Io sono l’arte accessibile: intervista a Damien Hirst

Apprezzato dai grandi collezionisti, che si aggiudicano le sue opere per cifre da capogiro, l’artista non disdegna il mercato “popolare” e la produzione in serie. Perché, dice, il suo obiettivo è raggiungere davvero tutti

Damien Hirst è straordinariamente ottimista per un artista la cui ultima mostra è stata definita «il naufragio della sua carriera». Mentre entra allegramente nel suo museo personale, a Vauxhall, nel Sud di Londra, l’uomo famoso per aver fatto una fortuna grazie agli squali “in salamoia” è colorato quanto uno dei suoi “spot painting”. Indossa una giacca sportiva gialla su un cashmere di un brillante rosso e blu: è un look vibrante e hipster per un 52enne. Treasures from the Wreck of the Unbelievable, la sua vasta mostra da 189 opere, esposte in due delle maggiori gallerie veneziane, ha chiuso da poco i battenti.

Dopo dieci anni di lavoro e circa 50 milioni di sterline investite di tasca propria per realizzarlo, l’evento ha invitato i potenziali collezionisti a fare acquisti nell’ambito del più costoso “fake news” show mai messo in scena. Considerando che il termine non era nemmeno stato coniato quando Hirst ha ideato il concept, è stato a dir poco preveggente. L’abilità di leggere il futuro è forse il suo superpotere; molto prima che gli hedge fund si buttassero sull’arte come il non plus ultra delle commodity, Hirst giocava con i legami tra arte e denaro. Era quasi come se volesse dimostrare il suo disfacimento. Questi suoi ultimi lavori “si dice che provengano” da un tesoro disperso di Cif Amotan II, un immaginario schiavo liberato del II secolo, che ammassò una stupefacente collezione di sculture e relitti sacri poi dispersi in mare e “scoperti” a largo della costa africana nel 2008. Ai visitatori è stato chiesto di mettere da parte il loro scetticismo sulle origini dei marmi incrostati di coralli, dei bronzi e dei tesori in oro “ripescati dal mare” dalla squadra personale di Hirst per il recupero-relitti. La sua favoletta era scarsamente dissimulata; Cif Amotan II è l’anagramma di I am a fiction», letteralmente «Io sono un’invenzione»…

L’intervista continua sul numero di Business People aprile!

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