Manager in vacanza riposatevi

Molti manager italiani non riescono mai a “staccare la spina”. Vizi e virtù della nostra classe dirigente aziendale (ma anche politica...) nell’analisi lucida e ironica di Enrico Bertolino, uno che dalla formazione è passato al cabaret e al successo televisivo, senza mai rescindere il cordone ombelicale con le sue origini

Bertolino, lei che li conosce bene, come sono i manager italiani in vacanza?Il manager non fa vacanze, ma prepara un progetto e con la stessa logica organizzativa impiegata nel lavoro gestisce le vacanze. Fissa partenze, orari e obiettivi. Nel preparare la vacanza, il manager fa un lavoro. Per lui la vera vacanza è la progettazione delle vacanze, farle è quasi già un rientro. È per questo che il “last minute” non piace molto ai nostri manager. Con questa for­mula infatti non si deve organizzare nulla, tagliando via la pare più entusiasmante e creativa.

Ma perché è così difficile rilassarsi in vacanza?Le informazioni ti raggiungono dovunque, l’ufficio ti recu­pera sempre. Ho visto manager in vacanza in posti sperdu­ti del Brasile rimanere in continuo collegamento con l’uf­ficio, oggi un Internet cafè lo trovi dappertutto.

Non c’è forse una corsa eccessiva a riempirsi ogni minu­to della vacanza con qualche attività?Su questo punto sono un accanito sostenitore della teo­ria dell’amico sociologo Domenico De Masi sull’ozio crea­tivo. Bisogna sapersi gustare anche quei momenti in cui non c’è da fare niente e respingere il concetto di dover­si per forza impegnare in qualcosa che “crei valore”. Ma la vera rovina-vacanze è la sindrome che quando sei lontano ti fa sentire indispensabile in ufficio. È questa la malattia più subdola, quella che alla fine ti frega: ti fa interrompe­re le vacanze e tornare una settimana prima in ufficio per farti sentire dire dai collaboratori che “è tutto a posto”. E questa sindrome colpisce molti manager che, abituati a es­sere impegnati 24 ore al giorno, entrano in crisi se non c’è nulla da fare.

Quali letture consiglia ai manager in vacanza?I libri sulla globalizzazione fanno tanta scena, ma poi “rom­pono”, meglio portarsi dietro qualche classico. Seneca e Plutarco, per esempio, sono grandi innovatori. Da loro si possono apprendere i segreti dell’arte dell’ascolto e al­tre tecniche utili al ritorno in azienda. Grazie a una bella ­­­­biografia di Giulio Cesare si possono migliorare le doti di leadership. Ma non esistono letture universali, ognuno deve seguire le sue inclinazioni. Leggo per esempio biografie e libri di storia, qualcun altro si può orientare su letture di svago, l’importante è non seguire le mode e lasciare a casa i manuali come Diventare manager in dieci mosse.

Manager di Milano e Roma: ci sono differenze?Lo stile in vacanza rispecchia quello della città in cui si lavora. Il manager di Milano è apparente­mente efficace, fa molto “vento”. Come Bush fa la guerra preventiva, il manager bauscia è molto abile nel management preventivo. Al Sud c’è un orien­tamento maggiore all’efficacia, che spesso arriva dal caos. Ho lavorato alla Rai di Napoli e ho scoper­to che risolvono tutti i problemi affidandosi a un mix incredibile di incoscienza e creatività. I friulani sono efficienti e efficaci ma sono rovinati perché la­vorano 15 ore al giorno. Come in Danimarca: sono super efficienti, gli uffici sono ordinati e tutto fun­ziona alla perfezione, ma i manager danesi sono tri­sti, forse sono già morti e non lo sanno.

Un ultimo consiglio ai manager che stanno par­tendo per le vacanze?Dedicare un po’ di tempo alla propria compagna, che è anche un ottimo esercizio di applicazione del­le tecniche di customer relationship management (Crm). Prima che ci pensi qualcun altro.

Beh, adesso passiamo a cose più “serie”. Cos’è la leader­ship oggi, chi è leader in azienda come in politica?Oggi come ieri leader è chi comanda disponendo delle due A: autorità e autorevolezza. Molti testi manageriali ancora in voga affermano che la prima non serve. Non sono d’ac­cordo: ci sono situazioni in cui bisogna entrare prima con l’autorità per passare poi all’autorevolezza. I leader sono come gli apostoli, portatori di verbo positivo ma sono po­chi, al massimo dodici, e tra loro c’è sempre un Giuda che finge di essere un leader e invece è un pentito.

