Il risultato del Politecnico di Milano – prima tra le università italiane nella top 100 mondiale – illumina un panorama accademico ancora segnato da luci e ombre. L’edizione 2026 del QS World University Rankings conferma la forte presenza dell’Italia nella classifica globale, con 43 atenei censiti. Ma soltanto 17 migliorano il loro posizionamento, mentre altrettanti peggiorano e otto restano stabili.
L’unica new entry è l’Università di Urbino, che debutta nella fascia 1201-1400. Dietro al Polimi, a guidare il gruppo dei migliori ci sono Sapienza (128ª, +4 posizioni) e Bologna (138ª, -5). La top 500 si arricchisce grazie all’ingresso dell’Università di Trento (485ª), portando a 15 il numero di atenei italiani in questa fascia.
Se la reputazione accademica è solida per pochi grandi nomi (Milano, Roma, Bologna e Padova), rimangono criticità persistenti su internazionalizzazione, occupabilità dei laureati e sostenibilità. Soprattutto, il sistema resta frammentato e incapace di scalare risultati a livello strutturale.
Tra le università italiane spiccano, però, alcune performance: l’Università San Raffaele è 28° al mondo per impatto della ricerca, e la Sapienza raggiunge il 92° posto per esiti occupazionali. Altri atenei in forte crescita sono Pisa (+39 posizioni), Tor Vergata (+38) e la Cattolica del Sacro Cuore (+33). Il fondatore di QS, Nunzio Quacquarelli, lancia un appello: “L’eccellenza esiste ma è troppo concentrata. L’Italia deve trasformare le università in motori di crescita inclusiva, non solo in avamposti di prestigio accademico”.