Inseguendo la gomma

Studente modello, dopo un tour di istruzione in Europa, Giovanni Battista Pirelli riesce a realizzare il suo sogno e creare una fabbrica per la lavorazione della gomma. Che diventerà poi celebre per l’omonimo marchio di pneumatici

All’inizio della storia della Pirelli, tuttora uno dei nomi più prestigiosi e conosciuti dell’industria italiana, c’è un po’ di Giuseppe Mazzini. Si, proprio lui, il fondatore della Giovine Italia che cercò, senza successo, di dare un’impronta repubblicana al processo di unità nazionale e oggi guarda torvo gli studenti dalle pagine dei libri di storia dedicate al Risorgimento. Ma che cosa e come c’entra Mazzini? Per spiegarlo bisogna andare a Varenna (Lc) nel 1848 dove nasce, da un padre mugnaio e da una madre possidente, Giovanni Battista Pirelli. Siamo nel Lombardo-Veneto ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico su cui regna Francesco Giuseppe. Il giovane ha una spiccata propensione per la tecnica, così dopo le scuole primarie e il liceo si iscrive a un istituto di Pavia e poi, nel 1865, all’Istituto tecnico superiore di Milano, quello che in seguito diventerà il Politecnico. È un buon allievo, malgrado affianchi agli studi un’attività extrascolastica particolare: nel 1865, a 17 anni, è sui campi di battaglia del Trentino con Giuseppe Garibaldi e le sue camicie rosse; due anni dopo lo troviamo a Mentana a scontrarsi contro le truppe pontificie alleate dei francesi sempre a fianco dell’eroe dei due mondi che voleva cacciare il papa Pio IX da Roma. Tutto questo evidentemente non agisce in modo negativo sul suo rendimento perché nel settembre del 1870 si diploma a pieni voti. E qui entra in scena Mazzini. Amico della nobildonna Teresa Berra Kramer, le suggerisce di istituire una borsa di studio per finanziare viaggi di approfondimento all’estero di giovani particolarmente meritevoli. Pirelli vince la borsa da 3 mila lire e da questa esperienza nasce l’idea di quella che sarebbe diventata negli anni la grande industria della gomma, dei cavi, e soprattutto dei pneumatici. Il suo tour di apprendistato inizia nel novembre del 1870, dura un anno e lo porta a visitare le realtà più importanti della grande industria europea che l’Italia, di gran lunga più arretrata, guardava con ammirazione. In particolare le attenzioni del giovane Pirelli, su indicazione dei suoi professori, si concentrano sulla produzione della gomma, allora agli albori e del tutto assente da noi: dunque potenzialmente un buon business da importare per assoluta mancanza di concorrenza. Bisogna riflettere un attimo su questi primi passi di Pirelli: un giovane studente di buon livello viene finanziato per andare all’estero per perfezionarsi, ma anche per trovare spunti, idee imprenditoriali da riportare in patria e sviluppare. Stiamo parlando di qualcosa che è successo più di un secolo fa, ma è modernissimo: è il modello – vincente – applicato dalle migliori università inglesi e americane e, successivamente, imitato dai giapponesi e adesso dai cinesi. Un qualcosa di cui nell’Italia di oggi si è persa traccia. Il viaggio Di questo viaggio all’estero Pirelli tiene un diario annotando a mano le sue esperienze, le sue impressioni su un quaderno a quadretti. Questo diario sarà poi ritrovato, molti anni dopo, tra le macerie dello stabilimento milanese di via Ponte Severo distrutto dalle bombe nel 1943, da un’operaia del gruppo che, alla sua morte, lo lascerà in eredità al Duomo di Monza nella cui biblioteca è ora conservato. La prima pagina di quel quaderno è datata Coira (in Svizzera) 6 novembre. Pirelli visita138 stabilimenti di ogni tipo in Svizzera, Germania, Francia, Belgio. Sempre cercando di arrivare al vero oggetto del desiderio: l’industria della gomma della quale è determinato a scoprire i segreti. E passo dopo passo si avvicina, anche se è una marcia difficile, un corteggiamento tormentato. Scrive lo stesso Pirelli a un amico, Ettore Paladini: «Dopo averle fatto la corte in tutti i modi possibili, son finalmente riuscito a farmi presentare a quella riottosa madamigella che è l’industria del caoutchouc. Ciò è successo a Mannheim. Presentazione – quattro parole – un giro nella sale e poi la m’è scappata; tanto che più in là dell’acconciatura del capo non son arrivato colle mie osservazioni. Spero di rivederla a Berlino». Ma non va così. Neppure a Berlino la madamigella si mostra più accessibile: la intravede, ma non riesce ad avvicinarla, a conoscerla, a leggerne il cuore. Le cose vanno meglio a Parigi dove Pirelli arriva nell’agosto del 1871. La Ville lumière è più disponibile a svelare i propri segreti commerciali e industriali, si concede con maggior facilità degli spigolosi tedeschi. Sembra anzi ben contenta di esibire i propri successi. Qui c’è l’incontro con due personaggi destinati ad avere un ruolo importante nel futuro del giovane viaggiatore: Antoine-Aimé Goulard e François Casassa, entrambi imprenditori, precursori proprio in quel settore che tanto incuriosisce Pirelli. Scrive nel diario a proposito della sua prima visita all’azienda di Casassa a Charenton, specializzata nella produzione di articoli di gomma: «È una piccola fabbrica. Il signor Casassa da operaio abile poté in poco tempo montarsi una piccola officina, la quale poco a poco divenne quello che è oggi guadagnando in una dozzina d’anni una mezza fortuna». Ci siamo. L’intuizione originaria, la teoria che lo ha portato a inseguire per mezza Europa le tracce dell’industria della gomma, ha conferma empirica sul campo della sua fondatezza: quel settore può essere un affare. Le ragioni finanziarie nell’autunno del 1871 riportano Pirelli in un’Italia appena unificata (Roma è diventata capitale del regno a luglio), arriva a Milano arricchito da tutto quanto ha imparato nel suo pellegrinaggio. Il ritorno Ha l’idea giusta, la preparazione tecnica necessaria e una grande voglia di affermarsi. Gli manca un elemento altrettanto essenziale: i capitali per lanciarsi nell’impresa che vuole a tutti i costi far nascere. Ma nemmeno questa difficoltà lo ferma. Incontra alcuni personaggi della buona e abbiente borghesia milanese (probabilmente sono ancora una vota i suoi professori e la stessa Berra Kramer a creare questi contatti), riesce a convincerli della validità della sua scommessa e ottiene i finanziamenti. Non molti, ma quanto basta per partire. Così il 29 gennaio del 1872 viene fondata la società in accomandita G.B. Pirelli & C. di cui l’ingegnere ventiquattrenne è nominato gestore. Per prima cosa, con i fondi ottenuti, acquista un terreno alla periferia di Milano e costruisce una piccola fabbrica specializzata nella produzione di articoli in gomma. È al suo fianco, come direttore tecnico, quel monsieur Goulard che ha conosciuto pochi mesi prima nel suo girovagare fra gli stabilimenti di mezza Europa. Ma è un sodalizio che dura poco: il francese si mostra inadatto a gestire la nuova realtà, forse non regge il passo del giovane neoimprenditore. Fatto sta che nel giro di nemmeno un anno Pirelli prende il comando assoluto. Nel 1922, in occasione del cinquantenario, uno storiografo ufficiale dell’azienda darà una spiegazione ben diversa: «Allora il Capo della nostra Ditta, affrontando risolutamente la situazione, assunse su di sé anche la direzione della fabbrica, si trasformò in tecnico e, coadiuvato da uno dei suoi primissimi impiegati, il signor Emilio Calcagni, s’impegnò a riportare a galla la nave che minacciava di naufragare». La Pirelli cresce, si consolida e pensa a espandersi, a lanciarsi in nuove produzioni. Ma è sempre (costante di tutta la storia imprenditoriale italiana) a corto di capitali. Così si apre a nuovi soci e uno fra i primi a entrare è ancora una conoscenza del suo viaggio in Francia: l’industriale François Casassa. Che porta denaro fresco e, soprattutto, tecnologie. Una in particolare: quella dei conduttori elettrici e dei cavi sottomarini. Questa nuova attività ha subito un grande successo in un’Italia che incomincia a conoscere i primi segni di crescita economica con l’avvio dell’elettrificazione e delle telecomunicazioni. Per la posa dei cavi telegrafici sottomarini, nel 1896, viene aperta un’apposita succursale vicino a La Spezia, primo stabilimento del genere dell’Europa continentale e viene costruita una nave posacavi, la “Città di Milano”. È invece solo