Bonolis: ancora due anni e poi cambio tutto

Il campione d’ascolti contro l’«oligarchia» dei canali digitali, i «farisei» che criticano i compensi milionari e la «colonizzazione» dei format tv. E anticipa: «il 31 dicembre 2011 scade il mio contratto, e allora…»

E’ la star più pagata della televisione italiana. Ogni suo andirivieni tra Rai e Mediaset, e viceversa, diventa un casus belli anche per la mole di capitali che sposta, sia in termini di introiti pubblicitari (il suo recente Chi ha incastrato Peter Pan? ha totalizzato su Canale 5 una media del 28% di share) sia in termini di compensi (l’ultimo dato relativo al suo ingaggio in Mediaset parla di 25 milioni di euro in tre anni, ma c’è chi sostiene che siano molti di più). Certo è che Paolo Bonolis è un professionista di razza, in grado di cimentarsi con successo dal prime time all’access (si ricordi la fortunatissima esperienza di Affari tuoi al 35% in Rai) alla seconda serata (l’ultima edizione de Il senso della vita si è assestata intorno al 21%). E che ha saputo amministrare cotanta professionalità affidandosi a un agente, Lucio Presta, considerato tra i più aggressivi (se non il più aggressivo) del panorama italiano. Oggi, alla vigilia dell’avvio di un altro suo cavallo di battaglia, Ciao Darwin, in partenza a fine marzo – mentre Il senso della vita riprenderà a settembre –, e dei suoi primi trent’anni di carriera che celebrerà nel 2011, anno in cui festeggerà anche il suo 50esimo compleanno, Bonolis parla di mercato televisivo e di sé, facendo intravedere come cambierà la sua vita a partire dal 1° gennaio 2012.

Bonolis, qual è lo stato di salute della televisione italiana ai tempi della recessione?È uno stato di salute che corrisponde a quello della nostra socialità. È una salute effimera, alla “stiamo tutti bene madama la marchesa”. Viviamo in una sorta di contagiosa euforia distratta, in cui l’eccellenza viene ridimensionata per consentire alla mediocrità di potersi dichiarare come eccellenza. Il che vale non solo per la televisione.

Vuol dire che in tempi di crisi…La crisi non c’entra, anzi credo che la crisi sia una conseguenza dell’ascesa al potere della mediocrità. Sa, è più facile che quest’ultima possa avere la meglio, perché sono così tanti che non li tieni: è un’esondazione.

Lei è uno dei pochi uomini della Tv che non pare particolarmente sedotto dal passaggio al digitale, satellitare o terrestre che sia. Non sente il fascino della multicanalità?

La multicanalità è sicuramente un veicolo di libertà, alla quale dovrebbe però corrispondere un’adeguata diffusione delle idee: è inutile costruire un delta infinito per un torrentello, dovrebbe esserci un Po alla fonte… Invece vedo una multicanalità dove nella stragrande maggioranza dei casi c’è una sorta di ossessione compulsiva a ripetere, canali in cui la specificità diventa così esasperata che solamente qualche omicida seriale potrebbe appassionarcisi: se prima c’era un canale dedicato alla pesca, in futuro ci saranno canali sempre più piccoli dedicati alla pesca di un pesce specifico. E non puoi fare 24 ore di palinsesto su questo: è perversione.

Eppure nella multicanalità c’è anche una tensione, quanto meno un auspicio, verso un mercato più competitivo e pluralista.Se lo scordi: la multicanalità appartiene a una oligarchia, non vorrei parlare di unica reggenza o di duopolio. Quindi, non vedo una possibilità per il mercato: stiamo semplicemente lavorando sulla facciata per nascondere il contenuto.

Nella sua sarcastica lettura sull’eccessiva targhettizzazione dei canali non c’è anche un po’ di timore nei confronti di una Tv che, specializzandosi, potrebbe non avere più bisogno di lei, che è per antonomasia il conduttore delle masse popolari? In poche parole: non è che teme di rimanere senza lavoro?(Ride) La sua è una legittima battuta, ma in realtà non sono contro la multicanalità, bensì un osservatore della difficoltà di inserire cose interessanti in un così ampio numero di possibilità. Se non riusciamo a fare buoni programmi per la generalista, come faremo a particolareggiare così tanto l’offerta? Quante “cazzarola” di buone idee ci stanno in giro che possano diventare ognuna un differente canale? E non è una questione che sennò a me… Per quanto mi riguarda, sarei tranquillissimo, ho già dato parecchio e riesco a essere felice nella mia tridimensionalità, non ho bisogno di essere bidimensionale a tutti i costi.

