Poteri fottuti

Altro che poteri forti. Secondo Roberto D’Agostino, fondatore e anima del sito d’informazione Dagospia, i politici, i manager e i finanzieri italiani altro non sono che pedine mosse da grandi burattinai internazionali. Parola di chi, da sette anni a questa parte, conosce e rende noti i segreti della finanza e dell’economia italiana

Chi l’avrebbe mai detto che – con un passato da banca­rio e al tempo stesso da discjockey presso i più importan­ti locali romani, oltre che di critico televisivo nel varietà Quelli della notte – Roberto D’Agostino sarebbe diventato uno dei giornalisti più autorevoli della finanza e dell’eco­nomia italiana? Eppure Dagospia, il sito di informazione che D’Agostino ha lanciato sette anni fa, ogni giorno sve­la giochi di potere, manda all’aria operazioni miliardarie e deride i cosiddetti “potenti”. Sì, perché, che si tratti di po­litici, finanziarie, lobby internazionali, vallette, cantanti o first lady l’importante è non perdere mai il gusto per il gio­co e l’ironia.

Dagospia nasce nel maggio del 2000. Inizialmente foca­lizzato sul costume e sullo spettacolo è oggi una fonte di informazione, probabilmente la principale, per il mon­do economico e finanziario. Quando è avvenuta questa svolta e perché?

Il primo a essere sorpreso è il sottoscritto. Mai avrei pen­sato di finire con in mano Il Sole 24 Ore o Milano Finanza. Fino a un certo punto ho sempre viaggiato sul binario del costume e della società, argomenti abbastanza superficiali che però erano più nelle mie corde. Anche nella trasmis­sione televisiva Quelli della notte scimmiottavo un critico che esprimeva giudizi sulla base dell’abbigliamento delle persone. Ma ero io il primo a prendersi gioco di sé. Erano gli anni ’80. Qualche anno dopo avevo una rubrica fissa su L’Espresso. Si chiamava Spia e vi raccontavo la cronaca, le cene, i pranzi della Roma goduriona. Ma sono scivolato su una buccia di banana e così nel 2000 la rubrica è stata chiusa. Allora, su suggerimento di Barbara Palombelli, ho deciso di aprire un sito. Ero il secondo giornalista – dopo la Palombelli – che metteva il suo sito in rete e sono andato a presentarlo, tanto per far capire il livello, a Domenica In. Dagospia è partito il 23 maggio per raccontare la vita ro­mana. Ma già dopo una settimana sono stato usato per lan­ciare una notizia clamorosa: l’Enel nella persona di Franco Tatò voleva creare una sinergia tra la telefonia – Enel allora controllava Wind – e la televisione. Voleva acquisire Tele­montecarlo da Cecchi Gori. In questa operazione rientra­va anche Sonia Raule, moglie di Franco Tatò, che avreb­be diretto Telemontecarlo. La mia anticipazione mandò in fumo l’affare. Già allora ero intervenuto su un fatto econo­mico e ne avevo cambiato il corso.

Quindi in realtà non c’è stata una svolta, ma il sito ha avuto questa natura da subito?

Poi è proseguita. Nel 2000 esplose il caso Maranghi: Cesa­re Geronzi e Alessandro Profumo volevano far fuori Vin­cenzo Maranghi da Mediobanca. Ma Maranghi era amico di Francesco Cossiga. Così Cossiga mi contattò per dettar­mi ogni giorno un articolo in difesa di Maranghi. Il sito ac­quistò una nuova dimensione, seguendo una direzione ina­spettata, verso la quale mi aveva condotto chi mi forniva le notizie. In effetti, il fatto che l’economia e la finanza ab­biano acquistato questo rilievo è coerente con il mezzo In­ternet. Nel 2000, infatti, il target del web era medio-alto. Di conseguenza era logico che interessasse più la questione Mediobanca che gli amori di Ramazzotti.

