Motivare i dipendenti

Se la gerarchia decisionale all’interno dell’azienda è necessaria,è tuttavia fondamentale corresponsabilizzare i propri collaboratori, affinché possano esprimere tutto il loro potenziale. Parola di Bernhard Scholz, presidente di Cdo

Normalmente in periodo di crisi la prima spesa che le imprese tagliano è la formazione. Invece stiamo constatando la maturità degli imprenditori italiani, consapevoli del fatto che oggi più che mai è fondamentale accrescere le conoscenze, perché queste ti permettono poi di trovare nuove opportunità, sviluppare ulteriormente l’azienda ed essere pronti alla ripresa». Lo afferma Bernhard Scholz, presidente di Compagnia delle Opere, associazione imprenditoriale che associa 34 mila imprese in Italia e ha diverse sedi estere, che promuove lo spirito di mutua collaborazione e assistenza, valorizzando le risorse umane ed economiche nell’ambito di ogni attività profit e non profit realizzata dalle imprese. Le persone, in particolare, sono al centro di numerose iniziative della Cdo, che vanno dai servizi finanziari fino alla formazione, che è diventata negli ultimi anni sempre più recepita. Ma era forse inevitabile visti i precedenti di Scholz. Il manager dal 2006 ha coordinato tutte le attività formative e di alta formazione della Fondazione per la Sussidiarietà e dal 2003 è responsabile della Scuola d’Impresa della stessa Fondazione. Meno scontato il ruolo giocato dall’ organizzazione in tempo di crisi. «Il nostro compito è contribuire attraverso quello che possiamo al bene comune, laddove ci è possibile anche insieme ad altre associazioni, come sta avvenendo nel “Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro” dove lavoriamo fianco a fianco con Cisl, Confartigianato, Confcooperative, e Movimento cristiano lavoratori con l’obiettivo di promuovere riforme e cambiamenti rispettosi della dignità dell’uomo e imperniati sulla giustizia sociale ispirandosi alla Dottrina sociale della Chiesa» spiega Scholz.

In un momento di crisi, quando le preoccupazioni sono in primis finanziarie, è realmente necessario investire sulla valorizzazione e motivazione dei dipendenti?

Conosco tante aziende che hanno tratto benefici significativi dal fatto di avere investito in corsi di formazione. Grazie a questi hanno cambiato la loro strategia di mercato, hanno appreso come avere una gestione finanziaria più oculata, più lungimirante e più a lungo termine. Certe aziende sono ancora troppo focalizzate sul prodotto e troppo poco sul mercato, ma si intravedono sempre più segnali positivi di cambiamento. Spesso accade che, dopo avere preso parte alla Scuola d’Impresa gli imprenditori continuino a incontrarsi regolarmente per scambiarsi le loro esperienze. Si crea cosi una learning community che ritengo il risultato più interessante perché sottolinea che il soggetto della formazione è l’imprenditore stesso.

Come si può passare da rapporti di lavoro gerarchici a un’organizzazione fondata sulla delega?

Non metto in dubbio la necessità di una gerarchia decisionale all’ interno dell’azienda, ma penso che ci sia un grande potenziale ancora inespresso da sviluppare, un potenziale che potrebbe esprimersi con una maggiore corresponsabilizzazione dei collaboratori. Assegnare responsabilità per obiettivi da raggiungere, invece di dare compiti da eseguire, permetterebbe a molte piccole e medie imprese di crescere sicuramente in termini di competenza e di efficacia; e dove necessario anche dimensionalmente. Ma soprattutto la responsabilizzazione valorizza veramente la persona che lavora dentro l’azienda.

Ma manca la fiducia dell’imprenditore a delegare?

È più un problema di mentalità. Si ottiene fiducia quando si dà fiducia. Quando un collaboratore percepisce che il capo non si fida di lui, non metterà in gioco tutto se stesso. Chi accentra ha una maggiore sicurezza, ma solo a breve termine. A medio-lungo termine frena l’azienda perché frena il potenziale dei collaboratori.

Qual è il clima nel quale oggi operano le piccole e medie imprese? E quali sono le loro necessità?

