Scommettere sulla terra

È la strada scelta dall’erede del gruppo farmaceutico Marcucci, che a un ruolo dirigenziale ha preferito la sfida di trasformare la Valle del Serchio in una mecca del turismo: «Lo devo a mio nonno, che ha sacrificato tutta la sua vita al lavoro affinché nessuno dovesse più emigrare»

«Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace; i bicchieri avvinò; sparse il goccino avanzato; e mescè piano piano, perché non croccolasse, il vino». Se persino Giovanni Pascoli in questa poesia (Il ciocco, 1903) cantò il suo amore per la valle del Serchio, questo luogo sulle Alpi Apuane deve avere davvero qualcosa di speciale. Un potere magnetico che ha colpito anche Alessandro Stefani, figlio di Marialina Marcucci ed erede della celebre dinastia farmaceutica. Dopo un’adolescenza passata tra amicizie vip e viaggi a Londra, ha deciso di rifiutare la strada più semplice, quella che lo avrebbe portato nell’azienda di famiglia, per intraprendere una sfida ambiziosa: raccogliere le forze del territorio per fare concorrenza alle vicine e ben più rinomate Garfagnana, Versilia ecc.

Come mai tra tutte le attività di famiglia ha scelto il Ciocco Tenuta e Parco? Che cosa l’ha spinta al “ritorno alla terra”?È stato mio nonno Guelfo a trasmettermi l’amore per questa terra meravigliosa, dove ho vissuto sin da piccolo. Sono cresciuto negli studi televisivi di Videomusic, un ambiente dinamico, straordinario. Poi quando mia madre ha iniziato a lavorare a Londra, ho fatto avanti e indietro con lei, ma non sono mai rimasto lontano troppo a lungo da Barga. Quando ho messo su famiglia con Vania (ex modella e barghigiana doc, ndr) e poi è nato mio figlio, ho deciso di stabilirmi in questo borgo perché è un posto meraviglioso per crescere un bambino.

Anche il suo dna, però, avrebbe dovuto spingerla verso l’avventura: suo bisnonno Luigi andò a Chicago in cerca di fortuna … In realtà il mio bisnonno dovette emigrare per necessità, altrimenti non se ne sarebbe mai andato. Sua moglie invece rimase a Barga: era la maestra del paese, una figura così importante da avere una piazza a lei dedicata. Sul letto di morte il mio avo disse a mio nonno: “Ho riportato qui la mia fortuna, investite in questa terra affinché nessuno debba più emigrare per lavorare”. Rimanere, quindi, è una gioia, ma anche un dovere. E poi voglio lasciare un’eredità a mio figlio e ai miei nipoti: questa azienda è il frutto di una scommessa su un territorio che nel 1961 sembrava “disperso”, lontano dalle grandi rotte. Un azzardo che si è rivelato un’intuizione: oggi grandi aziende investono nella valle del Serchio.

Quali sono le lezioni dei suoi antenati che conserva gelosamente e cerca di mettere in pratica nella sua attività? Non adagiarsi mai, rischiare sempre. Mio nonno, in questo, senso era un “pazzo”: reinvestiva sempre tutti suoi guadagni e anche il denaro che ancora non aveva. Non faceva mai vacanze, il lavoro era la sua gioia di vivere. È questo il faro che mi guida, il non fermarsi mai. Anche se dall’altra parte c’è la responsabilità nei confronti dei dipendenti.

Lei è responsabile Marketing & Communication, il ruolo di a.d. è stato invece affidato a un manager esterno, Andrea Barbuti. Non sempre le famiglie hanno il coraggio di guardare fuori per cercare la guida per le proprie aziende. È una politica che seguiamo in tutte le nostre aziende, ci affidiamo a dei professionisti. L’essere discendenti dei fondatori non ci obbliga a comandare: ogni nipote fa il suo percorso, alcuni miei cugini lavorano negli Stati Uniti al di fuori delle realtà di famiglia, altri hanno preso percorsi diversi. Bisogna sempre scegliere in base alle competenze.

