La banca del fare

Parla Mario Ciaccia, amministratore delegato della Biis: l’unico istituto che finanzia infrastrutture. «Sosteniamo grandi opere perché è un affare anche per i privati, ma quello che serve sono certezze e condivisione degli obiettivi». La proposta: cambiare il codice degli appalti. Così…

«L’economia non può camminare che sulle gambe delle infrastrutture». Questo è il mantra di Mario Ciaccia, amministratore delegato di una banca che pochi conoscono eppure sta assumendo un’importanza capitale per lo sviluppo del Paese. Non fa credito al consumo, non dà Bancomat né libretti degli assegni. Si chiama Biis ed è controllata da Banca Intesa. Biis è l’unico istituto bancario italiano specializzato unicamente nel finanziamento delle grandi infrastrutture. Ponti, strade, ferrovie, porti, grandi centrali energetiche: tutto quello che serve per lo sviluppo infrastrutturale del Paese, Ciaccia lo finanzia. In Italia la Biis è presente in operazioni del valore complessivo di 20 miliardi di euro, e all’estero per altri 10 miliardi.

Tanto per capire, dottor Ciaccia, in quale opere è presente la Biis?In Italia, solo per citare le più importanti: le reti ferroviarie transeuropee, la BreBeMi, la Pedemontana lombarda, la Salerno-Reggio, i principali termovalorizzatori, il Porto vecchio di Trieste, il Porto di Genova e il Grande raccordo anulare di Roma.

Primo dubbio. Normalmente si pensa che il finanziamento delle opere pubbliche possa avvenire solo con soldi pubblici. Perché voi privati vi siete messi a finanziare le grandi infrastrutture?Beh, la prima risposta è: perché i privati ci possono guadagnare. I vantaggi vanno al privato fruitore delle opere, al privato che progetta, a quello che costruisce e a quello che finanzia, come noi. E i numeri del nostro bilancio semestrale lo dimostrano. (I ricavi a 140 milioni, più 10%, risultato della gestione operativa a 108 milioni, più 15,5%, e risultato netto a 59 milioni più 22% e raddoppio degli impieghi arrivati a 4 miliardi, ndr). Qualche tempo fa il presidente degli Usa Barack Obama ha detto che l’America avrebbe bisogno di una banca per le infrastrutture sottintendendo che dovrebbe essere finanziata da soldi pubblici. Io dimostro che le opere le possono fare anche i privati, guadagnandoci.

Chi sono i suoi concorrenti?Biis è la prima e unica banca dedicata alle infrastrutture e quindi non ho concorrenti. In questo senso mi piace definirla una “banca del fare”. Ma la verità è che io non posso avere concorrenti perché quando si tratta di realizzare un’opera infrastrutturale, che costa magari miliardi di euro, non ci sono concorrenti, ma solo partner. E, in questo senso, i miei partner sono, per esempio, la Cassa Depositi e Prestiti e i grandi fondi d’investimento anche loro interessati a remunerare il capitale quando investono. Ma, vede, il problema non è guadagnare, il problema è il sale, ciò che dà sapore al piatto.

Cos’è il sale?Il sale delle infrastrutture si chiama certezza. Ed è ciò che ci manca: la certezza nell’ordinamento che sovrintende gli investimenti in infrastrutture. Nel momento in cui lo Stato non può, giustamente, indebitarsi per spendere in grandi opere pubbliche, noi chiediamo una sola cosa: la certezza sia del diritto che dei tempi, che delle regole.

Mi faccia un esempio di un’incertezza che danneggia gli investimenti.I tempi, il cambiamento delle carte in tavola, la valutazione dell’impatto sul territorio che ha tempi e costi biblici. Viviamo in un clima di eterna incertezza soprattutto adesso che si sono moltiplicati i livelli decisionali sul territorio consacrati dalla riforma del Titolo Quinto della Costituzione. Spesso quando si tratta di costruire opere pubbliche di rilievo, non si va alla ricerca del necessario consenso, ma a caccia dell’approvazione di tutti. E questo rende difficilissimo lavorare nel settore delle infrastrutture.

All’estero è diverso?Le racconto un aneddoto. Ero con il ministro delle Infrastrutture del Cile con il quale stavo discutendo di possibili investimenti della Biis. Quando io gli chiesi di avere tempi certi e pochi ostacoli burocratici, lui si alzò dalla sua poltrona e mi disse: quello dei tempi è un problema vostro, ma se qualcuno prova a ostacolare un’opera di interesse nazionale diventa un problema mio. E lo disse con gli occhi di chi non ammette repliche. In altri Paesi, insomma, quando la politica ha deciso di compiere un’opera, quell’opera diventa di interesse nazionale e tutti sono impegnati a realizzarla. In Italia nessuno fa un discorso di questo tipo.

E oltre alle certezze, cosa manca in Italia?Oltre a una giustizia lenta, che danneggia gravemente l’attività imprenditoriale, bisogna porre la massima attenzione a non perdere la fiducia degli investitori. Credo sia arrivato il momento, per esempio, di rivedere il codice degli appalti in modo che si possa andare a gara con un progetto esecutivo e non con i preliminari; si brucerebbero molti tempi morti. Nella riforma bisognerebbe prevedere l’obbligo per il soggetto promotore di avere una copertura finanziaria dell’opera che presenta in modo che chi si prende l’onere di finanziarla sia obbligato a farlo in caso di vittoria, e non conceda solo un generico assenso.

Se la Biis fosse una banca apolide, senza radici stabili in Italia, se fosse una banca che viene da Marte e dovesse decidere dove andare a investire, quali Paesi sceglierebbe?Sceglierei i Paesi in via di sviluppo come Brasile, e America Latina, dove, tra l’altro, siamo già.

Finanzierebbe la costruzione di centrali nucleari in Italia?Io credo molto nell’evoluzione delle energie rinnovabili, ma aggiungo subito che non possono essere la risposta totale al problema energetico. Oggi in Italia il business delle biomasse, per esempio, genera un giro d’affari di 4 miliardi di euro e la Biis ha investimenti in questo settore per un miliardo e questi sono fatti. Dopodiché io non mi appassiono al dibattito nucleare sì o nucleare no: l’economia non è piatta e credo che tra un paio d’anni ricomincerà a correre e le energie tratte dalle fonti tradizionali non saranno in grado di sostenere questa galoppata. Quindi occorre diversificare anche con le rinnovabili che richiedono, tra l’altro, investimenti notevoli per adeguare le reti di trasmissione. Ma credo anche che alla fine ogni Paese intraprenderà la propria strada autonoma: chi puntando di più su una fonte chi su un’altra, senza tralasciarne nessuna. Noi siamo pronti ad accompagnare l’Italia in questo percorso.

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