Si trovano di fronte a una grande sfida e per affrontarla hanno prima di tutto bisogno di trovare dei compagni di strada. Chi ha fatto più fatica nel corso di questi mesi è, infatti, chi è rimasto da solo. Il nostro slogan “criterio ideale e amicizia operativa” è diventato dall’estate scorsa più recepito e compreso nella sua portata culturale ed economica. I nostri associati si confrontano di più, si scambiano di più informazioni ed esperienze per guidare l’impresa nelle burrasche della crisi, cercando con tutte le forze di non licenziare nessuno. Poi hanno bisogno di servizi: servizi finanziari, anche di sostegno operativo che li aiuti nell’accesso al credito; servizi all’internazionalizzazione per affrontare insieme la sfida, per tante aziende inevitabile, di affacciarsi sui mercati esteri; servizi per chi cerca lavoro e per chi cerca collaboratori; servizi di formazione, di cui abbiamo già parlato e ai quali aggiungo i servizi alla formazione professionale che aiuta i ragazzi ma anche le imprese che in questi ragazzi trovano normalmente collaboratori molto validi.

Cercare di non licenziare è una tendenza comune al mercato o i vostri associati sono un’eccezione?

Ho visto questo atteggiamento anche in altre imprese. Per questa ragione sono molto contento che gli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione, siano stati allargati anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Altrettanto significativo è il provvedimento della Regione Lombardia che lega gli ammortizzatori sociali agli investimenti in formazione. Penso che sia un atto di grande saggezza politica e sociale.

Quali altri interventi politici ritiene interessanti?

Ci auguriamo tutti un abbassamento della pressione fiscale, prima di tutto una detassazione degli utili investiti in azienda e degli investimenti in innovazione e internazionalizzazione. Poi si dovrebbe abolire finalmente l’Irap, che penalizza chi crea lavoro. Inoltre auspichiamo l’introduzione del quoziente famigliare. Sappiamo bene però che in questo momento la priorità del governo è la riduzione del debito pubblico che di fatto limita drasticamente la possibilità di utilizzare le imposte in modo più orientato allo sviluppo del Paese. Spero però che ci siano presto dei segnali in questa direzione, anche perché le aziende per poter pagare le tasse devono prima poter guadagnare. Occorre poi proseguire con urgenza la semplificazione normativa (oggi il peso degli oneri burocratici è pari all’1% del Pil). Un problema grave sono i ritardi nei pagamenti dell’amministrazione pubblica: servirebbe – se i pagamenti non fossero realmente possibili – almeno una compensazione fra debiti e crediti nei confronti dello Stato. Altri temi che posso solo accennare sono la durata dei procedimenti civili, i costi dell’energia e delle infrastrutture e il divario fra Nord e Sud.

All’inizio del suo mandato ha scritto: «Quando un giovane entra in un’impresa o in un’opera ha bisogno non solo di una formazione professionale continua, ma anche dell’opportunità di una educazione». Qual è il ruolo dell’impresa nei confronti dei giovani?

Un giovane che entra oggi in azienda fa di per sé un percorso educativo. La domanda è a che cosa viene educato. Questo non significa che gli imprenditori devono diventare educatori, ma che devono prendere coscienza del fatto che i giovani guardano e osservano l’imprenditore e i dirigenti, e attraverso il modo in cui si comportano cercano di individuare e apprendere il significato del lavoro. Questo per l’imprenditore non vuole dire un’attività in più, ma un’attenzione maggiore a quello che sta facendo, una maggiore disponibilità a spiegare e comunicare esplicitamente perché fa ciò che fa. Questo è fondamentale perché nella nostra società il lavoro ha perso il proprio valore e deve essere recuperato. Questo può avvenire primariamente in azienda. Recuperare il senso del lavoro è del resto una della risposte più consistenti alla crisi, che ha una delle sue origini proprio nell’idea di poter creare ricchezza a prescindere dal lavoro.

I giovani devono essere educati oggi più di ieri?

I giovani hanno sempre bisogno di essere educati. Ma se la scuola e la famiglia non sono più per tanti giovani una introduzione alla realtà allora il primo incontro con la realtà è il mondo del lavoro. È un dato di fatto di cui bisogna tenere conto e che accresce le responsabilità dell’impresa. A questo punto si può solo sperare che i giovani possano incontrare degli adulti capaci di testimoniare una risposta a questa domanda, e in molti casi potrebbero essere gli stessi imprenditori.

Lei parlava del fatto che scuola e famiglia sono venute meno alla propria funzione educativa…

La famiglia ha bisogno di un sostegno reale. In un clima di relativismo e di nichilismo, per il quale niente ha valore, è difficile impegnarsi per la creazione di una famiglia e dedicarsi all’educazione dei figli. A questo si aggiungono spesso delle difficoltà economiche, per rispondere alle quali chiediamo l’introduzione del quoziente familiare e pari condizioni economiche tra scuole statali e scuole paritarie. Oggi la famiglia ha un peso in termini fiscali troppo elevato: mancano agevolazioni per i figli, per tutto l’impegno educativo che la famiglia si assume.