Nel 1967 qui partì l’attività del primo Resort italiano, mentre nel 1979 iniziò la tradizione dei rally che ha fatto del Ciocco un appuntamento internazionale (dal 2010 aperto ai Gentleman driver italiani). Quanto l’attività sportiva ha pesato sul vostro successo?Nel nostro parco sono anche nate le “Giovani marmotte” con Mondadori, veniva registrata la storica trasmissione Giochi senza frontiere (1974), c’è stato il traguardo di molte tappe del Giro d’Italia e persino la semifinale del campionato mondiale di scacchi del 1977 tra Korcnoj e Petrosjan. La vocazione sportiva è quindi parte del nostro dna. Quello che stiamo cercando di fare ora è recuperare anche l’aspetto paesaggistico e del benessere: la nuova sfida è mettere insieme i motori con la natura. E questo si può ottenere solo attraverso un’organizzazione capillare degli eventi, in collaborazione con le altre realtà del territorio.

Le poesie del Pascoli, il tracciato della Linea Gotica: la storia non manca, quali passi restano da compiere allora per sfidare alla pari le aree rivali della regione?Dobbiamo imparare a fare rete. Spesso ci areniamo nei futili campanilismi, come spesso accade nelle terre ricche di tradizione. Se saremo squadra, premiando la qualità, non ce ne sarà per nessuno.

Tra tutti gli ospiti vip della Tenuta, ce n’è uno che ricorda con particolare affetto per un aneddoto?Quando metto a posto l’archivio fotografico della tenuta, spunta sempre qualche chicca. Di qui sono passati tutti, da Sergio Leone ai Kiss, che arrivarono in elicottero. Mi ricordo soprattutto Jovanotti: ero un ragazzino e venne a presentare un disco, non ricordo quale, nella trasmissione condotta da Red Ronnie.

Ma l’ospitalità del Ciocco è solo per clienti di lusso?Abbiamo proposte diverse. C’è un hotel a 5 stelle con spa, centro benessere e piscina, ma anche gli chalet, più rustici, l’albergo diffuso, con trattamento B&B, fino agli appartamenti sparsi nei 600 ettari della proprietà.

Ce n’è abbastanza per far impazzire i turisti stranieri. Ma perché l’Italia fa fatica a proporsi sul mercato internazionale?Gli stranieri, quando arrivano da noi, cercano la “scoperta”: non dobbiamo vendere delle camere, quelle ci sono dappertutto, ma un territorio che è unico con ristoranti, servizi, paesaggi, storia, architettura e bellezza.

CASA DELLA MUSICA

Il Ciocco non è solo una meta turistica e un riferimento per gli appassionati di motori, ma ha segnato in un certo senso la giovinezza dei 30-40enni di oggi. Qui, infatti, nel 1984 venne inaugurata la prima televisione musicale europea, Videomusic. Gli esperimenti di Guelfo Marcucci in campo Tv, però, duravano già da un decennio, cioè da quando aveva acceso Tele Ciocco (poi network Elefante) e poi affittato le frequenze alla Pin di Rizzoli. Dopo 11 anni di successi, Videomusic venne venduta a Cecchi Gori e network Elefante finì a Giorgio Mendella (Retemia). Marcucci ci riprovò con Super Channel e collaborò al lancio del satellite Eutelsat 2, prima di vendere tutto a Nbc Usa. «Sono ancora amico di tanti ex dipendenti, che oggi sono autori Rai o lavorano nelle maggiori radio italiane», ricorda Alessandro Stefani, nipote di Guelfo, «anche io dopo l’Accademia di Belle Arti ho lavorato come videomaker, tra gli altri, con Simona Ventura. Quel gene c’è ancora, ma un’esperienza come quella non si ripeterà».

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