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Il lusso è nei dettagli

Entusiasmo e generosità. Sono queste le doti migliori del capitano d’impresa per Roberto Serafini, direttore generale di L’Oréal Luxe. La chiave del successo anche in tempi di crisi? L’attenzione al particolare. E la perseveranza nel credere nei sogni

Roberto Serafini ha il mito del micro-management, ovvero l’attenzione e la cura maniacale dei dettagli in ogni aspetto del proprio lavoro, soprattutto per quel che riguarda il contatto con i clienti. Del resto, Serafini lavora da 19 anni in una multinazionale che proprio grazie al personal care è diventata il brand per antonomasia della cosmetica. Dopo essersi specializzato nel canale farmaceutico, il manager milanese guida da due anni la divisione lusso, che comprende marchi del calibro di Yves Saint Laurent, Giorgio Armani, Lancôme e l’americano Kiehl’s. La crisi morde, ma non abbastanza da fiac-are il settore. E tanto meno lo spirito di Serafini, che oltre a credere nel valore intrinseco del prodotto, lavora per convincere i propri collaboratori che in ogni mercato, ancor più del prodotto, la differenza la fanno soprattutto gli uomini (e le donne) sul campo.

Dopo tre anni di crisi e uno di recessione per il nostro Paese, due dei quali da lei trascorsi peraltro al vertice della divisione Luxe di L’Oréal, quali crede siano gli ingredienti fondamentali del fare management oggi?

Un grande manager è prima di tutto un grande leader. Un capo carismatico, forte, riconosciuto, è un capo capace di trascinare tutti, lanciare sfide, indurre gli altri a credere in un progetto e realizzarlo. Anche il carattere penso che giochi un peso non trascurabile. Ma non basta. In L’Oréal, per esempio, è molto premiata la resilienza. Io credo molto nella generosità. In un mondo sempre più complesso ci vuole molta energia e molto coraggio per vincere, ma tutto questo non è sufficiente. Senza uno spirito aperto, altruista, un manager è solo. Per vincere le sfide anche il più bravo da solo non può riuscire. In merito alle competenze, invece, marketing e commerciale oggi sempre di più si fondono, e sono un must per tutti quelli che vogliono raggiungere posizioni di vertice.

In un contesto economico come l’attuale, diventa sempre più complesso riuscire a trovare formule adatte a motivare collaboratori e agenti. Su cosa bisognerebbe puntare per ottimizzarne i risultati: premi di produzione, maggiore autonomia gestionale, riformulazione delle figure aziendali…

Motivazione… io preferisco parlare di credo. Sa una cosa? Ho una squadra di grande valore, posso dirmi fortunato. Oltre 300 persone che ogni giorno si battono come leoni. Un bel mix di esperienza e freschezza: tante persone che hanno reso grande questa L’Oréal Luxe, ma anche molti giovani talentuosi, entrati recentemente in azienda con tanta voglia di fare. Credo tantissimo nella forza del team e in due valori che nella vita, non solo professionale, sono per me fondamentali: l’entusiasmo e la generosità. La motivazione nasce a mio avviso principalmente da questi due elementi. L’entusiasmo è contagioso, la generosità è uno splendido collante.

Cosa ha contribuito maggiormente a formarla come dirigente? E cosa pensa che in questi anni – nello specifico in L’Oréal – abbia favorito la sua ascesa al top management?

