Ottimista, malgrado tutto

La situazione economica del Paese è grave e per questo serve un intervento straordinario. Da dove partire? «Dall’incentivo ai consumi, senza dimenticare Pmi, terziario e nuove generazioni». Parola di Paolo Galimberti, presidente dei Giovani Imprenditori di Confcommercio

La situazione economica del Paese? Grave, ma non disperata. Perché «rimango, comunque, convinto che abbiamo tutte le possibilità per cavalcare la ripresa economica. Se non fosse così, non farei impresa in Italia». Nonostante tutto. Paolo Galimberti da 15 anni porta avanti le sue due passioni di imprenditore e di presidente dei giovani di Confcommercio, realtà che associa 250 mila aziende tra commercio, servizi e turismo. Due anime che gli permettono di avere un quadro d’insieme sul Paese e sul mondo. Quadro che oggi mostra a tratti delle tinte drammatiche. «Il Centro Studi di Confcommercio dice che l’Italia è, in tempi brevi, nuovamente a rischio recessione. La situazione si presenta straordinariamente difficile e per questo abbiamo bisogno di un intervento straordinario». Il manager, subito dopo la laurea in economia, entra nelle aziende di famiglia, assumendo la guida delle attività legate alla vendita di elettrodomestici ed elettronica di consumo, diventando dal 1991 vicepresidente e amministratore di Galimberti SpA. È anche socio di Euronics, gruppo d’acquisto che associa 30 aziende di elettronica con 250 punti vendita diretti e 700 affiliati. Dal 2007 è anche vicepresidente di Euronics International. Ma cosa chiedono oggi i giovani imprenditori al mondo politico? «Chiediamo, senza distinzioni di parte, un’assunzione di responsabilità, l’abbandono di interessi personalistici per il bene del Paese. E un intervento immediato a favore delle nuove generazioni, per restituire loro la voglia di sognare il proprio futuro».

Dottor Galimberti, recentemente Mario Draghi ha affermato che non bisogna aspettarsi che arrivino i salvatori d’Oltralpe, aggiungendo che occorre risanare i conti non per noi, ma per i nostri figli. Condivide questo punto di vista?Nell’era della globalizzazione i confini degli Stati non rappresentano più un limite per il mondo economico. I Paesi sono interconnessi fra loro tanto da influenzarsi reciprocamente. Ognuno però deve fare la propria parte. L’Italia è una delle più grandi potenze economiche del pianeta e ha al proprio interno le risorse per risolvere i problemi domestici. Abbiamo il dovere di reagire velocemente prima che si entri in una fase recessiva. Lo dobbiamo fare per garantire ai giovani il futuro che si meritano, e cioè una prospettiva di vita migliore rispetto a quella dei propri genitori.

In che tempi?Non possiamo aspettare, bisogna intervenire subito. Spero che il Governo presenti il decreto sullo sviluppo entro la fine di ottobre (l’intervista è del 20 ottobre, ndr) e, soprattutto, spero che vengano previsti interventi capaci di garantire una crescita rapida e robusta. Nonostante la manovra estiva di 35 miliardi e nonostante l’elevatissima pressione fiscale, i consumi non ripartono e l’economia resta debole. Bisogna cambiare pagina, pensare ad interventi forti per risollevare le sorti del Paese. Tutto ciò è possibile solo se le forze politiche, in maniera assolutamente bipartisan e con senso di responsabilità, abbandoneranno gli interessi personalistici e collaboreranno per il bene dell’Italia.

Come vicepresidente di Euronics International, lei ha una visuale internazionale. Ultimamente sembra che la politica si senta ingabbiata dalle disposizioni Ue. È una sensazione comune anche all’interno delle imprese?Non è una sensazione, è una realtà. In campo politico il nostro Parlamento legifera in gran parte per recepire disposizioni europee e, in campo economico la UE ha messo sotto osservazione i nostri conti pubblici. Ma un’Europa ancora più forte non può che aiutarci. Se ad esempio la Bce, al pari della Federal Reserve o della Banca Centrale Cinese, potesse fare anche politica economica oltre alla politica monetaria, le nostre imprese ne trarrebbero giovamento. Nel mio ruolo internazionale devo francamente riconoscere che la nostra Organizzazione imprenditoriale europea ci permette di fare impresa a livello locale con una visione mondiale del business: un bel vantaggio competitivo!

Tornando all’Italia, lei è presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confcommercio dal 2007. Sono passati quattro anni di fuoco per l’economia mondiale e italiana. Con quali ripercussioni sulle aziende del commercio e dei servizi, e in particolare su quelle rette da giovani imprenditori?Quello che è avvenuto in questi ultimi anni è sotto gli occhi di tutti. La crisi del 2008 ha colpito tutti pesantemente: imprese e cittadini. Il commercio e i servizi continuano purtroppo a pagare il prezzo più alto della mancanza di una politica a sostegno del nostro settore, nonostante rappresentiamo il vero motore economico del Paese sia per produzione di Pil che in termini occupazionali. Pensi che nei primi sei mesi dell’anno 60 mila esercizi commerciali hanno chiuso. E i giovani non stanno certo meglio. Non riescono a trovare lavoro visto che uno su quattro è disoccupato. Non riescono neanche a fare impresa, stante che le aziende gestite da giovani sono numericamente diminuite di un terzo. Una nazione moderna deve essere in grado di garantire un futuro professionale ai propri giovani. Non è solo una questione economica, ma ha un valore motivazionale e psicologico. Bisogna ridare ai giovani la speranza di poter realizzare il sogno della loro vita.

