Punto a quota 500

Enrico Bracalente, fondatore del marchio NeroGiardini, svela i suoi piani per il futuro: mezzo miliardo di fatturato entro il 2015. Ma per riuscirci chiede alla politica di essere “seria, concreta e vicina alla gente. Come lo è stata nel caso della legge sul made in Italy”

Concretezza e legame con il territorio sono i punti di forza del marchigiano Enrico Bracalente, fondatore del brand NeroGiardini, che con 2 mila dipendenti e un fatturato di oltre 200 milioni di euro è uno degli imprenditori che rendono l’Italia un Paese riconosciuto in tutto il mondo. Per lui il made in Italy è un’ossessione, tanto che ogni prodotto che esce dalla sua azienda è marchiato con la bandiera italiana. E ogni giorno scende in campo in prima persona per difendere le ragioni di tutti quegli imprenditori che decidono di non delocalizzare e generare quindi benessere economico in Italia. Ed è proprio l’attaccamento al suo di “tricolore” che lo ha spinto a dichiarare la sua preferenza leghista e a schierarsi con tutti coloro che vogliono continuare, nonostante tutto, a fare impresa in Italia.

Come vede la situazione del nostro Paese?La crisi mondiale che ha coinvolto anche l’Italia ci farà uscire ancora più forti. Certo sono stati tempi duri ma ne abbiamo risentito molto meno rispetto ad altri Paesi europei, e questo perché non abbiamo mai smesso di investire nel settore manifatturiero. Purtroppo, e dico purtroppo perché come marchigiano mi fa male dire certe cose, l’Italia è divisa in Nord, Centro e Sud e se potessimo considerare solo il Centro-Nord avremmo un livello di benessere e competitività pari o superiore a quello di Francia e Germania. Con l’aggiunta del Sud invece scendiamo nella parte bassa della classifica. Mi spiace dover ammettere che con il Sud scivoliamo in fondo anche nella classifica della competizione, perché ci sarebbero aree svantaggiate che sarebbero perfette per produrre e creare nuovi posti di lavoro. Invece, ormai, tutte le aziende tendono a delocalizzare e frenare questa ruota che non riesce a riprendere a girare.

È molto arrabbiato con chi delocalizza…Certo! Troppo facile voler far parte della storia dell’imprenditoria italiana senza dare un contributo concreto. Le grandi e le medie imprese non fanno altro che esaltare le produzioni nel Far East senza rendersi conto che non è necessario andare così lontano per vedere belle aziende che funzionano. Molti, soprattutto durante questi anni di crisi, hanno pensato che delocalizzare fosse la miglior alternativa per ottenere risultati in tempi brevi e guadagnare di più. Ma nessuno dice che spesso chi ha fatto questo passo si è dovuto ricredere ed è tornato a investire sul territorio.

A proposito di territorio: lei ha sempre detto che è un mezzo fondamentale per chi investe nel made in Italy perché è quello che sui mercati fa la differenza. Che cosa significa?Vuol dire che, con la concretezza, il territorio è il punto di forza di tutto il mio lavoro e di gran parte del mio successo. Investire qui è essenziale per veder realizzati i miei sogni imprenditoriali. Ricreare questo gruppo, questa squadra da un’altra parte del mondo non sarebbe la stessa cosa, perché è vero che la differenza la fanno le persone, ma è anche vero che senza un buon territorio queste stesse persone non potrebbero fare molto. In questo mi sento un po’ cittadino del Nord, legato a gente che trova gratificazione nel proprio lavoro e lo fa con passione ed entusiasmo.

