Fiere in attesa dell’Expo 2015

Si definisce un tecnico del sistema fieristico italiano. E di esperienza ne ha fatta da quando nel 1996 è diventato membro del consiglio generale dell’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano in rappresentanza del Ministro per gli Affari Esteri e della Giunta Esecutiva dell’Ente. Corrado Peraboni, manager con un passato politico alle spalle, ha rivestito infatti importanti ruoli a livello internazionale, in ambito associazionistico, e nazionale. Oggi è amministratore delegato di Expocts e direttore generale di Fondazione Fiera Milano, posizioni dalle quali ci offre una panoramica sull’attività di Fiera Milano e sul ruolo di Milano nello scenario economico attuale, e ci dice la sua sull’Expo2015.

In un suo recente intervento ha detto: «Fare oggi una fiera è molto diverso da come era prima (…). Il 32% dei nostri espositori ha come obiettivo principale della partecipazione la comunicazione e non la vendita diretta. Nel caso di grandi aziende la percentuale sale al 50%». Quali sono le altre motivazioni degli espositori?Una volta l’efficacia di una fiera si misurava in funzione degli ordini staccati sul momento. Ora non è più così. Sicuramente vendere è uno degli obiettivi degli espositori, tuttavia oggi è fondamentale anche come strumento di comunicazione corporate, nel quale l’azienda può presentare, oltre al prodotto, la sua capacità di innovazione e di customer care e il suo patrimonio intangibile, rappresentato anche dai vari collaboratori. E poi la manifestazione è un’occasione fondamentale per fare networking al di fuori del contesto puramente lavorativo.

In che modo le diverse motivazioni hanno cambiato il modo di organizzare le fiere?In passato era sufficiente garantire un’efficienza dei servizi di base, quindi stand con un layout adeguato, padiglioni puliti e facilmente raggiungibili, servizi di comunicazione efficienti. Adesso è necessario arricchire le fiere con contenuti. È diventato molto pregnante il momento informativo con convegni, focus, tavole rotonde e tutto ciò che può dare un’opportunità di crescita e di approfondimento sul settore. Altro aspetto di fondamentale importanza è l’internazionalità.

Cosa comporta ciò?Se prima avevamo una sorta di Champions League e i Campionati Nazionali, adesso poche fiere giocano la Champions League, tutte le altre rimangono vincolate all’ambito macroregionale. Ad oggi le manifestazioni italiane, a eccezione di Saloni del mobile, Bit e poche altre, non sono prime nei rispettivi settori e il nostro tasso di internazionalità di espositori e visitatori è molto inferiore a quello dei competitor, per esempio tedeschi.

Il fatto che il tasso di internazionalizzazione sia così basso è determinato dalla frammentazione di manifestazioni italiane?Ci sono anche motivi storici. Numerose manifestazioni italiane sono nate dall’iniziativa delle associazioni di categoria. Questo ha rappresentato un fattore di accelerazione per il loro consolidamento. Ma non tutte sono state in grado di fare il salto e diventare rappresentative a livello globale. Inoltre, mentre i quartieri fieristici stranieri storicamente avevano anche la proprietà delle manifestazioni, questo in Italia è vero da pochissimo tempo. Noi oggi possediamo circa il 50% delle manifestazioni organizzate a Milano, ma fino a qualche anno fa il valore era inferiore al 20%. Con la quotazione in Borsa e la creazione della Fondazione abbiamo iniziato tutto un processo di acquisizioni tale per cui oggi disponiamo di numerose manifestazioni e possiamo anche portarle oltre confine. Infine c’è anche una ragione di politica industriale. All’estero le fiere sono state utilizzate dallo Stato come strumento per portare le imprese fuori dai mercati nazionali. In Italia questo non è avvenuto.

Vede la possibilità che i quartieri fieristici facciano qualcosa di concreto insieme per promuoversi a livello internazionale?Tutti i tentativi fatti finora non hanno avuto esiti felici. Tant’è che noi ci siamo mossi da soli. Abbiamo creato una società partecipata con la Fiera di Hannover per organizzare diverse manifestazioni in Cina e abbiamo già chiuso, ma non è ancora costituita, un’altra joint venture con Hannover in India, Brasile e Russia dove deterremo la maggioranza della società. I quartieri fieristici italiani procedono in ordine sparso. Finora non hanno creato momenti strutturati di internazionalizzazione, ma hanno preferito legarli a singole manifestazioni.

