Per ogni italiano che è andato a votare alle elezioni europee, ce n’è almeno un altro che non l’ha fatto. E così il partito dell’astensionismo ha trionfato anche in questa tornata “congiunta” con le consultazioni amministrative che hanno contribuito a frenare la tendenza, ad esempio nelle Isole. Non solo. Questo weekend la combinazione tra votazioni europee e locali ha permesso a regioni come il Piemonte e l’Emilia-Romagna di oltrepassare la soglia del 55%.
Per il resto nel nostro Paese si è recato alle urne solo il 49,7% degli aventi diritto, uno dei tassi più bassi del Vecchio Continente, un record che da qualche anno la nostra Penisola condivide con Paesi come il Portogallo.
Come scrive il sociologo e politologo Massimiliano Panarari su La Stampa, in questi 45 anni l’Italia “ha vissuto un incessante trend decrescente, iniziato con l’instaurarsi della Seconda Repubblica”. Si è passati infatti dall’85,7% del 1979, anno dell’introduzione dell’elezione diretta, arrivando fino al 54,5%.
Secondo Panarari, l’astensione tricolore va interpretata come un segno di crisi di legittimità del sistema politico: “Si deve altresì constatare come nei Paesi latini e mediterranei – Italia su tutti – l’affaticamento, la disillusione e la sfiducia nei confronti degli attori della democrazia rappresentativa siano cresciuti di pari passo con la desertificazione delle urne.
Tra le motivazioni principali che tengono i cittadini lontani dalle urne ci sarebbero dunque un atteggiamento di protesta nei confronti dell’attuale offerta politica e la disaffezione nei confronti della classe dirigente.
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