Basta crederci…

Investimenti mirati da un lato, sburocratizzazione, trasparenza e gestione manageriale dello stato dall’altro. Secondo Enrico Bracalente, fondatore di Nero Giardini, vincere la crisi, in azienda e nel paese, si può. Bisogna solo imboccare la strada giusta

Nonostante lo scontento sul fronte politico e della rappresentanza, e le innegabili difficoltà cui ha dovuto far fronte a causa della crisi, Enrico Bracalente, amministratore unico di Bag Spa, titolare del brand Nero Giardini, si dice fiducioso «perché se l’economia e i consumi non sono ancora ripartiti, vedo che i negozi gestiti dall’azienda stanno funzionando». In effetti, nonostante l’obiettivo dei 500 milioni di fatturato sia stato inevitabilmente rinviato di qualche anno – inizialmente era previsto per il 2015 – l’azienda ha continuato a crescere (nel 2011 ha fatto segnare un +7% raggiungendo i 230 milioni). Non sono molte le imprese italiane di cui si può dire altrettanto. Soprattutto se si considera che, fino ad oggi, il mercato di riferimento è stato principalmente quello tricolore.

Qual è stata la vostra risposta alla recessione?

La scelta della produzione made in Italy e la focalizzazione sul mercato interno, in un momento come questo, forse ci hanno un po’ penalizzato. Ma da sempre sono convinto che un’azienda, soprattutto un marchio di moda, che nasce e cresce in Italia debba essere prima “profeta in patria” e poi espandersi all’estero. Cosa che iniziamo a fare proprio ora. Comunque, seppure in percentuale ridotta rispetto all’ultimo decennio, anche nel periodo 2008-2011 il nostro fatturato ha continuato a crescere, grazie a strategie mirate per aggredire e non subire questa crisi: investimento nel know how di prodotto, e nella comunicazione per dare più visibilità al marchio, e poi nuove aperture di negozi diretti, franchising e shop in the shop all’interno delle grande superfici.

Dunque nuove aperture mentre molti altri chiudono…

Sì, i principali investimenti nei prossimi tre-cinque anni saranno proprio sul retail. Abbiamo in programma dieci milioni di euro per questo progetto. E una delle maggiori novità dovrebbe essere Londra, una metropoli dove transita il mondo intero, per il primo negozio su piazza estera. Stiamo definendo gli ultimi particolari e abbiamo in mente di aprire già nella prima metà del 2013.

Allora l’obiettivo dei 500 milioni di fatturato è solo rimandato di qualche anno?

Quando ci siamo dati questo obiettivo non potevamo prevedere una crisi di tale portata, ma l’obiettivo non è di certo stato abbandonato. Il nostro progetto di sviluppo prevede, con le nuove aperture, di arrivare almeno a 300-400 negozi di rete aziendali, oltre a un forte incremento dell’esportazione: l’intenzione è di triplicare l’attuale 12%. Con questo piano, che interesserà i prossimi tre-cinque anni, speriamo di raggiungere il prima possibile quota 500 milioni.

C’è qualcosa che la politica può fare, in questo momento, per sostenere davvero il made in Italy?

Al momento il meglio che possa fare la nostra classe dirigente è andarsene a casa. Ha dimostrato di non essere all’altezza di governare il Paese. È vero che la crisi ha interessato il mondo intero, ma se l’Italia è ancora più in difficoltà è per colpa di una pessima amministrazione. Lo ha dichiarato di recente Santo Versace e io lo ripeto da anni, la maggior parte della nostra classe politica è costituita da persone che hanno fallito nelle loro attività professionali. Sburocratizzazione, servizi, uno Stato snello, serio e onesto, ecco quello di cui abbiamo bisogno. Come Matteo Renzi, chiedo massima trasparenza e gestione manageriale del Paese. Chissà se, in caso di vittoria, riuscirà davvero a metterlo in pratica, perché il problema fondamentale alla fine sono i centri di potere.

Cosa ne pensa del recente botta e risposta Marchionne-Della Valle sulle tendenze “esterofile” della Fiat?

Preferisco non pronunciarmi, sono abituato a dare giudizi solo quando conosco bene l’argomento. Però posso dire a gran voce che Marchionne è un grande manager. Mi ispiro molto a lui e condivido diverse sue strategie. Ha ragione al 100% quando sostiene che un investimento, per essere tale, deve avere un ritorno, non rappresentare un costo per l’azienda. Altrimenti mette a rischio la sua sopravvivenza.

Come Marchionne anche lei, giusto un anno fa, ha lasciato Confindustria. È ancora convinto della scelta?

Convintissimo. Ora posso dedicarmi interamente all’azienda, invece di perdere tempo per incontri dai quali uscivo solo deluso e, a volte, anche molto arrabbiato.

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