Lou Reed, il rock dice addio a un poeta

Si è spento a New York uno degli artisti più influenti della scena rock. Dai Velvet Underground alla splendida carriera solista, un musicista sempre, genuinamente, maudit

Lou Reed (Lewis Allan Reed) si è spento ieri all’età di 71 anni nella sua New York. Era da tempo malato e aveva subito un delicato trapianto di fegato la scorsa primavera. Con ineguagliabile talento ha cantato e impersonificato – anzi forse lo ha proprio creato – il lato più decadente del rock, rappresentando sin dall’inizio della sua carriera artistica un punto di riferimento.

Ribelle sin dalla tenera età, ma con spiccata sensibilità verso la musica e altre espressioni artistiche (fondamentale furono per lui gli insegnamenti universitari del poeta Delmore Schwartz), Lou Reed ebbe un infanzia non certo semplice anche a causa della sua bisessualità; addirittura un medico tentò di “curarlo” con una terapia a base di elettroshock (un‘esperienza raccontata anni dopo in Kill Your Sons).

Ovvio legare il suo nome all’esperienza dei Velvet Underground, nel cuore degli anni ‘60, una band che rappresentò alla perfezione la tensione e lo spirito avanguardista della New York più oscura, ma anche estremamente fertile nel suo provocatorio sperimentalismo. Sotto l’egida di Andy Warhol Lou Reed, insieme al genio certamente più “disciplinato” di John Cale, a Sterling Morrison, Maureen Tucker e alla vocalist Nico scrisse pagine indelebili, a partire dal primo album, The Velvet Underground And Nico, con la celeberrima copertina della banana warholiana e con una manciata di diamanti “malati”: All Tomorrow’s Parties, Sunday Morning, Waiting For My Man, Venus In Furs. Questo disco dimostrò, come pochi altri come il valore di un’opera non si lega certo alle sue vendite: non fu un successo commerciale, ma pose la basi per la nascita di tantissime derivazioni del rock ‘n roll, dal punk alla new wave.

Dopo un altro capolavoro, White Light White Heat l’esperienza del Velvet stava per giungere al capolinea (anche se nel 1993 la formazione si riunì nuovamente) e dopo il terzo disco, Lou parte per Londra dove ebbe inizio il suo percorso da solista grazie soprattutto all’incontro con David Bowie. Nacquero in questo decennio diversi capolavori, tra cui gli album Transformer, Berlin, Coney Island Baby, Street Hassle. Un decennio che ci lascia in eredità brani immortali come Perfect Day, Vicious, Walk on the Wild Side, Satellite of Love, Sad Song, Sally can’t’ Dance.

Con la parentesi di un album sperimentale, ostico ed estremo come Metal Machine Music di cui non tutti si sempre si ricordano. Anche negli ‘80 e negli anni ‘90 Lou Reed diede alle stampe diversi album con vette notevoli (The Blu e Mask del 1982, Legendary Heartsdel 1983, New York 1989 ma, soprattutto, Songs for Drella con John Cale del 1990) senza però mai rinunciare a suonare e esibirsi in ogni angolo del Globo. E senza mai rinunciare a sperimentare perché quello era uno dei suoi costanti imperativi. La vera cifra della sua arte. Così si spiega ad esempio la pubblicazione nel 2000 dell’ardito The Raven dedicato al poeta Edgar Allan Poe o della bizzarra collaborazione con i Metallica per Lulu del 2011.

Lou se n’è andato il 27 ottobre senza però aver mai rinunciato a suonare, magari a volte anche a “maltrattare”, il rock. Anzi rock ‘n’ roll. Ci lascia un’eredità enorme.

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