Museo Nazionale del Qatar: la Rosa del deserto

Compie un anno di vita il National Museum di Doha, un’esperienza unica da vivere a tutto tondo: dall’architettura avveniristica firmata da Jean Nouvel agli interni ad alto tasso di immersività*

La chiamano “la Rosa del deserto” ed è un’architettura avveniristica firmata dal francese Jean Nouvel: ha cambiato, ancora una volta, lo skyline di Doha. Desert Rose è un museo, anzi è molto di più. Siamo in Qatar, piccolo emirato del Golfo. Se ci siete stati di recente, non fidatevi dei ricordi: a questa latitudine, le cose cambiano molto in fretta. Basta contare il numero delle gru appena atterrati nell’enorme e super-efficiente aeroporto di Doha, capitale dell’emirato, una città che 20 anni fa praticamente non c’era e che oggi è punteggiata di grattacieli, alberghi, negozi di lusso. E musei, sì tanti musei. Tutto è in movimento qui, tutto in costruzione: cresce il fatturato, galoppa l’economia, l’“oro nero” non è più l’unica leva per uno sviluppo vorticoso.

Il Qatar come altri emirati del Vicino Oriente – ma forse più di altri – sta puntando sull’innovazione e sulla cultura. Insegue il lusso sfrontato di Dubai? Non esattamente, quel compito lo lascia ad Abu Dabi. Il Qatar in questi ultimissimi anni vuole diventare qualcosa di diverso: la vera rosa del Golfo capace di attrarre investitori finanziari ma anche talenti creativi, non per fare un “secondo Louvre” (come a Dubai), ma nuovi progetti. Stiamo parlando di un Paese piccolo (11 mila km quadrati appena) e dalla morfologia difficile (è arido e roccioso), la cui storia antica è intrinsecamente legata a quella degli ottomani ma i cui abitanti – fino alla scoperta dei giacimenti di petrolio e gas naturali – erano sostanzialmente dei beduini. Qui, in questo emirato che fin da subito ha preso le distanze con l’Arabia Saudita (le relazioni diplomatiche, tra i regni del Golfo, tutt’ora non sono facili), si è scelto di puntare sul futuro, valorizzando il passato. Sì, dunque, ad alberghi, shopping mall e centri finanziari, ma senza dimenticare la storia del Paese, senza dimenticare le proprie origini. Ecco spiegato a che cosa servono i musei: sono luoghi-simbolo e, fin nella loro architettura appariscente, definiscono l’identità di un popolo. E se fino a pochi anni fa spiccava lungo la Corniche, la splendida passeggiata sul lungomare, solo il Museo d’Arte Islamica in pietra calcarea, molti altri musei e gallerie d’arte sono sorti nel frattempo, immettendo Doha nel circuito delle it-cities più visitate dagli art lover.

