Lo stile sale in sella – Intervista a Claudio Domenicali

In coincidenza con la “rinascita” dell’iconico Scrambler degli anni ’70, Ducati sfodera anche un’omonima collezione di abbigliamento e accessori che porta a Pitti Immagine Uomo 87. Perché la moto, più che un mezzo di trasporto, è una filosofia di vita

Ci sono marchi che raccontano molto dei prodotti che li in­dossano, perché riescono a incarnare uno stile di vita, quasi un concetto. Ducati Motor Holding, l’eccellenza motociclistica tricolore made in Borgo Panigale, vicino Bologna, adesso prova a vestire questo stile annunciando – in occasione della prossima edizione di Pitti Immagine Uomo 87 (13-16 gennaio) – il sodalizio tra Ducati Scrambler e Blundsto­ne, con un nuovo modello dello storico boot australiano, adattato alle esigenze del motociclista. Unica collaborazione brandizzata all’interno dell’omonima collezione di abbigliamento e accessori dell’azienda emiliana che accompa­gna il lancio – da fine gennaio – della “rinata” moto Scrambler. Nell’intenzio­ne dei creativi di casa Ducati, la linea segue la filosofia della due ruote già mo­dello iconico negli anni ’70, reinterpretato alla luce delle più moderne inno­vazioni tecnologiche, declinandosi in tre direzioni Urban, Outdoor e Lifestyle. Quindi non solo capi per motociclisti, ma un ampio affondo nel mondo lifesty­le, con pantaloni, felpe, giubbotti, camice, t-shirt, ma anche caschi e accesso­ri per chi guida. Così facendo, Ducati alza la posta sfruttando un heritage che non teme confronti nella fascia dei prodotti premium, e che con lo Scrambler si regala (e regala) la possibilità di coronare il sogno di chi avrebbe da sempre voluto inforcare una “rossa”, ma non se l’è mai potuto permettere. A Claudio Domenicali, amministratore delegato della società dall’aprile 2013, ma mana­ger Ducati di lungo corso con una più che ventennale esperienza all’interno dell’azienda, Business People ha chiesto di raccontare quanto sta avvenendo nel backstage di questo gioiello del made in Italy, che è riuscito a far gola ai te­deschi del gruppo Audi-Volkswagen, e che producendo motociclette dal 1946 ha conquistato la bellezza di 17 titoli costruttori nonché di 14 titoli iridati pilo­ti nel Campionato mondiale Superbike, mentre in MotoGp – dove gareggia dal 2003 – dopo soli quattro anni è riuscito a espugnare il gradino più alto del po­dio, conseguendo sia il titolo costruttori che quello piloti. Il tutto nella speranza che Andrea Dovizioso, attuale pilota della “rossa”, regali ai migliaia di ducatisti sparsi in ogni area del globo il fatidico e sospirato bis.

Ducati è ospite speciale di Pitti Immagine Uomo 87 nella sezione Wp La­vori in corso, siete protagonisti di un evento in occasione del quale annun­ciate la collaborazione con lo storico marchio australiano Blundstone. Di cosa si tratta? Nello specifico, consiste nel coronamento della collaborazione tra Blundstone e il nostro marchio Scrambler, la grande novità per il 2015 che costituirà un’of­ferta di prodotto totalmente parallela a quella del marchio Ducati. Scrambler sarà un brand autonomo. Se connotiamo Ducati essenzialmente con i tre at­tributi style, sophistication e performance, le caratteristiche di Scrambler sono differenti e afferiscono più al mondo della personalizzazione, della self-expres­sion, della facilità di utilizzo, ovvero all’outdoor per eccellenza e a un modo di andare in moto più divertente, semplice e accessibile. Tutto questo si sposa perfettamente con Blundstone, per cui ci siamo decisi a promuovere un’attività di comarketing che sfocerà nella messa in commercio di un modello dello sto­rico boot, adattato alle esigenze dei motociclisti. Si chiama Blundstone 800 e verrà realizzato in edizione limitata.

All’ultimo Eicma, nel novembre scorso, avete presentato il brand Scrambler, una nuova moto e una nuova collezione di abbigliamento e accessori che ricalca le caratteri­stiche della due ruote, ma che non si limita a proporre però capi solo motoristici. Qual è il filo conduttore che unisce queste attività? La voglia di fare qualcosa di completamente nuovo al fine di valorizzare l’heri­tage del marchio Ducati, riportando in auge uno straordinario modello com’è stato negli anni ‘70 lo Scrambler, reinterpretandolo fino a renderlo contempo­raneo e proponendolo come un vero e proprio brand. Altri si sono limitati a re­plicare modelli classici, noi ci siamo spinti a produrre una moto totalmente nuova, benché racchiuda in sé i valori tipici degli anni ‘70 (anticonformismo, libertà, emancipazione), che fosse accessibile nel prezzo (a partire da 8.500 euro), ma anche che presentasse dettagli e materiali pregiati. Tutti elementi che rendono lo Scrambler un oggetto bello da possedere e intorno ai quali abbia­mo voluto costruire l’intera collezione.