Quali sono i punti di forza del sistema fieristico milanese?Il fatto di trovarsi al centro di alcuni dei distretti industriali o di servizi cruciali per il Paese. Non è un caso che il salone del Mobile si faccia a Milano, a due passi dalla Brianza, oppure che la moda trovi qui la sua collocazione in quanto nel capoluogo lombardo sorgono 800 showroom, quasi il triplo di quelli che ci sono a Parigi. In questo senso è paradossale il fatto che Milano non riesca a ritagliarsi uno spazio più significativo nella moda. Anche le infrastrutture sono importanti: non si può giocare la Champions League dove non si ha uno stadio adatto. Il nostro polo fieristico ci permette di giocare la Champions League.

Tuttavia Fiera Milano è un’eccezione in Italia.Negli ultimi anni abbiamo però fatto dei passi significativi in avanti. L’Italia è diventata un interlocutore importante dal punto di vista associativo per merito dell’azione congiunta dei quartieri di Milano, Bologna, Rimini e Verona. Lo dimostra il fatto che sono stato per due volte presidente di Ufi (Unione fiere internazionali) e oggi sono vice-presidente, mentre Verona ha la vicepresidenza mondiale.

Quali sono le priorità che l’Italia porta avanti nell’Ufi?Il settore è molto variegato a livello internazionale, spesso si parlano linguaggi differenti – è diverso, per esempio, il modo di contare i visitatori delle manifestazioni e i metri quadrati espositivi – e quindi si fatica a dare credibilità alle fiere come strumento di marketing. Ecco perché è fondamentale uniformare il linguaggio. Un’altra priorità è la condivisione delle best practises.

Cosa possono condividere gli italiani?Un po’ tutti i quartieri fieristici hanno fatto enormi passi avanti, anche se, purtroppo, continuiamo a essere carenti sotto il profilo dell’integrazione tecnologica. Dopo il web 2.0 il prossimo step sarà la tracciabilità del visitatore, che introdurremo nella Bit del 2010. Questo sistema offrirà all’espositore la possibilità di sapere se un buyer è passato dal suo stand e per quanto tempo si è fermato. Certamente per noi si tratta di un costo aggiuntivo ma anche di un servizio di grande utilità per il nostro cliente.

Ha parlato di web 2.0. Nell’ultimo Bit avete deciso si approcciare la web generation con uno strumento come BitChannet.it. Ritiene che un’evoluzione simile possa coinvolgere altre manifestazioni?Siamo partiti con il turismo e la Bit perché è uno di quei settori dove l’impatto del web è stato più significativo sulle logiche tradizionali. Basti dire che quest’anno, per la prima volta anche in Italia, le prenotazioni on line hanno superato quelle off line. È così che è nato BitChannel, che ha avuto 60 mila visitatori unici anche in agosto, e tutto il processo del BitAward è stato portato interamente sul web. Dal 2010 gli stand della fiera si arricchiranno di strumenti multimediali. Ma è solo l’inizio, ogni manifestazione dovrà avere un’integrazione con Internet.

In che modo?Nella moda utilizzeremo il web per rendere permanenti le sfilate nei periodi in cui la manifestazione è chiusa. Nel caso delle fiere più di business lo useremo per preorganizzate on line tutti gli incontri e le agende. L’integrazione tra on line e off line ci permette di intercettare una quota di investimenti che altrimenti i nostri espositori dirotterebbero altrove. Fatto 100 quello che prima era speso per lo stand, adesso alcuni espositori iniziano a spendere 80 per lo stand e 20 per l’integrazione multimediale. Se non offrissimo quest’integrazione perderemmo quel 20%, valore che nei prossimi anni potrebbe arrivare al 30-40%.

Milanovendemoda ha festeggiato quest’anno 40 anni cambiando nome. Perché?Abbiamo apportato così tante modifiche, così tante novità che non era più Milanovendemoda. Inoltre la parola “vende” non era più corretta. Sono stati gli stessi espositori e i potenziali espositori a dircelo nell’ambito di una ricerca di Pambianco. “Vende” è riduttivo, inadeguato e poco glamour. Era necessario qualcosa che esprimesse il concetto di made in Italy. Da qui Mi Milano prêt-à-porter.

Quali sono state le principali novità?La prima ha riguardato il prodotto, scelto in funzione del livello qualitativo e della portata innovativa. In conseguenza di ciò abbiamo dovuto dire di no a espositori con cui collaboravamo da tempo e cercarne di nuovi. Inoltre abbiamo creato una sorta di fuorisalone nel salone. Abbiamo realizzato al Portello una parte ibrida, accessibile agli operatori ma anche al pubblico. È stata articolata in tre parti. La prima dedicata alla moda-design in collaborazione con Moroso e Artemide. La seconda al food e all’italian style con, tra le altre cose, un temporary restaurant di Sadler. E, infine, la terza all’arte dove sono state esposte per la prima volta le opere acquisite dall’Associazione Amici di MiArt, un fondo costituito da Camera di Commercio, Regione, Fondazione Fiera Milano, Fiera Milano, Fiera Milano International e Banca Popolare di Milano. Peraltro, in contemporanea con Mi Milano prêt-à-porter si è svolta anche Now, manifestazione del pronto moda per la prima volta realizzata a Milano, insieme agli organizzatori di White. In tal senso abbiamo dato un segnale forte della necessità di fare massa critica. Oggi un visitatore arriva a Milano e deve vedere 150 collezioni in fiera, poi andare in Zona Tortona e altrove. C’è troppa dispersione. Un fattore negativo che si va ad aggiungere al fatto che, in seguito al depotenziamento di Malpensa, siamo penalizzati dai collegamenti internazionali. Questo ha ridotto i visitatori stranieri. Per contrastare ciò auspichiamo che a Milano si crei un polo del prêt-à-porter donna incentrato su FieraMilano.

