Al design non si comanda

Malgrado tutto e a dispetto di tutto, il Salone del Mobile.Milano 2025 ha dimostrato come un comparto che vanta una forte componente qualitativa e innovativa possa surfare sulle congiunture e continuare a conquistare un elevato apprezzamento internazionale. Lezione che altri settori potrebbero (dovrebbero?) imparare. La cronaca dell’evento nelle parole della presidente Maria Porro, che definisce quella del 2025 un’edizione concreta e visionaria

Salone del Mobile Milano: intervista alla presidente Maria PorroClasse 1983, Maria Porro è presidente del Salone del Mobile.Milano dal luglio 2021 e di Assarredo dal 2020 (faceva già parte del consiglio direttivo dal 2017). È inoltre direttore marketing e comunicazione della Porro spa e membro del Consiglio generale di FederlegnoArredo dal 2019© Guido Stazzoni

Se l’incertezza impera in ogni comparto in virtù di varie cause concomitanti (dalle guerre ai costi delle materie prime fino all’incognita dei dazi), quello del design (e nella fattispecie dell’arredo) sembra avere un sussulto d’orgoglio, e malgrado tutto e a dispetto di tutto continua a credere nella forza propulsiva della sua creatività e nella sua capacità d’attrazione. È quel che dicono i numeri della 63esima edizione del Salone del Mobile, e lo dimostrano la rutilante varietà di creazioni che sono state presentate dagli espositori nonché la variegata e crescente provenienza internazionale dei suoi visitatori. Infatti, inaugurato in un contesto di forte turbolenza dei mercati, il Salone 2025 appena concluso ha comunque raggiunto quota 302.548 presenze, un dato in linea con la Biennale Euroluce del 2023, a conferma del ruolo chiave della manifestazione, che quest’anno ha acceso i riflettori internazionali su 2.103 espositori da 37 Paesi.A dettare l’agenda verso il 2026, sarà di incrementare ulteriormente la percentuale di operatori esteri, nel 2025 la più alta di sempre, dato quanto mai significativo per un’industria su cui pende la spada di Damocle dell’export “daziato”.
Significativo, anche il successo del Programma Culturale capace di generare nuove visioni di futuro, andando oltre le sfide. Sfide che non mancano, non solo per il contesto economico, a partire dalle distorsioni nell’ambito dell’ospitalità e dei servizi, che potrebbero mettere a rischio un evento di capitale importanza per un settore strategico per il Paese. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Maria Porro, presidente del Salone del Mobile.Milano.

Facciamo un bilancio: quali aggettivi sceglierebbe per descrivere il Salone del 2025?
Penso che sia stata un’edizione molto concreta e allo stesso tempo visionaria. So che questi due aggettivi sembrano andare in direzioni opposte, ma il nostro sforzo è stato proprio quello di unire due aspetti apparentemente così lontani. Da un lato, abbiamo lavorato molto sulla qualità di operatori e visitatori, ma anche sui flussi di entrata in fiera e poi all’interno dei padiglioni, sulla logistica dei trasporti per raggiungere Rho, sulla promozione all’estero. Quindi tutti aspetti molto concreti. Ed è un impegno che ci ha ripagato: durante la manifestazione si è lavorato molto e bene. Dall’altro lato, è stata anche un’edizione visionaria, perché in parallelo abbiamo spinto sulla diffusione della cultura del progetto attraverso molteplici iniziative. Penso, per esempio, al Forum tenutosi nei padiglioni di Euroluce, al lavoro di Paolo Sorrentino pensato per aprire una discussione critica sugli spazi ospedalieri, quindi sulla dimensione della malattia e dell’attesa e del ruolo che il design può avere in un simile contesto. O ancora la proposta di Pierre-Yves Rochon che ha vinto la convinzione che il mobile classico debba essere sostituito dal mobile contemporaneo. E non sono mancati due grandi progetti in città, in collaborazione con due tra le più prestigiose istituzioni milanesi. Il primo è l’installazione Library of light di Es Devlin che ha illuminato il Cortile d’Onore della Pinacoteca di Brera con un omaggio al valore della conoscenza, “ospitando” 3 mila libri che verranno ora donati al Sistema Bibliotecario Milanese. Mentre il secondo è una riflessione sul ruolo del design nella cultura attraverso il progetto di Robert Wilson, Mother, che ha visto protagonista la Pietà Rondanini di Michelangelo al Castello Sforzesco tra luce e suono.