NeroGiardini in cifre

200 milioni di euro di fatturato

2 mila dipendenti

500 milioni di euro il fatturato previsto per il 2015

È proprio di poco tempo fa il suo “ingresso” nella Lega. Che cosa l’ha spinta a un passo di questo genere?Il cittadino marchigiano è molto simile, come mentalità, ai cittadini del Veneto e, in generale, di tutto il Nord. Possediamo le stesse qualità: in primo luogo quella di saperci rimboccare le maniche e di lavorare sodo. Ed è anche quello che distingue gli abitanti del Nord-Est, della Lombardia e del Piemonte, persone che, come noi, trovano molte soddisfazioni nel proprio lavoro svolto nella propria terra. Inoltre il linguaggio dei politici leghisti è lo stesso che usa la gente comune e gli imprenditori. In passato sono stato un fan di Berlusconi, anche se ho sempre avuto molta simpatia per Bossi. Poi, dopo le ultime elezioni provinciali, ho deciso di sostenere apertamente la Lega perché ho capito che le Marche e soprattutto gli imprenditori avevano bisogno di una nuova realtà partitica e che solo il Carroccio poteva rappresentarmi in maniera adeguata.

Ma lei, come imprenditore, cosa chiede alla politica?Di essere vicina a chi fa il mio mestiere, di essere concreta, e di fare una giusta politica per il Paese. Le chiedo di non smettere di interessarsi alla gente e ai suoi problemi dopo che è finita la campagna elettorale. Le chiedo di mantenere ciò che promette. Per questo penso che per salvaguardare il nostro territorio è importante candidare persone nate e cresciute nelle Marche, che conoscono e vivono da sempre le problematiche di una terra non proprio semplice. Non è un caso che l’ultima legge a tutela del made in Italy, che ritengo una misura fondamentale per il settore tessile, pellettiero e calzaturiero, sia stata avanzata da un leghista, il vicepresidente dei deputati del Carroccio Marco Reguzzoni, insieme naturalmente a Santo Versace, con il contributo dell’ex Pd Massimo Calearo. Questa legge tutela le aziende che decidono di non delocalizzare e che vogliono rimanere qui a produrre.

Quella legge è però bloccata a Bruxelles. Cosa ne pensa delle contestazioni che ha suscitato?Solamente in Europa non si sente l’esigenza di un’etichettatura che dia le adeguate garanzie per poter parlare di concorrenza leale. In tutto il resto del mondo questa necessità è ovvia. Oggi il brand “made in Italy” è il più imitato al mondo, e in particolare dai Paesi che dispongono di manodopera a bassissimo costo e producono brutte copie dei nostri prodotti danneggiando l’economia italiana. E non è un caso che proprio il “made in Italy” sia il terzo marchio più conosciuto al mondo dopo Coca-Cola e Visa. In pratica con questa legge può definirsi “fatto in Italia” solo quel prodotto che è stato lavorato prevalentemente nel territorio nazionale. È da tempo che io lavoro su un piano di tracciabilità del prodotto in modo da assicurare al consumatore finale che quello che indossa, che si tratti di calzature o abbigliamento, sia interamente realizzato in Italia. È un progetto interamente realizzato a nostre spese.

Qualcuno ha azzardato una sua candidatura a presidente di Confindustria. Ci ha mai pensato seriamente?Sono un uomo-prodotto e mi trovo bene in azienda, tra la mia gente. Mi sono ritrovato candidato senza neanche saperlo, ma mi sono subito tirato indietro perché il mio progetto resta sempre l’impresa che ho costruito con tanti sacrifici. Eppoi ho ancora molte idee da realizzare.

Ce le dice?Entro il 2015, vorrei arrivare a 500 milioni di fatturato. E per fare questo devo riuscire a consolidare la leadership del marchio NeroGiardini in tutt’Italia e poi espandermi all’estero. Inoltre vogliamo replicare il modello delle calzature anche nell’abbigliamento e nella realizzazione di capi che siano adatti a ogni momento della giornata. Anche per i bambini.

E che ambizioni ha rispetto al total look?Vorrei arrivare a 100 milioni di fatturato solo con l’offerta moda, che avrà il marchio Giardini Style. Per questo abbiamo appena inaugurato un nuovo stabilimento a Comunanza (Ap), per il quale prevediamo di fare mille assunzioni. Pensiamo di produrre 2 milioni di capi in cinque anni.

Un’ultima domanda: cosa apprezza, secondo lei, il consumatore dei suoi prodotti?Lo stile innanzitutto, perché un prodotto deve piacere fin dalla vetrina, e poi certamente la qualità garantita dal marchio e ultimo, ma non certo meno importante, la comodità, che è quella che fidelizza il consumatore.

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