LE PASSIONI DI PAOLO GALIMBERTI

PROGRAMMA TVguardo poco la tv, Calispera di Alfonso Signorini

FILMsoprattutto quelli d’azione, Blade Runner di Ridley Scott

HOBBYcollezionismo, dalle penne agli orologi, dai quadri ai francobolli

PIATTOla cucina della mamma è sempre la migliore, il risotto alla milanese

LUOGOviaggio troppo per lavoro, casa mia

SQUADRAindiscutibilmente e orgogliosamente interista

SPORTla mattina molto presto, corsa o palestra

AUTOguido poco, subisco il fascino delle auto inglesi e delle citycar

LIBROleggo principalmente quotidiani, Le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar

MUSICAquella classica, I Concerti Brandeburghesi di Johann Sebastian Bach

Se lei fosse un politico, cosa farebbe?Stante la mia formazione keynesiana, da cittadino, da imprenditore ma anche da politico sindacale interverrei prioritariamente su un punto: sostenere i consumi per spingere velocemente e solidamente la crescita economica. Oggi in Italia i consumi sono in stallo. I timidi segnali di ripresa dei primi mesi dell’anno sono stati immediatamente raffreddati, e ora siamo a crescita zero. I consumi del 2011, per effetto della crisi, sono ripiombati ai valori del 2001 perdendo quindi dieci anni. E per il futuro le prospettive non sono rosee; al massimo potranno crescere di un punto percentuale nel 2012. Di più non è possibile perché è aumentata l’incidenza delle spese fisse (energia, assicurazioni, mutui, ecc) a discapito dei consumi volontari. E poi i salari sono troppo bassi per effetto dell’elevato cuneo fiscale. L’Ocse ci ricorda che siamo al 26esimo posto in Europa per reddito netto e al sesto posto per costo del lavoro. Alle imprese non è quindi possibile chiedere ulteriori sacrifici e i salariati faticano ad arrivare alla fine del mese. Servono interventi straordinari, come la detassazione dei salari di produttività. Ma anche, visto che stiamo avvicinandoci al Natale, la detassazione almeno parziale delle tredicesime. La liquidità generata verrebbe immediatamente immessa nel sistema trasformandosi in consumi che produrrebbero un aumento del gettito delle imposte dirette ed indirette oltre a creare occupazione. Tutto ciò potrebbe quasi auto finanziarsi. Salirebbe anche la fiducia dei consumatori e delle imprese. E di fiducia abbiamo proprio bisogno, perché in Italia il prodotto interno lordo procapite è cresciuto solo del 6% quando la media europea supera il 20% e Francia, Germania e UK si attestano tra il 22% e il 29%.

E sul fronte delle imprese?Come per i salariati, anche per le imprese serve una grande riforma fiscale che porti ad un ridimensionamento delle aliquote di base. Con una tassazione che ormai sfiora il 44,5% del reddito prodotto non possiamo attrarre capitali dall’estero per fare investimenti nel nostro Paese. Un fisco più equo permetterebbe alle imprese di liberare risorse che verrebbero investite in innovazione, tramite un’attività di ricerca e sviluppo. L’innovazione favorirebbe la crescita delle aziende riducendo il fenomeno tutto italiano del nanismo dimensionale delle imprese. E poi bisognerebbe introdurre il concetto di imposte legate solo al reddito d’esercizio. Oggi invece ci sono tasse che devono essere pagate anche dalle aziende in perdita. Mi riferisco all’Irap o meglio, come la chiamo io, alla tassa sullo sviluppo. Infatti, in linea di principio generale, la base imponibile su cui si calcola non è il reddito, bensì il monte dei salari e degli oneri finanziari. Una impresa per crescere assume personale e si indebita. Ed ecco quindi che più si cresce e più si viene colpiti da questa imposta veramente iniqua. Una logica perversa che non premia gli imprenditori virtuosi, ma cerca di paralizzarli per il benessere economico che portano alla società.