C’è un aspetto che ha caratterizzato questa edizione rispetto a quelle precedenti?
Se ripenso agli ultimi anni, si sono susseguiti una pandemia con le sue conseguenze, lo scoppio di un conflitto internazionale e l’annuncio dell’introduzione dei dazi da parte degli Stati Uniti. E tutto sempre a ridosso dell’apertura del Salone! Anche se è un termine del quale si è spesso abusato, ci tengo a dire che ho rilevato una resilienza incredibile. E più che una novità, è stata una importante conferma. Un aspetto nuovo, invece, è stato il +32% di studenti che ha partecipato al Salone quest’anno. È molto positivo che questi ragazzi abbiano scelto di pagare un biglietto, per quanto a prezzo calmierato, per immergersi non solo nel mondo della cultura di progetto, ma anche della cultura industriale. E non si trattava solo di studenti italiani, ma internazionali, perché abbiamo collaborato con università di tutto il mondo.

Salone-Satellite-Ludovica-Mangini

Maria Porro con Paolo Sorrentino, che per l’edizione 2025 del Salone del Mobile ha firmato il progetto-installazione La dolce attesa (foto © Giulia Copercini)

A proposito di partecipazioni internazionali in crescita, un altro segnale positivo di questa edizione è la percentuale degli operatori esteri, che ha toccato quota 68%. Il Salone del Mobile si conferma quindi un appuntamento sempre più cosmopolita. Questo dato è il risultato di quali scelte?
È frutto di anni di lavoro, il risultato di una storia che lo ha visto trasformarsi sempre più in un punto di riferimento a livello globale. Se il suo cuore pulsante sono le aziende italiane, che costituiscono il 62% degli espositori, vanta anche un 38% di imprese estere, prevalentemente europee: raccoglie cioè la punta di diamante della produzione mondiale dell’arredo. Ed è un luogo dove le aziende presentano le loro novità di prodotto, ossia un luogo di innovazione, dove scoprire in che direzione va l’intero settore. Inoltre, questa cifra innovativa molto concreta legata alle novità di prodotto si inserisce in una modalità di presentazione intrigante, perché tutto parte da un padiglione vuoto, un foglio bianco tutto da riempire. È questo che attrae gli operatori internazionali, perché se quello che si vede in uno showroom milanese è generalmente un modello replicabile altrove, quanto viene proposto a Rho non si ritrova da nessun’altra parte. Per riempire quello spazio le aziende fanno uno sforzo progettuale, il modo inaspettato in cui si raccontano è ciò che richiama persone da tutto il mondo. E noi abbiamo lavorato per offrire in aggiunta contenuti forti, che arricchissero ancora di più l’esperienza. Posso dire che l’idea abbia funzionato visto, per esempio, il successo riscosso dal Forum internazionale della luce tra lighting designer, architetti e operatori, ossia coloro che più interessano alle imprese.

Si sente dire sempre più spesso che il Salone del Mobile non è più solo del mobile visto l’interesse internazionale che attrae anche prodotti di altri comparti. Lo vede più come un aspetto positivo o come una deriva rischiosa?
È un fenomeno comprensibile, perché il Salone del Mobile porta a Milano un pubblico altamente profilato di aziende, professionisti e giornalisti e, quindi, prezioso anche per gli altri comparti. Questo fenomeno che interessa i grandi brand extra settore non va invece confuso con quello più “spontaneo” degli eventi off, una sorta di grande festa pensata per un pubblico più generalista. Il rischio intrinseco è che la quantità finisca per vincere sulla qualità, che questa gemmazione spontanea di eventi interessanti e un po’ fuori dal coro venga cannibalizzata dagli eventi brandizzati di marketing dell’extra settore e che il contraltare off finisca per distogliere dal core della manifestazione. Ossia da ciò che davvero attrae quel visitatore internazionale altamente profilato di cui parlavamo prima.

Quali sono gli obiettivi più importanti raggiunti nelle 63 edizioni? Quali, invece, gli aspetti “da migliorare” in vista della 64esima del 2026?
Partiamo dal presupposto che si possa sempre migliorare. Peraltro, come dicevamo prima, negli ultimi anni siamo stati messi ripetutamente alla prova e spero fermamente che non accada di nuovo il prossimo! In particolare, penso che si possa lavorare di più e meglio sulla comunicazione e sull’attrazione, appunto, di visitatori sempre più profilati, incrementando quelli provenienti dalle geografie più interessanti. Dopodiché ci sono aspetti fuori dal nostro controllo che richiederebbero una riflessione da parte di tutti. Mi riferisco, per esempio, alla dimensione dell’ospitalità che purtroppo sta rendendo inaccessibile la partecipazione proprio ad alcuni di quegli utenti che noi desideriamo coinvolgere, tra i quali non si annovera solo un target alto spendente, ma anche professionisti per i quali venire a Milano in questo periodo sta diventando insostenibile. Purtroppo, da alcune aree geografiche rilevanti abbiamo registrato un calo di presenze o una riduzione dei tempi di permanenza legati proprio ai costi dell’hospitality. Noi del Salone purtroppo non abbiamo potere su questo aspetto, perciò facciamo appello agli stakeholder che se ne occupano affinché tutti nostri sforzi e quelli delle aziende che investono non vengano vanificati.

