L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando ogni settore. Quello del recruitment e dell’head hunting non fa eccezione. Tuttavia, anche l’organico aziendale deve adattarsi, soprattutto i manager, che devono imparare a gestire un team ibrido, dove alle competenze umane si aggiungono quelle dell’AI. Business People ne ha parlato con Alessandro Bossi, Equity Partner & Founder di W Executive, società specializzata nella selezione di figure manageriali, per capire come stanno integrando l’intelligenza artificiale nei loro processi, quali competenze diventeranno centrali nel nuovo mercato del lavoro e come anche i manager dovranno adattare il proprio stile di leadership per restare competitivi.
L’AI ormai è un fenomeno strutturato e pervasivo, come sta trasformando il settore del recruitment e della selezione del personale?
Il mondo HR sta cambiando rapidamente e l’AI è diventata uno strumento indispensabile per chi vuole restare competitivo. Non è più una tecnologia complessa per W Executive pochi, ma uno strumento quotidiano per ognuno di noi. Oggi le aziende si trovano a dover gestire una mole di candidature sempre più vasta, spesso in tempi molto ristretti. L’intelligenza artificiale consente di automatizzare l’analisi preliminare dei profili, segmentare i candidati in base a competenze specifiche e prevedere la compatibilità con la cultura aziendale. Grazie agli algoritmi avanzati, l’AI può analizzare grandi volumi di dati, permettendo all’head hunter di focalizzarsi su attività come il cultural fit, la motivazione, i potenziali percorsi di carriera e attività consulenziali a supporto del processo. Non solo velocità, ma anche qualità: la possibilità di ridurre bias inconsci e aumentare l’accuratezza delle selezioni è uno dei grandi vantaggi. Tuttavia, la vera sfida sarà ripensare il proprio ruolo in un contesto dove l’intelligenza artificiale gestirà sempre più attività operative. Chi lo farà prima avrà un vantaggio competitivo significativo. L’AI va vista come un nuovo collega. Un cambio di mentalità prima ancora che tecnologico. Poi, ed è importante sottolinearlo, il “tocco umano” nella nostra professione è fondamentale: l’AI non può avere contezza di sfumature importantissime di ogni selezione, di ogni contesto e di ogni persona. Quello lo può percepire solo l’head hunter, con la sua esperienza e le sue competenze.
Come società di head hunting, in che modo utilizzate la utilizzate?
W Executive adotta una serie di strumenti AI per ottimizzare la selezione: Applicant Tracking System per classificare cv, chatbot per interagire con i candidati, algoritmi predittivi per valutare idoneità, video-interviste automatizzate e sistemi di raccomandazione basati sul cultural fit. Questa tecnologia permette ai recruiter di concentrarsi sulle fasi più delicate e strategiche del processo di selezione. Abbiamo sempre guardato con interesse e investito sulla tecnologia e ora guardiamo con interesse al mondo AI che ci sta permettendo di lavorare con i Big Data, di automatizzare le attività ripetitive e ci aiuta a capire i nuovi insight sui trend del mercato del lavoro. Tutti questi strumenti sono stati integrati mantenendo una forte attenzione all’esperienza del candidato, alla personalizzazione del percorso di selezione e al valore della relazione umana. La componente umana è cruciale per creare fiducia e coinvolgimento nel processo di selezione. Come già detto, l’AI è uno strumento straordinario, ma non può e non potrà mai sostituire intuito, empatia ed esperienza.

L’ingresso degli uffici in Corso Venezia a Milano di W Executive, di cui Bossi è Equity Partner & Founder
In che modo garantite un uso etico dell’AI, evitando bias e discriminazioni?
