A Venezia, dove l’acqua incontra la pietra e ogni edificio racconta una storia sedimentata nei secoli, il tempo è un elemento costitutivo del paesaggio. Forse è per questo che Rolex ha scelto proprio la laguna come scenario in cui declinare la propria idea di durata: una durata fatta non solo di meccanica precisa, ma anche di responsabilità culturale e ambientale. Alla 19. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, il marchio è tornato con un nuovo padiglione, firmato dall’architetta nigeriana Mariam Issoufou. Un progetto che, nella sua essenza, sembra voler intrecciare memoria, materia e futuro.
Il padiglione, che sorge nei Giardini della Biennale, prende il posto della struttura realizzata nel 2018. Ma più che una semplice sostituzione, si tratta di una dichiarazione di intenti. In un’edizione dedicata ai temi del riscaldamento globale e dell’economia circolare – curata da Carlo Ratti – Rolex risponde con un edificio concepito all’insegna della “sostenibilità intersezionale”, per usare le parole di Issoufou.

L’interno del nuovo padiglione Rolex nei Giardini della Biennale, firmato dall’architetta nigeriana Mariam Issoufou
La stessa architetta, già partecipante al programma di mentoring della maison ginevrina, insegna oggi all’ETH di Zurigo e gestisce due studi, a New York e a Niamey. Il suo gesto progettuale riflette l’urgenza contemporanea di rileggere l’architettura attraverso le lenti della tradizione, della responsabilità ecologica e dell’impatto sociale. La forma della struttura richiama volutamente la lunetta zigrinata di alcuni modelli iconici Rolex. Ma lo fa senza didascalie, attraverso un’intelaiatura in legno riciclato lavorata da artigiani locali.
È un tributo silenzioso all’artigianato, uno dei fili conduttori della cultura del brand. Al suo interno, un soffitto traslucido in vetro di Murano filtra la luce naturale e la scompone in riflessi mutevoli, disegnando un ritmo visivo che accompagna il visitatore lungo tutta la giornata. Il pavimento in terrazzo, composto anche da vetro “cotisso” – uno scarto prezioso della lavorazione muranese – completa l’insieme con un gesto coerente di rigenerazione dei materiali. È una grammatica architettonica che lavora più per sottrazione che per esibizione.

La nuova boutique Rolex di Milano
Ma la presenza di Rolex alla Biennale non si esaurisce nel padiglione. Nella stessa cornice, la Casa ginevrina presenta due nuove boutique – a Milano e Tokyo – concepite come luoghi dove materiali nobili e manifattura artigianale esprimono la cifra estetica dell’azienda. E offre visibilità a un progetto di ricerca urbana condotto a Beirut dall’architetta armeno-libanese Arine Aprahamian, sotto la guida della Pritzker Anne Lacaton. Il suo lavoro, incentrato su piccoli interventi strategici nel quartiere di Bourj Hammoud, testimonia come anche un’architettura minima possa avere un impatto duraturo, coerente con quella stessa idea di perpetual che dà nome all’iniziativa culturale di Rolex.
In un’epoca in cui la parola “tempo” rischia di ridursi a una questione di efficienza o velocità, la Manifattura sembra voler ricordare che esso può essere anche misura di responsabilità, cura e costruzione lenta. E che l’architettura, come l’orologeria, non è solo un’arte della precisione, ma anche “sensoriale”.
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