Come è cambiata dal 2000 a oggi l’informazione econo­mica e finanziaria in generale?

Non c’era prima e non c’è adesso. In un Paese serio Dago­spia non esisterebbe. I giornali purtroppo vivono in una condizione di conflitto d’interesse. Non solo in Italia ma in ogni parte del mondo. Basti pensare che Rupert Murdo­ch ha recentemente acquistato il Wall Street Journal. Dietro i giornali ci sono cordate di imprenditori che nella maggior parte dei casi non sono editori puri, ma hanno altre im­prese i cui interessi vanno a scontrarsi con l’informazione. Ben 17 imprenditori fanno parte della proprietà del Corrie­re della Sera. La Repubblica e L’Espresso sono di proprietà di Carlo De Benedetti, Il Messaggero e Il Mattino del Gruppo Caltagirone, il Quotidiano Nazionale dei Riffeser, mentre La Stampa della famiglia Agnelli. Un lettore non può riu­scire ad avere un quadro completo dell’informazione per­ché Il Corriere della Sera non può scrivere di Cesare Geron­zi e Diego Della Valle, Il Sole 24 Ore di Luca Montezemo­lo. Va a finire che ogni giornale è monco. Il mio obiettivo è riuscire a dare al lettore un quadro degli articoli più im­portanti che sono stati pubblicati da quotidiani e periodi­ci, di quelle notizie che non puoi non leggere se vuoi cono­scere l’attualità. A questi Dagospia aggiunge una sua pro­duzione composta da commenti, pettegolezzi, inchieste e storie. L’informazione viaggia su due binari.

Quindi quotidiani e testate giornalistiche sono destinati a essere strumenti di potere?

Per quale motivo si dovrebbero spendere cifre pazzesche per mantenere in vita un quotidiano? Ai proprietari del Corriere della Sera che il giornale venda 120.000 copie anziché 100.000 non importa granché, anzi non importa nulla. Vogliono semplicemente fare in modo che il giornale non si occupi delle loro società. Dal punto di vista privilegiato di Dagospia l’economia e la politica italiana non hanno una bella cera.

Che ne pensa?

Mi rendo conto che il sito offre una visione della società abbastanza negativa, ma del resto – come recita lo slogan del nostro nuovo sito (in seguito all’accordo stipulato con Tiscali, che si occupa della raccolta pubblicitaria dal 1° ottobre, Dagospia è stato oggetto di un restyling, ndr) – “Le buone notizie non sono informazione”. In Da-gospia c’è tutto il peggio perché siamo attirati dal peggio. Siamo tutti imperfetti, pieni di contraddizioni e di difetti. È umano.

In Dagospia ha pubblicato «I capodannati – I soldati di piombo del capitalismo italiano. Da Abete a Valori. L’alfabeto della penisola dei famosi. I 40 uomini che credono di governare la politica e la finanza». Tra questi figurano, ad esempio, Alessandro Profumo, Mario Draghi, Matteo Arpe… in che senso “credono di governare”?

Perché non sono loro che comandano. È stata un’altra sorpresa anche per me. Prima di finire in mezzo a questo danno digitale pensavo che il potere l’avessero Berlusconi, D’Alema e compagnia. Pensavo che fossero loro i grandi burattinai. Neppure le banche e i finanzieri governano. I burattinai sono altri.

Chi?