Il successo della manifestazione riflette la buona salute del settore dell’arredo e del design del nostro Paese? Che futuro si aspetta?
Sono convinta che la manifattura italiana sia attrattiva sia per il tipo di prodotti che propone, per la sua capacità di innovazione, ma anche perché è garante di processi produttivi rispettosi dell’ambiente, delle persone coinvolte e delle materie prima utilizzate. È un settore che produce principalmente in Italia e conta quasi 300 mila addetti. Per questo, quando viene messo a rischio da turbolenze internazionali come quelle che stiamo vivendo, governo e istituzioni dovrebbero fare tutto quanto in loro potere per tutelarne la capacità manifatturiera e competitività, quanto meno affinché le nostre imprese non siano svantaggiate rispetto ai competitor europei per i costi dell’energia, le politiche fiscali e via dicendo. Perché la qualità e l’innovazione che contraddistinguono il nostro sistema arredo nascono proprio dal fatto che produciamo in Italia, dove l’imprenditore è a contatto diretto con la produzione e la rete di fornitori.

Salone-Satellite-Ludovica-Mangini

Foto © Ludovica Mangini

Parlando di turbolenze internazionali non si può non pensare alle discussioni globali innescate dai dazi Usa: quali sono i rischi oggettivi?
Gli Stati Uniti sono il secondo mercato per l’export italiano dell’arredo, il primo fuori dall’Europa, per un valore di 1,7 miliardi (dato 2024), dove il contract e i grandi progetti rappresentano una linea di business rilevante. Molte città statunitensi ospitano interi quartieri dedicati all’arredo italiano, dove le aziende tricolori hanno investito anche con contratti di affitto di lunga durata. È evidente che in questo contesto una tassazione del 20% genera grande preoccupazione. Per questo, ribadisco, le istituzioni dovrebbero fare tutto il possibile per sostenere le imprese che esportano negli Stati Uniti, così come quelle che operano per aprire nuovi mercati. In questo senso, è stato un aspetto positivo che in questo momento di incertezza ci sia stato il Salone del Mobile, che ha attirato l’attenzione di operatori da ben 151 Paesi, dando così la possibilità di raggiungere anche altre geografie. Ma questo è solo l’inizio, penetrare nuovi mercati è un lavoro lungo che richiede sforzi importanti.

In base alla provenienza degli operatori, si può tracciare una mappa di quali sono le aree che nutrono maggior interesse per il design made in Italy, in cui le imprese italiane potrebbero aprirsi ulteriori varchi?
Guardando all’Europa citerei la Spagna, che nel 2024 ha fatto registrare un +4,1% in uno scenario Ue contraddistinto dal segno meno, e quest’anno ha incrementato la presenza di operatori raggiungendo quota 5.292. Aggiungerei anche la Polonia, dove gli acquisti di mobili italiani sono cresciuti del 9,1% e che ha portato 5.161 operatori, posizionandosi quarta. Guardando invece oltre i confini del nostro continente, il Giappone è passato dal 20esimo al 13esimo posto con i suoi 2.610 operatori, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno raddoppiato le presenze, che sono state 1.723. Sono quattro realtà molto differenti, ma tutte molto interessanti per il nostro comparto. Inoltre, per rimanere in tema di dazi, la speranza è che si riesca finalmente a ottenere un accordo europeo per eliminare i dazi sull’importazione di arredi in Brasile, che ci aprirebbe le porte di un enorme mercato.

Per il design, basato in gran parte sulla creatività e il know how artigianale, l’AI è più un’opportunità o un’insidia?
Se usata bene, l’intelligenza artificiale è uno strumento che può offrire grande supporto al nostro settore. In mancanza di regole adeguate, però, può finire per metterlo a rischio, amplificando le innegabili difficoltà che il nostro comparto ha già nel difendere la proprietà intellettuale. Peraltro, l’AI richiede investimenti non indifferenti e il nostro è un settore composto in buona parte da pmi, quindi anche su questo fronte sarebbe importante che le aziende trovassero sostegno da parte delle istituzioni per evitare che i competitor esteri, europei e non, ci rubino ciò che sappiamo fare bene rielaborandolo con l’intelligenza artificiale, riuscendo così a farci concorrenza sleale.

