Alla corte del Prosecco

Tra Doc e Docg queste bollicine italiane riempiono circa 600 milioni di bottiglie l’anno e pesano per il 65% sulle esportazioni di spumante tricolore. Ma come sta reagendo il settore alla pandemia? Ce lo spiega il presidente del Consorzio del Prosecco Doc, Stefano Zanette

Leggero, conviviale e sbarazzino, un calice di Prosecco nasconde in realtà un potenziale dirompente. Con 20 mila ettari vitati, su nove Province a cavallo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, e circa 600 milioni di bottiglie prodotte ogni anno (complessivamente tra la Doc e la Docg), si intuisce l’impatto economico del biondo nettare sull’economia di quelle Regioni. Produzione e volumi di vendite hanno conosciuto negli ultimi anni solo crescite importanti, ispirando una sorta di movimento che ha interessato tutta la Penisola: la spumantizzazione in autoclave è un modo relativamente economico per produrre una bollicina di bella beva, molto versatile, che incontri i gusti di una vastissima platea in Italia e all’estero. Ismea ha calcolato che a fine 2019 solo l’export dello spumante italiano valeva circa 3,3 miliardi di euro, di cui il Prosecco pesa per il 65%. E con il nuovo Prosecco Doc rosé, di cui è stata recentemente autorizzata l’esportazione, questo valore è destinato a crescere. Anche il Prosecco tuttavia, nei primi mesi dell’anno ha dovuto affrontare le difficoltà generate dalla pandemia e dalle misure di contenimento, e, dopo una ripresa che ha superato le aspettative si ritrova a ridosso delle festività natalizie a fronteggiare un nuovo lockdown. In un periodo che normalmente fa registrare il boom delle vendite di spumanti, l’assenza di cenoni e brindisi augurali potrebbe farsi sentire. Come reagisce il settore a queste misure? Lo abbiamo chiesto a Stefano Zanette, presidente del Consorzio del Prosecco Doc.

Presidente, cosa si prevede per quest’anno in termini di produzione e distribuzione? Non è facile in questo momento fare previsioni, usciamo da un 2020 che, nonostante l’emergenza Covid, ha dato dei risultati più che soddisfacenti; a fine anno speriamo ancora in una crescita rispetto all’anno scorso. Relativamente a quello che accade in tutte le altre denominazioni d’origine in Italia, il prosecco Doc ha avuto conseguenze ridotte, grazie soprattutto alla presenza massiccia nella Gdo, che in parte ha compensato le perdite registrate nel comparto Ho.Re.Ca.. Voglio però manifestare solidarietà a quelle aziende della denominazione che, invece, avendo una produzione prevalentemente rivolta ai ristoranti e alle enoteche, hanno risentito pesantemente delle chiusure dei locali.

Come pensate di gestire le quantità sul mercato, viste le incertezze sul prossimo futuro? Già all’inizio dell’anno abbiamo adottato dei sistemi di gestione mirati a mantenere in equilibrio la domanda e l’offerta, e abbiamo ottenuto risultati positivi. Non abbiamo toccato le rese (180 q.li/ha, come da disciplinare), ma siamo intervenuti nei processi di stoccaggio. Abbiamo accantonato preventivamente una parte della produzione, circa 150-160 quintali, che è stata vendemmiata e ora sta nelle cantine come vino “atto a diventare prosecco Doc”, se ci saranno le condizioni. Prima della nuova recrudescenza del Covid immaginavamo di poter destoccare tutti i 150 quintali di prodotto, ora è tutto da vedere. Per equilibrare il mercato abbiamo deciso di mettere la vendemmia 2020 a disposizione degli imbottigliatori non prima del 14 dicembre, con la vendita prevista dal 1° gennaio. La vendemmia 2020 quindi verrà commercializzata nel 2021 e dal prossimo anno questa prassi diventerà una regola, con apposita modifica del disciplinare. In questo modo il mercato rimane più stabile. Quando si creano delle sovrapposizioni tra annate, quella precedente ne risente e registra una flessione delle vendite, cosa che vogliamo evitare.