La globalizzazione non ha un significato solo economico, ma anche politico. L’Italia fa parte di una comunità le cui regole sono definite molto in alto. Crede che ci sia una lobby internazionale di poteri forti? I nostri poteri non sono forti, sono fottuti. Sono fottuti da quelli che gli stanno sopra. Non si può pensare che Berlusconi prenda decisioni in modo autonomo. Ma ci sono grandi multinazionali – statunitensi, inglesi o arabe – che muovono i loro tasselli. Non siamo in un Paese feudale, ma in un Paese globalizzato e le decisioni vengono prese dall’alto. Spesso si sente parlare di lobby ebraica e massoneria, che siano questi o altri, simili poteri esistono e incidono sulle nostre vite. Facciamo un esempio che riguarda l’estero. A un certo punto sui giornali ha fatto la sua comparsa un uomo di cui non si era mai sentito parlare prima: Nicolas Sarkozy. E dal nulla è diventato il candidato numero uno alla presidenza francese. Ma chi era? Un sindaco? Come poteva avere i mezzi per organizzare una campagna elettorale all’americana? Quello che dicono è che ci sia una lob-by che si propone di riavvicinare la Francia e gli Stati Uniti. Tutti i movimenti di potere devono essere interpretati a livello globale.

Le sue fonti sono spesso i diretti interessati, che utilizzano Dagospia per “mandarsi a dire” delle cose. Basta lo stile ironico e la dissacrazione a evitare che Dagospia diventi uno strumento dei potenti?

Sono consapevole di essere anche strumentalizzato, ma se ho la notizia me ne importa poco. Le informazioni spes-so mi vengono date per far fallire progetti. Per esempio ho svelato l’operazione Octopus, con cui Giovanni Bazoli in-tendeva stabilire un nuovo assetto per Mediobanca e Ge-nerali, e il progetto è saltato. So bene di essere stato uno strumento, ma non avevo altro interesse che fornire la no-tizia. Non ho interessi in Borsa, non sono coinvolto, non partecipo a questi giochi.

Fa mai ricorso all’autocensura? Quando?

Quando parliamo di malattia, salute e famiglie. Ogni tan-to scrivo notizie anonime, descrivo le situazioni senza met-tere i nomi, e se uno vuol capire capisce. Perché tante vol-te i diretti interessati non sanno nemmeno di essere ogget-to di chiacchiere.Un tempo i manager facevano della discrezione un pro-prio punto di forza. Basti pensare a Enrico Cuccia.

Oggi imprenditori, manager e politici godono di grande visibilità, tanto nella loro vita pubblica quanto in quella privata. La spettacolarizzazione della politica e dell’eco-nomia è un segno dei tempi?

Questo è poco ma sicuro. Tutto è iniziato negli anni ‘80. È in quel periodo che l’ideologia è finita nel cassetto e dal partito si è passati al party. Dalla cella al leader. La spettacolarizzazione è legata ai mezzi di comunicazione di massa, come la televisione. Se il comizio diventa televisivo è chiaro che c’è una sola persona che parla, quindi la spettacolarizzazione diventa d’obbligo per tutti. Berlusconi non si inventa il leader show business, ma i politici – da Fini e D’Alema a Bertinotti – non avendo più dietro un’ideologia forte sono obbligati a mettersi in gioco in prima persona.

Il suo sito è famoso per i reportage fotografici sulla “Roma godona”. Il potere è destinato a essere sempre anche di cattivo gusto?

Tutti noi siamo di cattivo gusto. Il fatto stesso di uscire di casa è un atto di cattivo gusto, perché per uscire una persona si pettina e si veste non per come è, ma per co-me vorrebbe essere. Poi sfido chiunque nel momento in cui sta mangiando a non essere grottesco. Il vero canni­bale sadico è Umberto Pizzi (autore dei reportage foto­grafici Cafonal di Dagospia, ndr), che è in grado di ri­trarre il momento esatto in cui una persona addenta il boccone e non può essere che ridicola.

In più di un’occasione lei ha affermato che «il grovi­glio di interessi è entrato nel Dna di Roma. Le piaz­ze delle città sono stanze di compensazione del pote­re di Roma». Dagospia avrebbe avuto lo stesso successo se invece che a Roma avesse avuto base a Milano?

