – una volta appeso il martello al chiodo – avrebbe intrapreso una carriera politica? La “vocazione alla rappresentanza” l’ho sempre avuta… Pensi che già a sei anni dicevo a tutti che sarei diventata il sindaco di Genova, e calcoli che all’epoca non esisteva nemmeno il concetto di un sindaco donna! Crescendo sono stata rappresentante di classe, a 20 anni sono entrata nel consiglio del Cus di Genova, allora la mia società, poi mi sono laureata in Scienze politiche… Diciamo che la politica è sempre stata tra le mie aspirazioni. Delle carriere politiche – perché di questo si tratta, di vere e proprie professioni – trovo straordinaria la possibilità di poter incidere sulla vita di milioni di persone. È una responsabilità enorme, che mi ha sempre affascinato. C’è chi ritiene sia meglio non fare della politica una professione, ma lavorando all’interno di un’istituzione sportiva, posso dire l’esatto contrario: per potersi mettere al servizio della Cosa pubblica è necessario conoscerne a fondo i meccanismi. Ho sempre avuto chiaro che la politica è un ambito che richiede un grande senso di responsabilità e un’applicazione costante.

Il 2021 è stato un anno incredibile sul fronte dei risultati, che momento vive lo sport italiano? Bisogna fare un distinguo. Come Coni siamo vicini a tutte le associazioni e posso dirle che dopo questi due anni, lo sport italiano sul territorio – inteso come società e impianti sportivi – versa in una situazione tragica. La pandemia ha portato in rosso i conti di molte società, senza contare la congiuntura sfavorevole del rincaro dell’energia, delle materie prime e di tutta una serie di costi che si sono aggiunti a una situazione già difficile. È un tema di cui il governo dovrebbe farsi carico. Detto questo, l’Italia è un Paese che dall’estero guardano con ammirazione per i risultati che otteniamo in tutti gli sport, perché – a differenza di altre nazioni – siamo veramente competitivi a 360 gradi, dal calcio al curling. Questo è frutto del lavoro del nostro Comitato olimpico, che non lascia indietro nessuno: tutte le federazioni vengono considerate alla stessa stregua. Ci si lamenta spesso dell’Italia, ma siamo diventati un punto di riferimento per come il Paese ha affrontato la pandemia. Si può essere più o meno d’accordo su norme introdotte o non ritirate al momento giusto, ma nella fase più critica l’Italia ha dato una grande prova. E l’ha data anche nello sport: a differenza di altri, i nostri atleti hanno potuto continuare ad allenarsi ad alti livelli anche nei periodi più duri della pandemia, altrimenti nel 2021 non saremmo stati in grado di vincere così tanto.

Ha parlato delle responsabilità in capo al governo italiano. Voi come Coni come potete intervenire? Possiamo dare sicuramente un sostegno tecnico, di cultura sportiva e di formazione, però sarebbe pretestuoso e sbagliato dire “il Coni deve fare”, perché per intervenire servono risorse che noi non abbiamo, ma sono nella disponibilità del governo.

Intanto c’è l’Olimpiade di Milano-Cortina 2026 da organizzare… Cosa si aspetta da un evento di tale portata? In generale le Olimpiadi e le Paralimpiadi sono una grandissima opportunità economica, sportiva e sociale per il Paese e le città coinvolte. In passato hanno cambiato interi quartieri, strade, impianti e trasporti, lasciandoli più accessibili anche per le persone disabili, che possono muoversi, lavorare e praticare attività sportiva in centri pensati anche per loro. Non dimentichiamo anche i posti di lavoro generati nei due quadrienni precedenti e la formazione sul territorio nazionale riguardo ai temi dell’organizzazione di un grande evento dello sport.

Giovanni Malagò è al suo terzo mandato, alle Olimpiadi del 2026 ci sarà un nuovo presidente del Coni. Dopo il primo vicepresidente vicario, sarà la volta di un presidente donna? Quello che mi auguro è che non sia il momento del “basta che sia donna”, come è avvenuto durante il dibattito per l’elezione del Presidente della Repubblica. Se sarà donna, spero che venga eletta perché avrà dimostrato di essere la più brava, delle donne e degli uomini.

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