Da venerdì 23 a lunedì 26 ottobre torna, invece, F&T. Quali servizi supporteranno la manifestazione?Quest’anno abbiamo introdotto il matching prima della manifestazione, creando in fase preliminare l’agenda di incontri per le persone interessate a investire nel franchising. Forniremo, inoltre, servizi per informare e formare i potenziali franchisee dal punto di vista giuridico, economico, organizzativo e ambientale. In particolare cercheremo di suggerire come realizzare il negozio verde, a ridotto impatto ambientale ed efficiente. L’obiettivo di questi servizi è supportare coloro che, spinti dalla crisi, si affacciano all’imprenditoria e decidono di ricrearsi un futuro professionale con il rischio calcolato del franchising.

Sviluppo Sistema Fiera ha annunciato il proposito di trasformare i 270 mila mq di copertura dei padiglioni espositivi di Rho-Pero nel più grande impianto fotovoltaico su tetto esistente al mondo. Quali sono gli altri fattori, oltre al green, su cui può fare leva la comunicazione di un ente fieristico?Da cinque anni Fondazione Fiera Milano realizza il bilancio sociale e quest’anno abbiamo redatto anche un bilancio di sostenibilità di tutto il gruppo. La sostenibilità è nel nostro codice genetico: lavoriamo in un luogo che in passato era una raffineria, oggetto di una delle più importanti opere di bonifica del nostro Paese. Sicuramente l’ambiente è un tema importante, che comprende sia l’hardware, quindi le strutture, sia il software, quindi i contenuti delle manifestazioni.

«Tutti gli eventi, da quelli fieristici e culturali, fino a quelli più eccezionali come le Olimpiadi o l’Expo hanno un forte ritorno. L’appuntamento del 2015 coinvolgerà Milano, ma Venezia, Firenze e Roma avranno delle ricadute significative». Sono sue parole. In che modo Fiera Milano si sta preparando per l’Expo2015?L’Expo2015 è sicuramente un’opportunità perché richiamerà una notevole massa di visitatori, accendendo quindi i riflettori sulle manifestazioni che faremo in quel semestre.

In realtà però siamo ancora ai blocchi di partenza dell’Expo 2015 e non sembriamo pronti a dare il via. Quali sono a suo parere le priorità per i prossimi mesi?Mi sembra che con gli Stati generali ci sia stata una sorta di svolta, si è riusciti a mettere in ordine chi fa che cosa e come procedere. Noi italiani dobbiamo sempre arrivare a trovarci sull’orlo del precipizio. Fiera Milano è stata realizzata in 30 mesi, senza blocchi stradali e problemi particolari e pagandola un terzo rispetto a quanto speso per realizzare le ultime fiere in Germania, a Monaco in particolare. La stessa vittoria della candidatura per l’Expo2015 è avvenuta sul filo del rasoio.

Quali sono gli interventi da realizzare con maggiore urgenza?Sicuramente i trasporti. Il sistema di accessibilità e di trasporto nell’area metropolitana è già sull’orlo del collasso adesso, non può supportare un evento del genere. Al di là delle infrastrutture che sono un elemento importante, sarà importante dare seguito a tutti i progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo che questa candidatura ci ha portato perché è l’Expo è un’impresa importante non solo dal punto di vista solidaristico e umanitario ma anche in termini prospettici per l’economia di Milano.

Un’ultima domanda a proposito del futuro di Milano. Chi vincerà il risiko per la razionalizzazione della struttura di Fiera Milano? Pdl o Lega?Non lo so, io sono un tecnico…

LE PASSIONI DI PERABONI
Libro Il piacere di Gabriele D’AnnunzioProgramma Tv Il TgVino Il rosso, Barolo su tutti
Film I film anni ’50, in particolare CasablancaLuogo Casa miaHobby La moto e i viaggi
Musica Latin jazz, tra gli interpreti Tito FuentesPiatto La cucina tailandeseSquadra Inter

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