La mia fortuna è quella di lavorare in un Gruppo che mi ha offerto grandi progetti in un contesto internazionale sempre molto sfidante. Un’azienda che mi ha emozionato fin dal primo incontro e che mi ha permesso di divertirmi per ben seimila giorni. Dico poco? Per funzionare, io ho bisogno di divertirmi e qui ho trovato tutto per riuscirci: bellissimi marchi, grandi progetti, gente straordinaria, capi capaci. Alcune sfide, ripensandoci, sono state quasi delle scommesse. Mi ricordo ancora quando il mio capo di allora nominò, me, che fino ad allora mi ero occupato solo di marketing, direttore commerciale. Anche la mia recente nomina a direttore generale di L’Oréal Luxe Italia, dopo 17 anni nel canale farmacia, non era per nulla scontata. Ho dato tanto a questo gruppo, ma ho anche ricevuto tanto. Un rapporto alla pari, per questo è un bel rapporto. C’è tanta stima da una parte e tanta riconoscenza dall’altra. A me piace L’Oréal perché è un gruppo che premia l’iniziativa e il coraggio: Sir Lindsay Owen Jones, il nostro presidente per oltre 20 anni, ci ha sempre suggerito di essere un po’ poeti e un po’ contadini: intuito, immaginazione e creatività uniti a pragmatismo, concretezza, vicinanza al consumatore e alla distribuzione. Mi ci ritrovo in pieno, davvero.

Fissare un appuntamento con lei non è stato semplice: lei è un manager “itinerante”, spesso fuori sede e a contatto diretto con il canale. Oggi lavorare sul campo, ascoltare con le proprie orecchie le voci del mercato è diventato altrettanto importante rispetto allo studio di dati, statistiche, performance. Ciò presuppone il sorgere di una nuova managerialità?

Da sempre sono un cultore del “micro-management”. L’ho praticato fin dagli esordi, senza sapere che molti anni dopo avrei incontrato chi ne ha fatto una teoria… Un giorno, durante un convegno, ho assistito a un intervento di Michael Eisner, l’ex ceo di Disney corp, e ne sono rimasto affascinato, quasi folgorato. Descriveva le notti passate nei suoi alberghi prima della apertura, le visite alle cucine dei suoi ristoranti, le chiacchierate con i suoi dipendenti dei parchi divertimenti. Da questi semplici contatti traeva le sue osservazioni, scopriva difetti di concezione (mitica la storia delle scritte troppo piccole sugli shampoo e bagni schiuma all’interno delle docce), oppure si convinceva del successo che avrebbero avuto i “suoi” prodotti. Nel mio piccolo ho sempre cercato di massimizzare il contatto con i consumatori dei “miei” prodotti. Ma soprattutto ho sempre cercato di stimolare in tutti i miei collaboratori il culto e la passione dei cosiddetti affiancamenti. Per due giorni all’anno ho istituito una giornata che ho battezzato “Tutti Fuori”, in cui invito (in realtà è quasi un obbligo) tutti a uscire per vedere cosa succede lontano dalle nostre scrivanie… succede il 7 gennaio e il 1 settembre, alla ripresa dei lavori, quando riprendere la marcia richiede molto impegno.

Quali sono i margini di azione e di autonomia quando in Italia si lavora per una multinazionale straniera come la vostra?

Una premessa è doverosa: il lusso è un fenomeno mondiale, i grandi marchi del lusso sono “uguali” dappertutto: è proprio questa unicità senza luogo che li rende aspirazionali, quasi inaccessibili. Noi come filiale siamo chiamati a rendere i nostri brand sempre più belli. L’esecuzione di tutto quello che facciamo deve essere impeccabile. Noi vogliamo che l’esperienza che il consumatore vive con i nostri marchi e prodotti sia eccellente: un consiglio esperto, un’accoglienza gentile, un bel merchandising sono importantissimi. In linea più generale, il management che opera in un Paese è veramente in grado di fare la differenza. Per capirlo basta guardare quanto diversi siano i risultati tra le diverse filiali europee, anche quando confrontati nello stesso periodo di tempo. È un esempio che faccio anche con alcuni dei miei collaboratori quando si lamentano per la poca autonomia. È vero, noi non creiamo prodotti, ma possiamo fare scelte fondamentali per il successo o l’insuccesso degli stessi. L’innovazione, la creatività, le intuizioni non sono solo quelle del marketing di sviluppo. Il retail, il trade marketing, le vendite, le relazioni esterne, la logistica: sono tutte funzioni “locali”, che possono fare la differenza, oggi più che mai, sul mercato.

