Nettare divino nella mitologia greco-romana. Bevanda rinvigorente e antifebbrile prescritta dalla medicina antica. Denso di significati religiosi nella tradizione ebraica e in quella cristiana. E, certamente, uno tra i prodotti agricoli più richiesti fin dai primi scambi commerciali tra civiltà, specifica espressione di un territorio di cui racchiude, in sé, storia, cultura e pratiche sociali. Ecco alcune tra le innumerevoli sfaccettature del vino, presenti nelle sue origini così come nelle evoluzioni del suo consumo nel corso dei secoli. Soprattutto per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, considerato da sempre sua culla d’elezione.Passa in rassegna le tappe principali di questa storia millenaria, intrisa di gusti, profumi, bellezza e narrazioni appassionate, il Muvit, museo di Torgiano (Perugia) interamente dedicato al tema enologico e bacchico. Una collezione privata, frutto di donazioni pregiate e di attente ricerche di pezzi d’antiquariato, che è stata aperta al pubblico nel 1974 presso la pars agricola dell’imponente palazzo Graziani-Baglioni, dimora estiva gentilizia del XVII secolo, per volontà dell’imprenditore agricolo e viticoltore Giorgio Lungarotti e di sua moglie Maria Grazia Marchetti, storica dell’arte e archivista (vedi intervista) e oggi gestito dalla Fondazione Lungarotti Onlus. Obiettivo dei due coniugi? Celebrare il binomio vino-cultura, che rappresenta anche la mission delle attività principali del gruppo, noto per le sue cantine umbre e per le strutture ricettive locali, all’insegna dell’ospitalità (enoturistica) di lusso. Il New York Times lo ha recensito, in tempi recenti, come il migliore museo italiano nel suo genere. “Una storia lunga cinque millenni”E certo non a torto. Brocche e coppe cicladiche, vasi ittiti, ceramiche greche ed etrusche, vasellame di epoca romana. Ma anche boccali e manufatti artigianali risalenti all’età medioevale, rinascimentale e barocca, fino a incisioni, testi pregiati e disegni che spaziano dal Quattrocento al Novecento. Non mancano all’appello nemmeno attrezzi e corredi tecnici usati anticamente per la viticoltura e la vinificazione. Oltre tremila i reperti storici esposti, che raccontano 5 mila anni di storia della bevanda ottenuta dalla fermentazione del mosto d’uva, tuttora uno dei vessilli della produzione made in Italy nel mondo.Ma vediamo più da vicino come si sviluppa questo originale percorso tematico incentrato sul vino. L’allestimento si snoda attraverso le venti sale del palazzo cinquecentesco di Torgiano ed è suddiviso in numerose sezioni legate ora all’aspetto archeologico, ora a quello mitologico; all’ambito economico-sociale piuttosto che a quello farmaceutico.Rivestono particolare interesse le pregiate ceramiche di età arcaica, come la kylix (coppa) attica firmata da Phrinos, esponente del Gruppo dei Piccoli Maestri – databile intorno al VI secolo a.C. – e la raccolta che celebra soprattutto la componente epica: dalla grande hydria (vaso usato soprattutto per trasportare l’acqua) del XIV secolo, con centauro leontiforme e sirena bicaudata e coronata, al gruppo di zaffere (maioliche con elementi blu cobalto) e manufatti dello stesso materiale, che tra l’altro testimoniano l’influenza della produzione islamica su quella cristiana. Perle rinascimentali: la “fiasca da parata” di Urbino, proveniente dalla bottega di Orazio Fontana, e il Busto di Bacco del laboratorio fiorentino Della Robbia.Richiama inoltre l’interesse dei visitatori una singolare vetrina che presenta vari piatti istoriati d’autore, come L’infanzia di Dionysos di Mastro Giorgio Andreoli, o, tra le opere più moderne, il Piatto con satiro di Jean Cocteau, il Dionysos Eydendros di Joe Tylson e la Baccante di Nino Caruso.
– Altre esposizioni in Italia e all’estero
Una parte importante del racconto museale è infine riservata al ciclo viticolo e al processo della vinificazione attraverso numerosi esemplari di strumenti agricoli, anche di epoca arcaica, e un ricco apparato iconografico che descrive il lavoro nei campi del Centro Italia fino all’abbandono della mezzadria. Qui l’attenzione si sposta dalle grandi vasche, dove avveniva la pigiatura, al monumentale torchio a trave proveniente da Gubbio e risalente probabilmente a metà del ‘700, ma definito “di Catone” per la descrizione della tipologia fatta dall’agronomo romano tra il II e il I secolo a.C.Altra vera chicca del Muvit, la nutrita collezione di “schiacce da cialda” (dal XIV al XX secolo): legate al vino per preparazione e consumo, le cialde erano biscotti leggeri abitualmente consumati con vino dolce. Gli utensili impiegati per prepararle – due dischi in ferro decorati e dotati di lunghi bracci a forbice, le schiacce, appunto – sono tra i fiori all’occhiello della lavorazione tutta italiana di questo materiale: opera di mastri artigiani o di raffinati argentieri, erano talmente preziosi da figurare, un tempo, tra i doni di fidanzamento più fini e graditi.Il vino, dunque, come rito millenario, sinonimo di convivialità sociale, segno distintivo di un territorio, ma anche farmaco e cosmetico naturale, come pure collante di alleanze e unioni di vario tipo, suggellate con un buon calice. Passeggiando per le sale del museo di Torgiano, tra cimeli d’epoca, manufatti artigianali, testi antichi, vecchie botti e curiosi arnesi agricoli, viene spontaneo dar ragione a Salvador Dalì, quando affermava – chissà, forse traendo ispirazione per la sua stessa arte surrealista, onirica e misteriosa – :«I veri intenditori non bevono vino, degustano segreti».
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