L’ultimo e più importante in ordine di tempo è senza dubbio il National Museum of Qatar che ha aperto un anno fa: è il fiore all’occhiello del progetto Qatar Museums ed è, non ha caso, un museo entografico. È il museo del moderno Qatar. «Mentre viaggiamo verso il futuro, sentiamo la necessità di concentrarci sulla nostra identità», ha spiegato la sheikha Al Mayassa in Hamad bin Khalifa Al Thani, presidente di tutti i musei del Qatar e celeberrima collezionista, appassionata d’arte contemporanea. «Abbiamo voluto trasformare la storia del Qatar in un’esperienza immersiva, mostrare che il nostro è un viaggio», spiega la sheikha Amna bin Abdulaziz bin Jassim Al Thani, direttore del museo. Due donne: avete notato? Ci torneremo in seguito. Per il momento proviamo a riassumere il senso dell’imponente (e instagrammabilissimo) edificio progettato da Nouvel: l’esterno – citiamo le parole dello stesso architetto – appare come un’immensa rosa del deserto «preziosa e unica, aleatoria seppur precisa». L’impatto delle linee curve e sinuose è assicurato, persino davanti agli occhi degli appassionati d’arte più navigati, e del resto ci sono voluti otto anni per realizzare il “sogno” che l’emirato aveva in testa: l’orgoglio per le proprie origini, la solida fiducia verso il futuro. Il museo (52 mila mq) è caratterizzato da un design unico con grandi dischi a incastro di diversi diametri e curve: il concept del progetto è quello di celebrare la vita dei qatarioti e il legame del Paese con il deserto e con il mare. Sala dopo sala, impariamo a conoscerla, questa storia: lo facciamo in modo originale, attraverso una successione di nove art film proiettati su ampie pareti che ricreano una grande atmosfera cinematografica. Queste enormi proiezioni mappano le superfici delle pareti curve e fluenti delle gallerie: siamo nella pura “immersione museale” e il visitatore ne è immediatamente catturato. Da qui, il percorso procede come un cammino in tre grandi tappe (o capitoli): Beginnings, Life in Qatar e The Modern History of Qatar, ognuno dei quali suddiviso in undici gallerie. L’impostazione è enciclopedica, ma impreziosita da un azzeccato uso delle tecnologie: nel primo capitolo si compie un viaggio a ritroso nel tempo, esplorando l’evoluzione geologica e biologica della penisola del Qatar, gli ambienti naturali e i reperti archeologici. Di museo etnografico stiamo parlando ed è quindi naturale che il “cuore” della rosa sia Life in Qatar: il fulcro di questa galleria è un’enorme scultura tridimensionale della penisola. In questa sezione viene raccontata la vita nel deserto, un ambiente duro per la sopravvivenza, e la vita sulla costa. Troviamo qui un bel modello su larga scala del sito Unesco, Al Zubarah, una delle città costiere più grandi e meglio conservate del Golfo Persico, che fu un importante centro per la pesca delle perle e il commercio nel 1700 e 1800. Il percorso si chiude con la Modern History of Qatar, che narra la storia più recente e gli sviluppi urbanistici, economici e finanziari del Paese.

Dentro il National Museum of Qatar, è situato anche l’antico Palace of Sheikh Abdullah bin Jassim Al Thani (1880-1957): doveroso darci un’occhiata, perché è uno dei monumenti più amati dai qatarini. A dirigere con garbo questa complessa “rosa del deserto” – lo abbiamo anticipato prima – è stata chiamata una donna, la sceicca Amna bint Abdulaziz bin Jassim Al Thani. Lei stessa ha spiegato quanto la gestazione sia stata lunga: l’obiettivo (centrato) era quello di creare una living experience, «un museo col cuore». Spazio sì alla storia, ma anche alla vita comune e ai talenti qatarini e internazionali emergenti nel mondo dell’arte che nel Paese hanno trovato casa o ispirazione. Tuttavia, la vera dea ex machina del progetto – e, diciamolo, di tutta l’agenda culturale dell’emirato – è la sheikha Al Mayassa: «Our ambition is to celebrate the local in the global, the global in the local», ha detto in occasione dell’inaugurazione del museo. L’intento è chiaro, vero? L’“emira dell’arte contemporanea” (celeberrimi alcuni suoi “acquisti pazzi”: il Bambino con colomba di Pablo Picasso pagato 50 milioni di sterline, Giocatori di carte di Cezanne, venduto alla cifra record di 250 milioni di dollari, e undici lavori di Mark Rothko pagati 310 milioni) con studi da globetrotter in Europa, è sorella dell’attuale emiro del Qatar e figlia di uno degli uomini più ricchi del pianeta: a meno di 40 anni, è una delle personalità più influenti del mondo dell’arte. Grazie a questa donna – che molto potrà fare anche per la reale emancipazione femminile nel suo Paese – il piccolo emirato è diventato un polo culturale internazionale: i principali musei qatarini (il Museum of Islamic Art, aperto nel 2008, il Museo Arabo di Arte Moderna, inaugurato nel 2010, e appunto il Museo Nazionale del Qatar) segnano la nuova frontiera per l’emirato. L’arte è il nuovo petrolio?

Articolo pubblicato su Business People, marzo 2020

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