Vorrei riportarla a parlare di quei giovani, di cui faceva menzione Draghi, e che lei rappresenta in Confcommercio. Queste sue proposte basterebbero da sole a favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro o servirebbe altro?La questione giovanile è di tale portata che dovrebbe essere messa al centro di qualsiasi agenda politica. Per risolvere il problema si deve intervenire su vari fronti. Partendo anzitutto dalla formazione. Purtroppo abbiamo ancora un sistema universitario troppo imperniato (mi riferisco alle facoltà economiche, ovviamente) su un modello di stampo manifatturiero quando in realtà i dati ci dicono che l’industria non assume da anni, anzi perde occupazione; è invece il terziario a generare nuovi posti di lavoro. Il fatto che le università non siano in grado di preparare figure professionali adeguate al terziario, non stimola i giovani a proseguire gli studi, perché vedono troppi neolaureati che rimangono disoccupati. L’Italia ha una frequentazione media scolastica ai livelli minimi in Europa, ben lontani dai Paesi nordici e dagli Stati Uniti. Se, invece, si riuscisse ad aumentare il livello di frequentazione media scolastica anche solo di un anno, il Pil crescerebbe circa di un punto percentuale. Dopo il periodo formativo i giovani devono essere accompagnati ad entrare nel mondo del lavoro. Per stimolarli a creare imprese, bene a fatto il Governo a promuovere la legge del Ministro Meloni in cui è stato previsto un regime fiscale agevolato per le nuove imprese. Peccato però che i limiti dimensionali delle aziende che possono godere di questo supporto sono troppo bassi; bisogna assolutamente ampliarli. Per creare nuove imprese, si deve agire anche sul fronte dell’accesso al credito. Nel nostro Paese si ottengono finanziamenti solo dietro prestazione di una garanzia reale. Dovremmo migliorare: bisognerebbe finanziare le buone idee imprenditoriali supportate ovviamente da un business plan sostenibile. Una soluzione, peraltro senza ulteriori stanziamenti pubblici, potrebbe essere la partizione del fondo sovrano di garanzia a favore delle imprese dei giovani. Per diminuire la grave disoccupazione giovanile ,suggerirei l’introduzione di contratti di lavoro specifici con un’imposizione fiscale molto più agevolata rispetto a quanto oggi disponibile. Anche una maggiore flessibilità del lavoro darebbe stimoli alle imprese a fare maggiori assunzioni.

Che spesso però si traduce, brutalmente, in libertà di licenziare…Ma no… Il vero patrimonio delle aziende è il capitale umano. I nostri imprenditori conoscono bene il valore dei loro collaboratori, li chiamano personalmente per nome e cognome e non sono certo disposti a perderli facilmente. Al contrario invece sono pronti, come dimostrato dai dati oggettivi, a sacrificare l’impresa pur di salvaguardare il posto di lavoro dei loro dipendenti.

L’Iva al 21%, prevista dalla manovra di quest’estate, colpisce i vostri associati ancora più duramente di altre categorie. Perché, dal vostro punto di vista, il governo ha scelto di infierire su un piano della filiera così delicato?La manovra di settembre danneggia innanzitutto il Paese, perché lo condanna a non crescere. Il 70% gettito dell’iva viene pagato dai consumatori finali. L’aumento dell’aliquota genera obbligatoriamente l’aumento dei prezzi e, quindi, una contrazione dei consumi. I 5 miliardi di maggior gettito non saranno sufficienti per pagare i costi della perdita di un punto di Pil che la manovra produrrà.

In generale quali effetti avrà, sul futuro del Paese, la manovra estiva?Effetti depressivi per la crescita economica, perché sono state aumentate le tasse senza aver tagliato, se non in modo marginale, i costi della spesa pubblica. Il nostro Paese ha bisogno di riforme. Oltre a quella fiscale di cui abbiamo già discusso, si sarebbe dovuti intervenire anche sul welfare e sulla sanità.

Quali tagli di spesa si aspetta?Inizierei dal taglio dei costi della politica che oggi sono insostenibili. Il nostro Centro Studi stima che servano oltre 9 miliardi di euro per la gestione di tutti gli organi elettivi del Paese. Se riducessimo di un terzo il numero degli eletti, avremmo un risparmio di oltre 3 miliardi senza inficiarne il ruolo. Prendiamo, ad esempio, il Parlamento italiano: abbiamo il 60% in più di deputati rispetto alla media europea e ognuno di loro costa l’80% in più dei colleghi d’Oltralpe. La riduzione che propongo diminuirebbe il numero dei parlamentari da 945 a 600; la rappresentanza non sarebbe compromessa. L’effetto dell’intervento sarebbe certamente economico, ma anche psicologico nei confronti dei cittadini che sono chiamati a stringere la cinghia senza che lo Stato faccia lo stesso. Sarebbe un buon esempio e uno stimolo per tutti. Sarebbe anche un buon esempio smobilizzare il patrimonio mobiliare ed immobiliare pubblico che ammonta a oltre 220 miliardi. Spero tanto che la manovra sullo sviluppo che verrà presentata entro la fine di ottobre dia risposte concrete alle cocenti esigenze della nostra economia.

Quelli da lei elencati sono dati pesanti, non avrebbe una good news per chiudere?Sono un inguaribile ottimista, ma di quell’ottimismo consapevole di Arthur Cecil Pigou. Il Paese ha tutte le carte in regola per garantire a tutti noi una ripresa economica. Se non ne fossi intimamente convinto, non continuerei, come faccio, ad investire nel fare impresa in Italia.

© Riproduzione riservata