Come si diventa prima donna presidente di Assarredo e prima donna presidente del Salone del Mobile, pur essendo una giovane madre ricoprendo il ruolo di direttrice marketing e comunicazione dell’azienda di famiglia?
Quali sono le doti essenziali per poter svolgere questi ruoli? Le mie doti, in realtà, sono le persone che mi circondano e che lavorano con me ogni giorno. Il nostro è un lavoro di squadra. Prima di occuparmi di design, ho studiato Scenografia all’Accademia delle Belle Arti e lavorato per dieci anni nel mondo del teatro, dell’arte e dei grandi eventi. Lì ho imparato che tutti sono importanti e che a permetterti di aprire il sipario – che si tratti della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi o del piccolo teatro di un ospedale pediatrico – è il contributo di ciascuno, davanti o dietro le quinte. Ci credo molto e cerco di lavorare il più possibile per favorire la collaborazione e la condivisone delle competenze per un obiettivo comune.

In questo numero di Business People ci occupiamo di DE&I e di come, sempre in conseguenza della politica Usa, le politiche di inclusione stiano subendo un momento di ripensamento, lei come pensa dovrebbe agire l’Europa?
L’Europa non può e non deve fare un passo indietro. Questa non è una debolezza, ma un punto di forza e rinunciarci vorrebbe dire mettere in dubbio secoli di storia, di cultura e di diritti fondamentali.

Lo stesso vale anche per la sostenibilità?
Assolutamente sì! L’Europa deve destarsi su questo fronte altrimenti, invece di valorizzare ciò che ha, rischia di ingabbiarlo in procedure che mettono in crisi le aziende. Ne è un esempio il nuovo regolamento Eudr (contro la deforestazione e il degrado forestale, ndr). Non possiamo trasformare un nostro vantaggio competitivo in un limite. Purtroppo, alcune scelte compiute negli anni scorsi fanno correre questo rischio all’industria, perciò è fondamentale non arretrare nemmeno di un millimetro in tema di inclusione e di sostenibilità ambientale e sociale. Anzi, le istituzioni europee hanno più che mai il ruolo di valorizzare questa incredibile leva competitiva. Perché, per esempio, i clienti cinesi acquistano i nostri mobili non solo perché sono belli, ma anche perché sono prodotti utilizzando materiali di qualità, perché hanno una maggiore durata nel tempo, perché offrono garanzie in termini di sostenibilità, sostituibilità e riparabilità. E hanno tutte queste qualità perché vengono prodotti nel nostro Paese, in fabbriche dove le persone vengono pagate il giusto e lavorano in luoghi appositamente studiati.

L’azienda della sua famiglia, la Porro Spa, compie quest’anno il suo primo secolo di vita, qual è la sua identità distintiva che spera sopravviva anche tra un secolo?
Direi tutte le qualità che ho appena attribuito alle aziende italiane: è da 25 anni che lavora sfruttando la luce naturale grazie a come è stata progettata la fabbrica, che produce il 70% dell’energia necessaria con un impianto fotovoltaico, che sfrutta gli scarti di produzione per il riscaldamento e che è passata completamente alla produzione lean con conseguente riduzione degli sprechi. Porro ha fatto della qualità il proprio mantra, della ricerca e sviluppo il proprio ufficio più importante. Tutto questo grazie alle persone che da cento anni si avvicendano al suo interno. Noi non celebriamo tanto l’anniversario, ma cerchiamo sempre di guardare avanti e proporre prodotti che abbiano un valore indipendentemente dalla geografia a cui ci rivolgiamo, ossia che siano interessanti per le case di tutto il mondo.

Maria Porro – Strettamente personale

Salone-Satellite-Ludovica-Mangini

Foto © Guido Stazzoni

Cosa le piace fare nel tempo libero?
Venendo dal mondo dell’opera, del balletto, della ricerca teatrale, perciò nel tempo libero frequento ancora questi luoghi e li faccio frequentare ai miei figli. L’arte e il teatro sono per me strumenti tramite i quali scoprire il mondo e i luoghi in cui viaggio.

E immagino che per lavoro lei viaggi molto…
È vero. Ogni volta mi ritaglio del tempo di mattina presto per andare a vedere un museo o un sito archeologico, oppure la sera cerco di visitare un quartiere di artigiani o piccole realtà. Mi piace conoscere le geografie attraverso la cultura che esprimono.

C’è una visita che le è rimasta nel cuore?
Quella alla Design Gallery a Nuova Delhi. Questa scuola di design, fondata all’interno di uno slum da uno dei più importanti studi di architettura indiani, è allo stesso tempo anche un luogo di inclusione e di creatività legata all’industria. Per me è stata una bellissima scoperta.


Intervista pubblicata sul numero di Business People di maggio 2025. Scarica il numero o abbonati qui

Resta sempre aggiornato con il nuovo canale Whatsapp di Business People
© Riproduzione riservata