-LEGGI ANCHE: Prosecco Doc: un 2020 in crescita per le bollicine italiane

Asti spumante sta pensando a una bollicina secca, il Brachetto d’Acqui sta lanciando il suo spumante brut, anche l’Emilia Romagna si è proposta con Bolè bianco e rosé: come reagisce il consorzio a un’invasione di campo di bollicine charmat che rischia di confondere mercato e consumatori? È un problema che stiamo affrontando. Quando con il primo lockdown è stata tolta la possibilità dell’aperitivo, si sarebbero dovuti registrare cali di vendite di Prosecco, usato per gli spritz, che invece non ci sono stati. Segno inequivocabile che i bar nello spritz ci mettono bollicine di altro tipo. Prosecco oggi è un brand, un modo per identificare le bollicine, diretta conseguenza della popolarità del prodotto. Dobbiamo lavorare sulla riconoscibilità del prosecco a Denominazione d’Origine. A livello di posizionamento questi prodotti alternativi il più delle volte vanno a incidere sull’offerta del Prosecco e non va bene; il Prosecco segue regole precise da disciplinare, è controllato dall’inizio alla fine del processo. Diciamo che in questo settore di spazio ce n’è per tutti, ma non vogliamo venir fagocitati da altre aziende produttrici che sviliscono il prodotto DO con vini di qualità inferiore.

Recentemente Qualivita e Federdoc hanno lanciato una campagna di educazione sui principali prodotti a DO italiani. Come pensa il consorzio di intervenire sulla percezione del prosecco Doc sul mercato? È da un po’ che ci pensiamo, eravamo pronti per partire con una campagna sui vari media, social e televisione, per la quale abbiamo investito 3,5 milioni di euro, proprio per spiegare la differenza di un prosecco a Denominazione d’Origine rispetto a uno spumante che non ha niente a che vedere con il prosecco. Poi è arrivato il Covid e ci siamo fermati. Ma partirà, perché serve a noi produttori e serve al consumatore, le DO e le Igt hanno valore a livello europeo prima di tutto perché tutelano il consumatore. Non comunichiamo abbastanza che dietro alle DO ci sono i controlli. Gli scandali che possono uscire ben vengano, perché dimostrano che i controlli funzionano.

La novità dell’anno, il Prosecco rosé, è un altro modo per ribadire l’identità territoriale del Prosecco Doc nel mercato delle bollicine charmat? Io credo in questo progetto, non sono d’accordo con i puristi che si scandalizzano. Oscar Wilde diceva che le tradizioni sono innovazioni ben riuscite, e anche il Prosecco giallo paglierino, che beviamo quotidianamente, non era così 30 anni fa, si è evoluto, i nostri vecchi se lo ricordano. Il Pinot nero è già nell’uvaggio del Prosecco, vinificato in bianco anziché in rosso. Il fatto di inserire questa tipologia “nuova” va verso la richiesta del mercato, e non mi sembra ci sia da scandalizzarsi, il vino è fatto per essere bevuto. A chi mi accusa di aver fatto un’operazione commerciale, rispondo certamente sì, perché questa è la missione del consorzio, condurre la denominazione con vantaggi per tutta la filiera. L’importante è che sia un prodotto di qualità, bello da vedere, mantenga le caratteristiche di bevibilità tipiche del Prosecco, con in più la struttura della bacca nera del Pinot che aumenta le possibilità di abbinamento con il cibo. Volevamo uscire con un prodotto che fosse di qualità, fine e riconoscibile. Poi, se verrà considerato un precedente per altre innovazioni, ben venga.

Il posizionamento del Prosecco rosé seguirà quello del fratello maggiore? Oggi di Prosecco rosé sono uscite circa 12 milioni di bottiglie, dalla vendemmia 2019, una possibilità che era stata data ai produttori per avere po’ di prodotto pronto per il riconoscimento della DO. Adesso stanno imbottigliando e riteniamo di raggiungere circa 15-20 milioni di bottiglie entro fine anno. Almeno queste erano le previsioni prima delle nuove restrizioni che penalizzano l’Ho.Re.Ca., vedremo cosa succederà. Il rosé seguirà gli stessi canali di sbocco del Prosecco bianco, ma ha dei costi di produzione superiori, quindi il prezzo al consumatore finale sarà leggermente più alto. Noi come consorzio abbiamo dato delle indicazioni di massima, ma sono le aziende a decidere in autonomia. Prevediamo comunque un piccolo sovrapprezzo rispetto alla fascia di prezzo del bianco, calcolata tra i 4-5 euro a scaffale nella Gdo.

Quanto il Prosecco rosé è un prodotto pensato per l’export e quanto per il consumo interno? Il Prosecco ha un export del 78-80%, e per il rosé c’è un interesse speciale. Prevediamo un incremento rispetto al Prosecco bianco, con uscite dell’80-85%, e un 15-20% di consumo interno. Puntiamo soprattutto al mercato degli Stati Uniti, poi Inghilterra, Germania e al quarto posto la Francia. Vedremo che effetto avranno le chiusure decise in questi giorni.

Articolo pubblicato su Business People, dicembre 2020

© Riproduzione riservata