No, Roma ha un clima e piazze fantastiche che incitano allo spettegolamento. Alberto Arbasino (scrittore e sag­gista, ndr) si domanda sempre perché dobbiamo andare a teatro quando il teatro lo facciamo noi ogni volta che ci sediamo al ristorante Il Bolognese. Il salotto, al con­trario di quanto molti dicono, è una bella arena, un Co­losseo difficilissimo. Devi essere in grado di mantenere viva la conversazione, avere la risposta pronta, saper in­ventare delle accuse contro chi ti accusa. Ho frequen­tato i salotti più formidabili di Roma con persone come Giancarla Rosi, Enrico Lucherini, Ruggero Guarini, era tutta gente che ti inchiodava al muro con le parole.

Dagospia è nato in Internet un po’ per caso. Ma oggi po­trebbe vivere al di fuori della rete?

No, la carta stampata, la Tv sono tutte cose vecchie. Bep­pe Grillo ne è la prova.

Tra lei e Beppe Grillo ci sono numerose affinità. En­trambi avete raggiunto la grande notorietà con la tele­visione e l’avete successivamente abbandonata per dedi­carvi a Internet. Entrambi continuate a credere nel pote­re del web. Quali sono le differenze?

Dagospia è un sito, quello di Beppe Grillo un blog, che è completamente diverso. Entrambi, però, abbiamo capito – a dire la verità Grillo dopo di me perché all’inizio spaccava i computerini, in disprezzo di Bill Gates – che si può vive­re e bene senza le televisione, si può vivere e bene senza la stampa. Esistiamo al di là dei grandi mezzi di informazione. È stata una vera e propria rivoluzione. Grillo ha raccolto due milioni di persone in piazza, senza contare su Tv e giornali. Dagospia riesce a fare da solo più di molti giornali messi in­sieme. Ecco perché i media italiani hanno difficoltà ad am­mettere il potere di Dagospia, mentre tutti i quotidiani e le riviste straniere ci citano come fenomeni del web. Il lettore ha preso in mano il mouse e va per conto proprio. Internet è trasparente e immediato. La notizia istantanea offre un pia­cere enorme. Anche se va fatto un discorso diverso per l’ap­profondimento, che passa sempre dall’edicola.

Il termine “Dagospia” è entrato a far parte dell’edizione 2007 della Garzantina. Numerosi quotidiani e mezzi di informazione stranieri – tra cui l’Herald Tribune e Der Spiegel – citano Dagospia come fonte attendibile.

Tutti i corrispondenti esteri sono assidui frequentatori di Dagospia, sono loro i veri appassionati insieme agli italia­ni che stanno all’estero. Il 15-20% delle cliccate è effettua­to oltre confine.

Una parte del sito, l’archivio e il Cafonal, è a pagamen­to. Ha avuto successo questa iniziativa?

Qualche soldo l’ha portato. Sono stato obbligato a farlo per via del poco afflusso di pubblicità. Dagospia si finan­zia con la pubblicità, l’abbonamento, il servizio delle noti­zie sui telefonini. Ma il mio obiettivo è togliere il sistema a pagamento. Non appena la raccolta pubblicitaria lo per­metterà verrà eliminato. Del resto anche il New York Times è oggi interamente leggibile in Internet.

Dagospia fa parte delle mazzette (insieme di più giorna­li che compongono la rassegna stampa) di giornali che manager, imprenditori e politici leggono quotidianamen­te. È d’accordo con chi afferma che lei ha istituzionaliz­zato il gossip?

Siamo l’unico sito monitorato dall’Eco della Stampa. Ma a questo punto non parlerei più di gossip, preferisco parlare di informazione.

LE PASSIONI DI D’AGOSTINO
LibroFratelli d’Italia di Alberto ArbasinoProgramma TvBlobVinoMi piace, ma non ci capisco molto. Se devo fare un nome, sono senz’altro le cantine Jermann
FilmArancia meccanicaLuogo RomaHobby Comprare stronzatine
Musica Frank ZappaPiatto La pizzaSquadra Roma

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