L’AI viene spesso addestrata su dati storici, ma se questi riflettono discriminazioni passate, il modello rischia di perpetuarle. Per questo, W Executive adotta un approccio responsabile: trasparenza verso candidati e clienti, mantenimento del controllo umano nelle decisioni finali, monitoraggio dei bias tramite strumenti dedicati e tutela della privacy dei dati. L’etica non è solo un vincolo normativo, ma un valore guida. L’AI supporta il processo decisionale, ma la valutazione finale resta sempre in mano agli esperti di selezione. Inoltre, viene svolta una continua attività di audit sui dati in ingresso e sulle decisioni algoritmiche, per garantire coerenza, correttezza e inclusività. La formazione dei team interni sull’etica dell’AI è diventata parte integrante del processo, perché la consapevolezza umana resta centrale nella supervisione tecnologica.
Quali competenze diventeranno fondamentali nel mercato del lavoro con l’avvento di questa nuova tecnologia?
Quello che cambia sono le priorità: diventano fondamentali le competenze digitali e la data literacy, per saper leggere e interpretare dati. Ma anche soft skill come empatia, leadership, pensiero critico e problem solving. Chi saprà integrare efficacemente l’AI nel proprio lavoro avrà un vantaggio competitivo. I manager devono diventare più data driven, agili e capaci di valorizzare il fattore umano. La capacità di interpretare le informazioni generate dai sistemi intelligenza artificiale e di trasformarle in strategie concrete sarà una delle skill più richieste. Il futuro del lavoro sarà segnato dall’integrazione tra AI e competenze umane, e le aziende che sapranno cogliere questa sfida avranno un vantaggio duraturo. La trasformazione sarà continua e richiederà un investimento costante nella formazione, nella collaborazione interfunzionale e nell’aggiornamento delle competenze sia tecniche che comportamentali.
Parliamo dei manager: come devono cambiare il loro modus operandi?
Siamo nel mezzo di una seconda rivoluzione industriale. I manager dovranno gestire team ibridi (umani + AI), favorendo una cultura di apprendimento continuo e adattamento, con attenzione all’etica e alla cyber security. La figura del leader si evolve: non solo guida ma facilitatore, capace di orchestrare risorse umane e digitali in armonia. La leadership di domani dovrà trovare un equilibrio tra competenze consolidate e adattabilità, essere ispirazionale e coinvolgente. Solo il 30% dei manager oggi sa usare l’AI generativa in modo efficace – e questo lo dice una ricerca di Harvard Business Review. L’intelligenza artificiale deve essere vista non solo come uno strumento di automazione, ma come un co-pensatore, uno strumento che aumenta – non sostituisce – il pensiero strategico. W Executive ha avviato investimenti su strumenti di assessment come il W Leadership Index, il W Digital Index e altri basati su neuroscienze per accompagnare i manager nel percorso di upskilling e reskilling con percorsi personalizzati.
Immagino dovranno muoversi anche le aziende. Che consiglio darebbe agli imprenditori?
Per affrontare questa nuova rivoluzione industriale le aziende devono investire su formazione, upskilling e reskilling dei manager, tecnologia e partnership con fornitori AI. È fondamentale non solo introdurre strumenti digitali, ma integrarli in modo strategico nella visione aziendale. L’intelligenza artificiale può accelerare il raggiungimento degli obiettivi, ma richiede una governance chiara e orientata al valore. Le imprese che sapranno muoversi con tempestività, anticipando trend e dotandosi delle giuste competenze, saranno protagoniste nel nuovo scenario competitivo.
In tutto questo, come si sta muovendo l’Europa?
L’Europa sta inseguendo il treno dell’economia digitale perché è debole in tutto ciò che serve per sviluppare l’AI: produzione di microchip, costo dell’energia e carenza di competenze. A questo si aggiunge una certa lentezza burocratica e la difficoltà a creare ecosistemi di innovazione realmente competitivi con Usa e Asia. Il rischio è diventare semplici utenti di tecnologie sviluppate altrove. Lo scenario non è positivo, ma penso che siamo ancora in tempo per tornare protagonisti a patto di colmare rapidamente le lacune industriali e tecnologiche fondamentali, troppo a lungo ignorate. Serve un piano d’investimento europeo deciso, strutturato e capace di valorizzare le eccellenze locali, evitando la dispersione delle risorse.