Così facendo, avete spinto questo marchio sul terreno del lifestyle puro. Certamente, dalle giacche alle felpe agli accessori per personalizzare la moto, con Scrambler ci possiamo prendere quelle libertà di stile che non è possibi­le concedersi con un marchio come Ducati, che ha invece nel suo dna un’im­postazione più rigorosa sia nei canoni che nei criteri di applicazione. Consi­deri che la nuova moto ha quattro versioni, oltre alla standard Icon, ci sono la Urban Enduro, la Classic e la Full Throttle, che sono già degli esempi su come si possa personalizzare il proprio modello: tutte hanno un lettering diverso che si ritrova anche sui capi della collezione, il quale di volta in volta potrà subire ulteriori modifiche e cambiamenti. Con Scrambler ci immergiamo in un mon­do aperto alla creatività, al quale parteciperanno clienti e concessionari che potranno fornire il loro contributo costituendosi in una vera e propria commu­nity creativa.

Come vi siete organizzati per affrontare l’ingresso nel mondo fashion? Abbiamo costituito un’apposita business unit Scrambler che internamente – in parallelo con l’omologa Ducati – si occupa di moto, accessori e abbigliamen­to, formata da designer e project manager che selezionano le proposte che poi vengono realizzate dai fornitori esterni. Il passaggio iniziale prevede che siano i concessionari a commercializzare abbigliamento e accessori a marchio Scram­bler, ma – a tempo debito – puntiamo ad avere una distribuzione più allargata. Bisogna aspettare per verificare che accoglienza avrà quando, la prossima pri­mavera, arriverà sul mercato.

Ho letto che voi insistete molto su concetti come “mondo Ducati” piuttosto che “valori Ducati”. In cosa consistono? Nel considerare la moto al centro delle nostre attenzioni: in Ducati lavorano solo persone per cui la moto è quasi sacra, vivono e respirano per le due ruo­te… Perciò abbiamo voluto costruire qualcosa in più per assecondare il fatto che intorno a questa comune passione gravita una vera e propria community cui ci piace offrire la possibilità di vivere la Ducati a 360 gradi. E quindi anche di vestirsi Ducati, di poter personalizzare la propria moto, di poter stare la do­menica davanti al televisore a tifare i propri idoli durante le gare. Basti solo dire che la nostra è l’unica azienda non giapponese che compete in MotoGp dal 2003 senza interruzione. Così come siamo protagonisti in Superbike. Questo perché, come amiamo ripetere, quando si sceglie una Ducati si acquista an­che il biglietto d’ingresso in un mondo in cui si condividono le proprie passioni con migliaia di altri ducatisti: a livello internazionale il nostro è il secondo più grande club di motociclisti (il primo è quello Harley, ndr).

Dopo un 2013 record, in occasione del quale avete venduto oltre 44 mila moto, come si chiude il 2014?Non abbiamo ancora i numeri de­ finitivi, ma sarà ancora una volta un record: miglioreremo i risultati dell’anno precedente.

Stiamo parlando di incrementi a una o a due cifre? Siamo nell’ordine di un single digit growth, ottenuto grazie alle ottime perfor­mance soprattutto in alcuni Paesi extra-Ue, mentre in altri – Italia per prima – la situazione permane ancora molto complessa.

La Penisola valeva l’11,3% dell’anno precedente. Adesso è scesa intorno all’8%. In un contesto in cui i consumi interni di beni durevoli stanno decisamente diminuendo – solo le auto hanno perso il 50% del loro mercato ante-crisi – anche noi non potevamo risentirne. Per fortu­na cresciamo in Asia e Brasile, e manteniamo le nostre posizioni in Usa, Uk, Germania e Francia. La somma di queste variabili ci consegna un risultato in crescita.

Anche su questo fronte non siamo, quindi, messi benissimo. Devo dire che personalmente sono ottimista sul futuro del Paese, anche se que­sta mia convinzione si basa sulla pos­sibilità di poter fare delle scelte che in questa fase non vedo ancora assume­re. Sono convinto che l’Italia sia mi­gliore di quella che oggi fotografano le cronache, solo che si trova immersa in una sorta di interminabile tempesta alpina. Bisogna scongelare questo Paese.