Può fare i dodici nomi di leader italiani?Tutti e dodici è difficile elencarli. Ma senz’altro Pier Lui­­gi Celli, che esprime una leadership “strana”, anomala, poi Franco Tatò; naturalmente Sergio Marchionne che è arri­vato in Fiat, poche parole, ha rischiato, ha fatto, rilancia­to un’azienda “vecchia”; come imprenditori mi piacciono Nerio Alessandri di Technogym e Alessandro Benetton; come politico un leader futuro come Enrico Letta.

E Veltroni?Sì, mi piace anche lui, però con il mio lavoro di comico sarà un problema, perché tende a rendere tutto troppo se­rio. Ma stia sicuro che prima o poi cadrà in una delle pro­blematiche massime dei leader, cioè l’autocelebrazione, e su questo noi comici avremo da lavorare.

Veltroni è un leader “buo­nista”. Ce ne sono di simi­li anche nelle aziende?Ce ne sono, però poi devo­no fare i conti con la real­tà dei loro dirigenti che non amano l’approccio buonista. Qualcuno che faccia il lavoro sporco (licenziamenti, san­zioni disciplinari, mutamenti di mansione ecc.) ci deve pur essere. La questione è trova­re equilibrio tra il bastone e la carota.

I modelli formativi vigenti in Italia sono adeguati?Non pretendo di giudicare l’intera formazione mana­geriale, dalla quale mi sono in parte distaccato da quan­do ho modificato l’assetto della mia vita professionale. Però molti di quelli che cir­colano mi sembrano riverni­ciati, hanno solo ricromato i parafanghi. Ancora si usano le vecchie piramidi di Ma­slow (Abraham Maslow, psi­cologo e “guru” del manage­ment americano, creatore di un modello basato sulla pira­mide dei bisogni, ndr), più o meno mimetizzate, e model­li di motivazione che riflet­tono le teorie di Ken Blan­chard (altro “guru” america­no vivente, ndr). Si dovreb­be tentare di fare cose nuo­ve, prendendole anche dal­le culture straniere, magari non i soliti modelli americani, anglosassoni, scandinavi. Perché non ci avviciniamo a un Paese come il Brasile, per certi aspetti simile all’Italia, che negli ultimi anni ha espresso modelli manageriali interessanti?

In Italia comincia a diffondersi il filone del management umanistico, in contrapposizione a quello scientifico tipi­co della formazione manageriale americana. È aria fritta come dicono molti o c’è della sostanza?Io ho firmato il “Manifesto dello humanistic manage­ment” di Marco Minghetti, per cui credo che sia la nuo­va frontiera. Naturalmente è più rischiosa perché non ci sono ancora strumenti di misurazione, a differenza del metodo “scientifico” basato sui sistemi tayloristici le cui metodologie quantitative sono consolidate da decenni. Disegnare sistemi basati sullo humanistic management è cosa molto complessa, ma c’è un futuro per questo model­lo. Anzi, è il futuro, perché dietro ci sono la cultura, la so­cializzazione del business, l’impegno etico e civile.

Cos’è la passione per un uomo d’impresa?Il più delle volte è sofferenza, ma se si riesce a trasformar­la in crescita e in apertura mentale diventa propedeutica al miglioramento. Alcuni invece tendono solo a soffrire, lavorando 15-16 ore al giorno. Tra i manager, tra quelli italiani in particolare, ci sono i più grandi consumatori di cocaina, che li aiuta a sostenere innaturali ritmi di lavoro (in altri Paesi almeno la usano per divertirsi!).

E la fantasia ha un ruolo in impresa?Fantasia e impresa sono concetti difficili da far convive­re, come quelli di dittatura flessibile o partito democrati­co (o è partito o è democratico). Però dovremo arrivar­ci, perché la fantasia è la fonte della passione, quella po­sitiva s’intende, ed entrambe servono ad allargare l’oriz­zonte mentale. Io ho avuto la fortuna di viverle entram­be come formatore e come attore. È per questo che mi de­finisco “formattore”.

Ironia e umorismo hanno spazio in azienda?L’ironia è pericolosa perché è fatta per persone intelligen­ti, e non ce ne sono tante in giro. A differenza della satira, che è faziosa, deve essere super partes. Il sarcasmo inve­ce è solo cattiveria. Quindi l’azienda ironica è quella che parte da un’autoanalisi, uscendo fuori dai propri cancelli, guardandosi intorno e ridendo un po’ di se stessa. Ma non ci riesce praticamente nessuno, perché l’ironia non va d’accordo col potere dominante, che è arrogante.