Fermo restando che il prodotto è una variabile indipendente…

In Europa l’industria risponde spesso con prodotti unici, gli stessi per tutti i Paesi. Diverso è il caso per altri mercati più lontani: in Asia, Usa e America latina il nostro gruppo ha laboratori di ricerca specifici, atti a concepire e formulare prodotti specifici, adatti non solo ad abitudini diverse, ma anche rispondenti a bisogni eterogenei. La pelle e i capelli di una donna caucasica, sono costituzionalmente molto diversi da quelli di una donna afro o asiatica. Tornando all’Europa e a noi italiani, capita a volte di chiedere a Parigi formulazioni specifiche. In tema di protezione solare, per fare un esempio, gli italiani chiedono protezioni più basse, e galeniche più abbronzanti, come spray e oli.

La prassi vuole che la comunicazione e il marketing nell’ambito della profumeria giochino soprattutto sull’emozionalità, e sfruttino media classici, consolidati, per parlare al proprio target. Lei si riconosce in questa ricetta o introdurrebbe, almeno per quanto vi riguarda, nuovi elementi e formule?

Per noi il nodo fondamentale è la profumeria. Il valore aggiunto della profumeria è e deve essere il piacere dell’acquisto. Tutte le nostre indagini di mercato ci consegnano il profilo di una donna che chiede di muoversi, guardare, toccare e ascoltare nel punto vendita. In profumeria oltre il 50% degli acquisti non è fatto per necessità. Conta perciò la piacevolezza dell’esperienza che sappiamo offrire, molto più che nei canali concorrenti, che non possono vantare un Dna analogo. Per quanto riguarda i media, si parla tanto di digital, e spesso a sproposito. Io non appartengo alla generazione del social, ho visto nascere la Tv, attraverso la Tv ho visto imporsi i più grandi successi tra i miei prodotti. Il digital oggi è un must nei nostri piani media, impossibile immaginare un flight di comunicazione senza web. Ma è anche vero che è impossibile immaginare un flight 100% web. C’è comunque una recente campagna media a cui abbiamo dedicato oltre il 50% del budget al digital, che ha avuto un ritorno di vendite senza precedenti: è quella dell’ultimo rossetto di Lancôme, Rouge in Love. Abbiamo registrato oltre un milione di visualizzazioni su YouTube, questo significa che il nostro video virale ha lasciato il segno: e con oltre il 10% di quota di mercato rossetti, Rouge in Love è diventato subito numero uno.

L’epoca di sobrietà suggerita o imposta dalle attuali vicissitudini economiche sta imponendo o suggerendo un allineamento anche ai brand della profumeria di lusso, o si tratta di un settore esente da simili influssi? Insomma, il sogno continua a funzionare nel posizionamento dei vostri brand?

Il sogno è tutto nel nostro mondo, lo è da sempre, e oggi con la crisi lo è ancora di più. Il Beauty Barometer e il Lipstick Index lo dimostrano. Durante l’ultima crisi, tra le cose che tirano un po’ su di morale, l’acquisto di cosmetici è una delle più ricorrenti. Quando acquista un prodotto di bellezza, la donna italiana, oltre a risposte concrete e credibili cerca anche dimensioni di gratificazione emozionale (un piccolo piacere subito) con risvolti che possono essere anche esplorativi e ludici, come testimonia la recente esplosione degli smalti. Per quanto riguarda la comunicazione, i mood devono quindi essere rassicuranti, positivi, ma soprattutto credibili e veri.

Se le dico e-commerce, lei cosa mi risponde?