alla fine del secolo che la Pirelli si lancia in quella produzione che l’avrebbe poi resa famosa in tutto il mondo, i pneumatici.Nel 1905 due degli otto figli di Pirelli, Piero e Alberto, lo affiancano ai vertici dell’azienda di famiglia. Entrambi dopo aver ripetuto l’esperienza formativa del padre, dopo aver cioè aver fatto un viaggio di apprendistato all’estero per capire da che parte tira il vento del capitalismo. Alberto in particolare viene mandato ad Akron, nell’Ohio, per vedere come gli americani producono la gomma. Scrive al padre nel 1905: «Caro padre, nel visitare questi stabilimenti in America ho sognato di poter rimodernare il nostro. Di poter costruire dei bei saloni grandi e non dei bugigattoli, di poter aumentare assai la produzione e raggiungere le belle cifre che fanno qui. A questo punto sono pieno di progetti, e non vedo l’ora di parlartene». L’area Bicocca È uno soprattutto il progetto di cui Alberto parla con il padre: un nuovo stabilimento seguendo il modello dei grandi impianti industriali ammirati in America. Giovanni Pirelli si convince e si parte per realizzarlo. Primo passo: trovare i mezzi finanziari e a questo si provvede con l’emissione di un prestito obbligazionario per 10 milioni di lire, cifra imponente per l’epoca. Secondo passo: individuare un’area sufficientemente estesa non troppo lontana dal centro di Milano per realizzare un impianto delle dimensioni cui i Pirelli pensano. C’è una pagina della storia aziendale che ricorda come il più moderno stabilimento dell’Italia dell’epoca nasce da un viaggio in calesse. A raccontare è Antonio De Vecchi, cocchiere della Ditta Pirelli: «Non ricordo bene se fu il 1906 o il 1907, era un’estate estremamente afosa, un pomeriggio ebbi l’ordine di preparare il calesse di casa Pirelli. Il Dottor Alberto mi disse di portarmi fuori nelle campagne di Prato Centenaro. Con lui montarono il Calcagni e l’ing. Emanueli padre, parlavano di terreni da vedere per costruire uno stabilimento nuovo. Poco più in là c’era il castello detto La Bicocca contornato da qualche cascinotto dove i contadini tenevano i loro arnesi. I tre dirigenti scesero e si inoltrarono in mezzo a una grande estensione di prati delimitati a tratti da filari di gelsi. Rimasi in attesa col mio cavallo. Quando ritornarono capii che avevano deciso di comperare quel terreno». Nasce così la grande fabbrica, la città-industria della Bicocca che per decenni si identifica con l’esponenziale crescita della Pirelli, così come il Lingotto prima e Mirafiori poi con quella della Fiat. Il fondatore resta ancora alla guida della sua azienda ogni anno sempre più simile a un impero industriale-finanziario. Diventa senatore del regno nel 1909 e da questa sua posizione non esita a polemizzare, durante la prima guerra mondiale, con il presidente del Consiglio, Antonio Salandra, al quale scrive una lettera di fuoco dicendo apertamente che alcune delle aste per forniture indette dall’esercito e dalla marina sono truccate: «…mi sembra che la situazione reclami uno di quei particolari provvedimenti nei quali Ella è maestro di tatto e di misura, che comminando a corruttori e corrotti pene eccezionali può spazzare via questo grande marcio che svaligia lo Stato». Non si sa che cosa risponda Salandra. Si sa che la grande guerra dà un nuovo impulso alla Pirelli che continua a crescere. Il fondatore, che intanto diventa il primo presidente della Confindustria, continua a seguire la sua creatura, anche se non più operativamente, fino alla fine, nel 1932.

Momenti clou

27 dicembre 1848

Giovanni Battista Pirelli nasce a Varenna (Lc)

1870

Avvia un tour di apprendistato presso le realtà più importanti dell’industria europea

1872

Fonda la società G.B. Pirelli & C., di cui è nominato gestore

1877

Accoglie nel capitale sociale François Casassa e l’azienda si espande verso il mercato dei conduttori elettrici e dei cavi sottomarini

1890

Dà il via alla produzione di pneumatici

1905

È affiancato ai vertici dell’azienda da due degli otto figli, Piero e Alberto

1909

Diventa senatore

20 ottobre 1932

Giovanni Battista muore a Milano

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