Che ruolo hanno i consulenti?Di solito arrivano, pontificano e se ne vanno…Li ho visti spesso arrivare, far danni applicando modelli astratti validi per tutte le situazioni, consegnarli ai responsabili dell’azienda e poi colpevolizzarli perché non riuscivano ad applicarli. Ma spesso la consulenza ha la funzione del parafulmine, per scaricare su terzi esterni l’incapacità di prendere decisioni da parte del management aziendale.

Tornando alla leadership, lei ha scritto che il termine letteralmente significa “la barca dei capi”: c’è qualche rapporto col mondo della vela?Una volta Paul Cayard (famoso skipper americano, ndr) mi disse che nella barca comandavano solo lui e il tattico; veniva fatto un briefing prima e uno dopo la regata, ma durante non si discutevano gli ordini. Pochi leader hanno la forza di usare questo modello.

Democrazia e dittatura in azienda possono convivere?Sì, se ci sono i presupposti della correttezza, della non meschinità. Alcuni manager utilizzano sia l’autorevolezza sia la simpatia e l’empatia per “truffare” (emotivamente, non economicamente) i loro collaboratori. Altri usano l’autorità sapendo di non essere capaci di autorevolezza ed è una situazione ugualmente sgradevole. Nei momenti difficili, in azienda come in politica, tendono a emergere dittature o cattive leadership. È per questo che la leadership deve essere condivisa.

Ci racconti per rapidi cenni la sua storia professionale.Ho iniziato a lavorare in banca, la Standard Chartered Bank-Hong Kong & Shanghai Bank, e ci sono rimasto dieci anni. Nel frattempo ho cominciato a fare cabaret. Dopo un anno di stage in Inghilterra per la banca ho avuto l’opportunità di passare alla formazione. Ho lavorato con il gruppo Galgano, con Franco D’Egidio di Summit, con Maria Ludovica e Riccardo Varvelli (e tuttora lavoro con Luca, il loro figlio d’arte). La formazione manageriale è la mia attività principale da vent’anni e penso che tornerà a essere il mio primo lavoro alla fine dell’iter televisivo.

Che cosa ha comportato sul lavoro la notorietà televisiva, oltre all’aumento delle tariffe professionali?Beh, di quelle grazie al cielo non mi lamento. Nella sostanza del lavoro questa esperienza ha modificato l’impatto sulla platea. La notorietà televisiva e l’uso dell’ironia e dell’umorismo mi permettono di rompere la barriera di diffidenza iniziale prima di un formatore “normale”.

Progetti per il futuro?Adesso sono concentrato su progetti teatrali, migliori della televisione che crea troppo distacco. Sento la necessità di andare davanti a un pubblico in carne e ossa per capire se sono ancora capace di stabilire un link. Il giorno che questo legame si assopirà o mi accorgerò di ripetere sempre le stesse cose la mia passione si rivolgerà esclusivamente alle attività di onlus che ho avviato da poco in Brasile.

Quali attività?

È un’idea nata nel 2004 con la mia compagna Edna Galvao, che è brasiliana, finalizzata a sostenere lo sviluppo di una piccola comunità di pescatori del Nordeste, Pititinga. Sono convinto che il no profit debba essere gestito come lo “yes profit”, cioè che si debba creare valore per poterlo ridistribuire e reinvestire nelle buone cause. Sarebbe bello mandare un po’ di manager a fare volontariato: si renderebbero conto che per motivare le persone non esistono solo leve manageriali o contrattuali, ma anche leve umane ed emotive. Vorrei lanciare la proposta di un periodo sabbatico manageriale nel no profit: servirebbe sia al terzo settore che acquisirebbe competenze sia ai manager che acquisterebbero autostima da riportare in azienda.

LE PASSIONI DI BERTOLINO
LibroI romanzi storici, come Io, Claudio di Robert GravesProgramma TvOltre al mio: Glob. L’osceno del villaggio, che va in onda su Rai 3, tutti i programmi di History Channel e Report di Milena GabanelliVinoTanti: il Nero d’Avola in Sicilia, il Capichera in Sardegna, l’Aglianico del Vulture in Campania, il Grignolino in Piemonte, il Carema in Valle d’Aosta ecc.
FilmCast away perché rappresenta l’uomo solo contro le avversità. E i grandi comici come Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello e Walter ChiariLuogoRavello e il mio buen retiro in una tenuta sul fiume Catalè in BrasileHobbyL’hobby è diventato il mio lavoro e non so più quale sia l’uno e quale l’altro
Musica La musica brasiliana classica e leggera: Heitor Villa-Lobos, Vinicius de Moraes e JobimPiattoGli gnocchi con pomodoro e basilico di mia madreSquadraChe domanda, l’Inter! Al di fuori dei colori neroazzurri mi piace Cristiano Lucarelli del Livorno

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