Come? Glielo dico alla prossima intervista (ride).

Immagino che il suo ottimismo, nonché i risultati conseguiti, siano anche il ri­flesso del fatto di trovarvi, da oltre due anni, all’interno di un gruppo come Audi-Volkswagen che, come ha avuto modo di raccontare lei stesso, vi ha dato la possibilità di innescare tutta una serie di sinergie con i tedeschi che vanno dalle economie di scala fino all’adozione di un approccio metodologi­co in linea con il loro piano strategico. Cosa avete dato e cosa avete ricevuto da tale unione? Sarebbe lungo da spiegare ma, volendo semplificare, direi che beneficiamo dell’appartenenza a un gruppo estremamente solido sotto il profilo economico, il che ci consente di occuparci essenzialmente della profittabilità dell’azienda e di dover fare buoni prodotti, senza doverci preoccupare di trovare il capita­le per finanziare le attività. E non è poco. Dopo di che ci troviamo in un conte­sto societario in cui, a fronte di real­tà estremamente remunerative, il pro­fitto non è il fine ma il risultato di un lavoro eseguito con costanza nel lun­go periodo, a fronte di una strategia industriale che ha nella produzione di auto straordinarie il suo obiettivo principale. E per noi, che da sempre realiz­ziamo moto altrettanto speciali, significa parlare la stessa lingua…. Mentre, per quanto ci riguarda, all’interno del gruppo abbiamo portato un livello di cono­scenza su alcune tematiche particolari, come i motori ad altissime prestazioni su cui stanno ragionando in Audi e che potrebbe portarci a lavorare in futuro a stretto contatto. In più, siamo portatori, a livello di brand e di prodotto, di una componente emotiva e creativa che viene molto apprezzata.

Perché il 2015 dovrebbe essere per Ducati, come si dice, un anno boom? Perché coinciderà con il lancio dello Scrambler e di tutte le attività correlate, che si va ad aggiungere alle nostre nuove proposte per le sei ricche famiglie di moto già in produzione.

Le passioni di Claudio Domenicali

Internazionalizzazione e continuo sviluppo del prodotto sono i pilastri della vostra impostazione strategica. Come li state costruendo? Creando filiali dirette in tutti i Paesi importanti al mondo (attualmente le Ducati sono commercializzate in oltre 80 Paesi, ndr), che possano meglio fronteggia­re mercati complessi come India e Brasile, per non parlare della Cina. Creando uno stabilimento di proprietà in Thailandia e servendoci di un service provider in Brasile. Tutte aree in cui abbiamo già raccolto dimostrazioni positive su un marchio storico come il nostro e che ha nella tecnologica e nel design dei pro­pri prodotti i punti di forza.

È vero che investite il 10% del vostro fatturato in innovazione del prodotto? Grosso modo sì, anche se si tratta di un dato complesso perché somma diver­se voci. Vero è che nella nostra storia non abbiamo mai investito in R&S tanto quanto in questo momento. Ed è un dato destinato a crescere.Si tratta di un input che viene da Audi o è una strategia che vi eravate ripro­messi da tempo in Ducati? Per quanto mi riguarda, ho un convincimento in proposito. Ed è che nessuna azienda con sede produttiva in Europa o negli Usa possa pensare oggi di ave­re un futuro se non si dota di una capacità di sviluppo del prodotto straordina­riamente superiore alle imprese che possono essere fondate in Asia in questo momento. Proprio perché gravati da un welfare che comporta una serie di van­taggi, certamente importanti e che per di più noi intendiamo far crescere per i nostri dipendenti, ma che costituiscono un costo non indifferente per il conto economico, dobbiamo realizzare prodotti il cui prezzo superiore alla media sia premiante per tutta una serie di plus che sono in grado di offrire rispetto a quel­li realizzati da altri brand in territori extra-europei: la competizione sul prezzo sarebbe la nostra fine. In più, viviamo in un momento storico straordinariamen­te interessante ma anche pericoloso, perché i prodotti diventano obsoleti in un breve arco temporale, e per non uscire dal radar di chi è disposto a spendere, bisogna rimanere costantemente in contatto con le novità tecnologiche. Se per lo Scrambler questa spinta è meno urgente, per le Ducati invece si tratta di un elemento essenziale perché possiamo permetterci di offrire un prodotto magari più costoso, ma in grado di garantire un’esperienza di guida straordinaria. Ecco perché, appena arrivata, Audi ci ha indicato di investire in innovazione tecno­logica. Ovviamente noi non ce lo siamo fatti ripetere due volte.