Arbore e Fiorello sostengono che le nuove Tv digitali siano l’unico terreno dove si possa sperimentare senza la dittatura dell’Auditel.Ho la sensazione che alcuni vedano nell’Auditel un problema, perché hanno paura di dovergli rendere conto, io non mi sento di dover rendere conto all’Auditel. Quando l’Auditel mi conforta, vuol dire che conforta le persone che su di me hanno investito per dragare del denaro: non mi preoccupo di quanti siano a guardarmi, ma di cosa pensano, che siano tanti o pochi.

Anche con programmi come Ciao Darwin o Peter Pan?Vede, la differenza tra un programma e un altro è figlia dell’estetica insita nella sincerità del messaggio. Riguardo a Peter Pan, dico fin dall’inizio che è un programma con i bambini per gli adulti, un programma gentile e senza pretese. Diversamente dal Festival di Sanremo che deve essere un tempio confezionato a dovere per la musica. Se faccio Il senso della vita, non mi preoccupo di quanti mi stanno guardando – poi, il fatto che siano tantissimi mi fa piacere – ma di quello che dico, di ascoltare chi viene invitato a parlare. Quando faccio Ciao Darwin dichiaro dall’inizio che è un programma goliardico, una specie di carnevale dell’anima. Invece, spesso la Tv si accartoccia su se stessa, perché dichiara ciò che non può essere o ciò che non sarà mai. Chi fa televisione – se è votato per questo mestiere – è come un prisma in grado di riprodurre più luci, se invece ci è capitato per caso o ci è voluto entrare per porte differenti, è improbabile che abbia tutte queste rifrazioni, perché forse è solo una lampadina.

Quando sottoscrisse il lucroso contratto con Mediaset, dichiarò che veniva pagato così tanto non solo per ciò che faceva, ma anche per ciò che non faceva. Quel ragionamento è ancora valido?No, oggi no. Allora sì.

E quando Sky l’ha cercata, ha avuto la sensazione che anche quella volta volessero metterla nelle condizioni di non nuocere o di non favorire Mediaset?No, alla base c’era semplicemente un progetto che non eravamo ancora in grado di realizzare: non era il momento giusto, né per loro né per noi.

Che effetto le fanno le schermaglie tra Mediaset e Rai ogni qualvolta c’è da rinnovare un suo contratto?Quella è una lotta che si fanno tra loro. Tendenzialmente quando mi sono mosso, l’ho fatto spesso rinunciando a quello che invece muoverebbe e ha mosso, e continua a muovere altri, a non spostarsi mai. Ho rinunciato a grandi guadagni per portare avanti un’idea, così come al contrario ho avuto la fortuna di spostarmi verso un grande profitto quando c’è stata l’occasione.

Per impedire il trasloco di Fiorello a Sky venne allo scoperto Berlusconi senior col famoso assegno in bianco. Per lei nessuno si è mai fatto avanti per suo conto, nessun assegno in bianco?No, e non so a cosa sia servita tutta l’operazione, anche perché non mi sembra che alla fine sia cambiato molto.

Quanto meno il gesto di Berlusconi senior ha contribuito a fargli pubblicità: è stato così plateale.Certo, ma non credo ci sia un suo gesto che non lo sia…

Mi spiega com’è che quest’anno la Rai dà ben 900 mila euro a Ron Moss, il Ridge di Beautiful, per cimentarsi a Ballando con le stelle e nessuno fiata, mentre quando diedero 1 milione di euro a lei per fare sia il direttore artistico sia il conduttore del Festival di Sanremo 2009 ci fu una polemica che riempì i giornali per giorni, con deputati che minacciarono interrogazioni parlamentari?Perché quella era la Rai del centrosinistra e al centrodestra conveniva urlare quelle cose. Oggi invece c’è una sorta di sonno dell’informazione, dove probabilmente tante cose non vengono dette. Ma non importa! Siamo in mezzo a una gigantesca pantomima, dove ci illudiamo che stiano succedendo delle cose, in realtà quello che vediamo è il clown che si muove davanti a noi, mentre gli altri stanno preparando la gabbia delle tigri.

Ma perché le notizie sui suoi alti compensi creano così tanto scompiglio?Perché non ho nessuno che mi protegge, se non la mia dignità. Ma non me ne frega assolutamente niente, tanto so che è l’urlo dei farisei».

Il 31 dicembre 2011 scade il suo contratto con Mediaset…Ma non sa cosa scade il 21 dicembre 2012 (ride).

Mi vuole dire che crede nella storia della fine del mondo?Eh no, ma mi divertirebbe tantissimo!

Ci farebbe un programma?Magari, ma non me lo faranno fare mai (ride).