Kiehl’s. La nostra splendida marca newyorkese, che ha recentemente aperto in Italia il suo sito di vendite on line (www.kiehls.it) ed è stato subito un successo. Scommetto che tra i lettori di Business People ci sono molti uomini e donne che hanno conosciuto Kiehl’s nella Grande Mela, imbattendosi magari per caso nel suo negozio nel Lower East Side, dove peraltro è nata 160 anni fa. Per chi abita a Milano o Firenze siamo presenti anche con nostre boutique monomarca, e con un corner nei grandi magazzini (La Rinascente Duomo a Milano, Coin a Firenze). Tra l’altro, proprio per festeggiare un successo mondiale crescente, dal 30 gennaio di quest’anno Kiehl’s ha deciso di abbassare i prezzi di oltre il 50% delle referenze in catalogo, allineandosi ai prezzi inglesi e avvicinandosi a quelli americani. Un modo intelligente per condividere con tutti i suoi consumatori vantaggi economici dovuti alla sua espansione.

Malgrado tutto, il comparto della cosmetica e del personal care sembra resistere agli assalti della crisi. Esiste comunque la possibilità di un ulteriore rafforzamento e di nuove opportunità di business facendo leva proprio sul diverso assetto che sta assumendo il mercato?

In effetti è vero, il mercato dell’igiene e della bellezza ha resistito bene alla crisi, anche se in Europa negli ultimi cinque anni i tassi di crescita sono stati veramente minimi. In questo contesto per la “mia” azienda non resta che guadagnare quote di mercato per crescere. Le nuove grandi opportunità di business comunque nascono sempre dalla ricerca e dai progressi che questa è in grado di fare. Da quasi 20 anni sono in questo mondo e non ho mai visto tanto fermento. Ho la fortuna di lavorare per questo gruppo che da sempre fa della ricerca e sviluppo la sua prima fonte di sviluppo. Oltre 3.600 ricercatori lavorano per rendere la donna (e l’uomo) più bella. Non solo persone col camice bianco che scoprono rimedi contro l’invecchiamento cutaneo o contro la calvizie. Uomini e donne impegnate a creare nuove fragranze, packaging che rispettano sempre più l’ambiente, nuove tecnologie per un make up sempre più seducente e con una più lunga tenuta. Oggi la ricerca è inoltre sempre più attenta ai temi ambientali. C’è poi il tema della sicurezza, della tollerabilità delle formule: sempre più consumatori sono allergici o intolleranti a molti ingredienti e sostanze. E anche se non lo sono, pretendono dai cosmetici più rispetto per la loro pelle e il loro corpo.

Può stilare un bilancio dei suoi primi due anni di attività alla testa della divisione Luxe di L’Oréal?

L’Oréal deve essere sempre di più la guida del mercato del lusso. È questo l’impegno principale del mio mandato, e quello che ho cercato di fare al meglio in questi due anni. Ho incontrato persone fantastiche, imprenditori (i profumieri) seri e preparati. Me lo avevano detto, devo ammetterlo, ma non immaginavo a questo livello. Chiedono a me e alla “mia” azienda un aiuto e un impegno. Un patto che faccia vincere entrambi e il canale in generale. Sono convinto che la profumeria possa dire e dare ancora molto. Da pragmatico sognatore non posso fare a meno di considerare le difficoltà del momento, dall’altro così come non riesco a smettere di credere nel comparto del lusso. I consumatori che vogliono le cose belle e di qualità ci sono sempre: sta all’industria e alla distribuzione soddisfarle. Io rappresento l’industria, e 14 bellissimi marchi, tra cui i francesissimi Lancôme e Yves Saint Laurent, e gli italianissimi Giorgio Armani e Diesel. Credo molto nella forza dei marchi e degli uomini: avendo a disposizione sia gli uni che gli altri, mi è impossibile temere di non farcela.

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Roberto Serafini, milanese,classe 1964. Laureato alla Bocconi in Economia e commercio, è in L’Oréal da quasi vent’anni. In seguito agli esordi in Cirio e in Heineken, entra nel Gruppo francese nel 1993 nella divisione Cosmétique Active e cresce ricoprendo le cariche di direttore marketing e direttore commerciale. In seguito a un’esperienza in Francia,torna in Italia nel 2005 in qualità di direttore della unit da cui era partito. Nel 2010 è nominato d.g. della divisione Luxe