In quale direzione vi state muovendo? Si tratta di informazioni riservate, posso però accennarle a grandi linee che il tema del momento è come utilizzare l’elettronica per rendere più intelligen­te il funzionamento della meccanica. Per esempio, da febbraio avremo in pro­duzione il nostro nuovo Multistrada 1200, una sorta di Suv delle due ruote che unisce alla buona capacità di carico – può essere utilizzato per andare in va­canza piuttosto che sullo sterrato o in città – delle doti proprie di una moto sportiva, grazie anche al sistema di controllo elettronico della fasatura del mo­tore. Come dire: quando occorre andare piano, funziona come fosse una Pan­da, e quando bisogna andare forte si trasforma in una Ferrari. Stiamo adottan­do tecnologie provenienti dal mondo dell’aeronautica e dell’informatica, il cui costo fino a qualche anno fa sarebbe stato proibitivo. Unitamente stiamo lavo­rando per ridurre l’impatto sull’ambiente delle emissioni delle moto, così come entro il 2018 ridurremo del 25% quelle di CO2 dello stabilimento di Borgo Pa­nigale.

Quante delle vostre innovazioni applicate alle moto su strada arrivano diret­tamente dal mondo delle corse? E quanti dei vostri investimenti in MotoGp e Superbike si trasformano in mera promozione del marchio? Difficile stabilire una simile proporzione. Una cosa è però assodata: Duca­ti non avrebbe i prodotti che ha se non avesse sostenuto la ricerca durante le competizioni. Per esempio: l’ultimo sistema, che presenteremo alla stampa con il lancio della nuova Panigale 1299, di scalata automatica del veicolo, svilup­pato interamente per il mondo delle competizioni, sarà reso disponibile per i nostri clienti. Le competizioni hanno indubbiamente queste due gambe: da una parte il marketing, o meglio la community, cioè l’engagement dei nostri appassionati, dall’altro l’esperienza dell’innovazione tecnologica spinta ad al­tissima velocità.

Lei sostiene che anche il vostro modo di fare impresa sia innovativo. E, infat­ti, recentemente è stato annunciato uno storico accordo con i sindacati. Ol­tre ad avere recepito la carta dei diritti dei lavoratori Volkswagen, l’intesa pre­vede – per una parte dell’azienda – turni di sette giorni su sette con 30 ore di lavoro a settimana retribuite come se fossero 40, in più avete aumentato gli investimenti destinati allo stabilimento e sono previsti nuovi posti di lavoro. Così facendo, dite di voler trasformare i vostri dipendenti da costo in risorsa. Mi spiega come? Considerare le persone che lavorano in un’azienda una risorsa e non un costo è essenziale per avere un’attività di successo, perché nella maggior parte dei casi – e in Italia abbiamo ampi margini di miglioramento in que­sta direzione – le persone non sono messe nelle condizioni di dare quan­to potrebbero. Esiste tutta una serie di problematiche politiche, organizza­tive, storiche e culturali che, considerando i dipendenti alla stregua di un puro costo, spingono le aziende a pagarli meno che possono. E i rappor­ti tra sindacati e Confindustria in tutto ciò hanno grandi responsabilità, in quanto sono emblematici di come non dovrebbero essere condotte le ne­goziazioni. Eppure, mi sto convincendo sempre più che se ci attivassimo tutti nel generare una sorta di spirito imprenditoriale anche nei dipenden­ti – quindi non solo a livello dirigenziale – crescerebbe proporzionalmen­te la nostra capacità di sviluppare, produrre e commercializzare prodotti ad alto valore aggiunto, generando di fatto un profitto supplementare per l’azienda destinato a essere ridistribuito a tutti i livelli (l’accordo tra Du­cati e sindacati prevede non a caso il raddoppio del premio di produzio­ne e bonus a chi contribuisce a produrre di più e meglio, ndr). Agli inizi del ‘900 Giovanni Giolitti era teso a far aumentare i salari per far cresce­re i consumi e, di conseguenza, la produzione industriale. A nostro modo intendiamo lavorare nella stessa direzione, riconoscendo ai nostri dipen­denti premi di produzione equiparabili a quelli medi tedeschi. Il tutto sen­za intaccare la competitività aziendale, ma generando un circolo virtuoso che sappia mettere in moto un solido processo di miglioramento.

Che tempi vi siete dati? Non abbiamo alcuna fretta, procediamo col passo lento ma costante del mon­tanaro… Sono cambiamenti culturali: non penso che un modo di fare impresa durato 50 anni possa essere rivoluzionato in cinque giorni, ma il processo evo­lutivo è già innescato.

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