E le scuole?

Anche la scuola deve conquistare nuovi orizzonti. Abbiamo pubblicato un documento dal titolo “Una scuola che parla al futuro” dove facciamo diverse proposte per rivalutare e rivalorizzare tutta la formazione scolastica come possibilità non solo di conoscere il mondo ma anche di scoprirne il significato. In modo particolare proponiamo anche una rivalorizzazione degli istituti tecnici e professionali con percorsi di studio più flessibili e personalizzati, che riescano a trasferire agli studenti conoscenze vive, cioè essenziali ma piene di senso, e quindi capaci di diventare competenze efficaci. Il disprezzo del lavoro manuale è proprio segno del fatto di come abbiamo completamente perso di vista il fatto che qualsiasi lavoro ha una sua dignità. Bisogna solo capire quale lavoro è più idoneo alla propria persona e ai propri talenti. Bisogna trovare nuove forme, e più consistenti – il Governo sta già lavorando in questa direzione – per valorizzare la formazione professionale che adesso è intesa in modo riduttivo. Al contrario, un bravo artigiano che lavora con competenza ha un ruolo fondamentale nella società e può trovare soddisfazione creando una famiglia e tirando su dei giovani nella professione.

Ma è altrettanto vero che i giovani sono allo sbando anche a livello di formazione universitaria. Che tipo di interventi è necessario realizzare?

La formazione universitaria non è pensata per uno sbocco lavorativo immediato. Occorre una riforma universitaria che rimetta gli studenti al centro della formazione, chi vuole studiare deve essere informato con trasparenza sui rischi e sulle opportunità dello studio che sceglie, e poi c’è da augurarsi che ci siano sempre più professori che abbiano un interesse reale nei confronti dei giovani che hanno davanti, che non si sentano semplicemente come dei comunicatori di nozioni, ma riescano realmente ad affascinare i ragazzi per la materia specifica che stanno insegnando e attraverso questo sostenere un gusto per la vita in quanto tale. Una volta queste persone si chiamavano maestri, e ne abbiamo bisogno nelle officine e nelle aule universitarie.

Lei ha detto che la sensibilità per la formazione è cresciuta durante la crisi?

Sicuramente non è per niente diminuita all’interno della nostra associazione. La crisi ha messo tutte le imprese di fronte a una scelta: chiudersi e deprimersi o aprirsi per trovare nuove soluzioni e mettere in pista cambiamenti anche piccoli ma efficaci. Le nostre aziende si sono aperte, cogliendo la grande opportunità del confronto e dello scambio di informazioni. Ci sono imprenditori che fanno di tutto per non licenziare, altri che assumono appena possono, altri ancora che vanno fino in fondo e rischiano cogliendo le opportunità del mercato. La crisi ha messo in difficoltà molti, cerchiamo di non rendere vana questa sofferenza imparando tutto cio che si può imparare.

Da qui il successo del Matching (evento business to business organizzato da Cdo per aiutare le imprese a trovare partner, acquirenti e fornitori con cui implementare la propria attività) come momento di confronto?

Il Matching sta crescendo. Quest’anno ci attendiamo più di 2 mila imprese di cui 300 dall’estero. Il titolo è “Innovare, Internazionalizzare”. Mi auguro che sia una spinta all’internazionalizzazione perché l’imprenditorialità italiana non ha nulla da temere dalla concorrenza straniera. Più si mette in gioco e meglio è. Il matching dell’anno scorso è stato un momento che ha sorpreso tutti per il conforto che ha comunicato e per la fiducia che ha generato. Sono certo che sarà cosi anche quest’anno.

Riassumendo gli obiettivi fondamentali della sua presidenza sono la formazione e l’internazionalizzazione. Ne vuole aggiungere altri?

Sono la formazione, la creazione di reti che deve arrivare fino all’ internazionalizzazione e – aggiungo – i giovani. Aiutare un giovane a trovare un senso nel suo lavoro – e quindi nella sua vita – costa fatica, impegno e dedizione;,ma è una delle maggiori soddisfazioni che si possano avere. Questo non richiede attività particolari ma un’attenzione particolare in tutte le attività.

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