Intanto fermiamoci al 2011. Cosa le piacerebbe fare da grande?Festeggerò i miei 50 anni con un affrancamento, con un cambiamento importante che sto già confezionando con alcune persone che mi sono vicine. Vorrei provare a fare qualcosa di diverso, che non sia soltanto mettermi lo smoking e dire “benvenuti signore e signori”. È divertente anche cambiare strada, mantenendo ben presente quello che si è appreso durante un percorso durato 31 anni. Il che non vuol dire che vorrei smettere di fare Tv, ma che credo la si possa fare in tanti modi: non c’è bisogno di avere sempre questa presenza ingombrante, nella mia vita e in quella altrui.

Ha a che fare con l’impegno nella produzione di sua moglie, Sonia Bruganelli, con la sua società Jungle Red?No, non è un progetto che attiene alla produzione. E poi meno cose da fare ho meglio sto, anche perché quando fai tante cose – come qualcuno – finisce che non ne ami alcuna.

Lei ha dichiarato «la Tv è comunicazione, la comunicazione è coraggio, fantasia e innovazione. Invece oggi tutti cercano di ottenere il massimo lucro col minimo rischio». È un chiaro riferimento all’uso dei format. Perché ce l’ha tanto coi format?Tutt’altro. I format sono un’occasione per costruire e confezionare uno spettacolo. Però, al contempo, il ricorso massiccio ai format, così come ogni cosa vissuta in forma esagerata, rischia di diventare una diga a qualsivoglia novità “italica”. Cioè, mentre prima c’era un pionierismo televisivo che favoriva le idee, oggi c’è un colonialismo allo stato puro. C’è una volontà imprenditoriale che porta coloro che sono proprietari del meccanismo commerciale televisivo a lavorare solo su delle presunte certezze. Il format è una presunta certezza, che manleva le persone che dovrebbero prendere delle decisioni dall’inventarsi qualcosa.

Come mai non è andato in porto il suo progetto di non legarsi a nessun broadcaster in particolare, ma di trasformarsi in un brigantino che sarebbe approdato col suo progetto di show alternativamente nei luoghi in cui avrebbe trovato spazio?Perché non si è creata l’opportunità per poterlo fare, ma è esattamente parte integrante di quel progetto in fase di realizzazione al quale accennavo prima. In futuro, mi piacerebbe non dover garantire la mia presenza in video. Per una ragione semplice: perché l’ho fatto per talmente tanto tempo… e ogni volta che l’ho fatto avevo qualcosa da dire. Cioè a me piace che una volta che busso al vetro di qualcuno, se costui si incuriosisce, abbia qualcosa da dirgli. Se è solamente per sgranchire le nocche, sinceramente preferisco lasciar perdere. Per questo mi piace centellinare le idee o gli intendimenti nel tempo.

Ai tempi del suo ultimo trasloco in Mediaset, Pier Silvio Berlusconi rivelò che l’aveva convinta più che con i soldi con i progetti, in quanto lei avrebbe diretto l’officina delle idee. Ma da allora di nuovo le hanno fatto fare solo Il senso della vita. Ma non doveva essere un accordo di – testuali parole del vicepresidente – «rilevanza strategica»?Evidentemente è cambiata la strategia. Anche perché, come capirà, quando si lavora insieme a un’azienda, Rai o Mediaset che sia, non è che la si possa determinare in solitudine.

In un’intervista a Il Riformista lei ha dichiarato «prima si producevano cose per utilizzarle, ora il contrario».È una forma di ricatto: se non consumiamo non possiamo più produrre. È un capovolgimento dei valori, siamo al servizio dei prodotti. Lo stesso vale per le idee.

Non sembra il discorso di uno che fa – ai massimi livelli – Tv commerciale, né di un testimonial, altrettanto fortunato, della Lavazza.Esatto. Nel mio caso si tratta semplicemente di far parte di un mondo, senza far finta di non accorgersi dei suoi mali. Tutto qua. Non sono né ottimista né pessimista, ma mi rifiuto di raccontarmi bugie.

Cosa pensa del fatto che sia stato dato il via libera al product placement nei programmi televisivi? La disturba l’idea di dover ospitare marchi e prodotti all’interno dei suoi programmi?Non me ne importa nulla. Sono circostanze che possono cambiare parzialmente il mercato, ma sicuramente non ti cambiano la vita, se la tua vita non è attecchita sul mercato.

Qualcuno si scandalizza solo all’idea.Figuriamoci… Molte volte ci serve scandalizzarci per quello che è inutile, mentre per quello che è utile facciamo come gli struzzi. Solo che lei sa come fa lo struzzo, mette la testa sotto la sabbia, ma ha il sedere scoperto.

LE PASSIONI DI PAOLO BONOLIS

Libro I miti del nostro tempo di Umberto Galimberti

Piatto Tutto, eccetto cachi e ravanelliVino La Bonarda vivace
Film Tra le nuvole di Jason ReitmanSquadra L’InterProgramma Tv Le iene
Luogo Centro AmericaHobby Sport e lettura

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