Chi parla di storia della moda italiana non può non parlare di Franco Moschino. E, in questo periodo, il pensiero corre a lui più che mai. Infatti, il 18 settembre ricorre il trentennale della morte dello stilista, spentosi nel 1994 a causa dell’Aids. Se n’è andato facendo quello che amava, Moschino: dedicarsi all’arte, dipingendo fiori e nuvole nella villa fuori Milano dove si trasferì per passare l’ultimo periodo della sua vita.
La storia di Moschino è sempre stata impregnata di talento e creatività e ha sin da subito seguito binari molto diversi da quelli che sembravano dover segnare il suo percorso. Rimasto orfano a soli 8 anni, sulla carta avrebbe dovuto iniziare a lavorare in fonderia, nell’azienda di famiglia ad Abbiategrasso. Invece, nel 1967, appena terminato il liceo, Moschino ha lasciato la sua città. Il suo obiettivo? Frequentare l’Accademia di Brera.
Frequentati (e superati con successo) i corsi di pittura, Moschino ha poi seguito quelli di moda all’Istituto Marangoni. Voleva fare il sarto e il modellista, ma non c’era arte che non meritava la sua attenzione: mentre si formava ha anche recitato in teatro. Il vero punto di svolta, probabilmente, è arrivato nel 1971, quando ha iniziato a lavorare come disegnatore per Gianni Versace. Moschino brillava già per passione e la collaborazione è durata sei anni.
Dopo questa avventura, ha lavorato come stilista per la ditta di abbigliamento Cadette di Walter Albini prima di arrivare, nel 1983, a fondare Moonshadow, il suo primo brand, che pochi mesi dopo si trasforma in Moschino Couture. Tutto l’animo e il talento dello stilista risplende nel suo marchio: presenta prima una collezione donna di successo, nel 1985 ne affianca poi una per uomo.
Prosegue nel 1986 dedicandosi anche ai jeans, per poi sbarcare nel 1987 nel mondo dei profumi. La più grande rivoluzione? Avviene nel 1988, quando si lancia nella moda econica con Cheap Chic Donna e Cheap Chic Uomo. Ogni scelta è stata una provocazione, un manifesto che si opponeva al lusso sfrenato e alla ricerca ossessiva dei trend. Durante le sfilate capitava che le modelle sfilassero in ginocchio e ha persino inviato degli slip ai media, come inviti alle proprie collezioni.
È proprio lo spirito provocatorio e ispirato di Moschino a renderlo indimenticabile: nella cornice di un fashion system opulento e sfarzoso lo stilista voleva contrastare edonismo e consumismo, superare il perbenismo e far in modo che non solo i consumatori ma tutto il sistema prendesse coscienza delle proprie opinabili posizioni ecologiche e morali.
Se ciò non bastasse, anche la sia vita privata era un inno alla libertà: andava sempre in giro con il suo Fiorino bianco, fermandosi quando vedeva qualcuno in difficoltà e dimenticando dove parcheggiava. Generoso, stravagante e irriverente, ha lasciato la direzione artistica all’amica, ex assistente e braccio destro Rossella Jardini, da poco in libreria con Ma chi l’avrebbe detto?! L’eleganza ha una faccia sola, un omaggio allo stilista, una testimonianza scritta con il giornalista Antonio Mancinelli.
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